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Blinken incontra Abu Mazen: “Stop alla violenza”. Ma dagli USA no a cessate il fuoco

Il segretario di Stato di Biden ha poi incontrato a sorpresa a Baghdad il premier iracheno al-Sudani

Marco GiustinianibyMarco Giustiniani
Blinken incontra Abu Mazen: “Stop alla violenza”. Ma dagli USA no a cessate il fuoco

Palestinian president Mahmud Abbas (R) meeting with US Secretary of State Antony Blinken in the West Bank city of Ramallah on November, 5, 2023 (Photo by PPO / AFP / ANSA)

Time: 5 mins read

Dopo Israele e la Giordania, fa tappa anche in Cisgiordania il Segretario di Stato americano Antony Blinken, che quindi in serata ha fatto visita (a sorpresa) anche nella capitale irachena Baghdad.

A colloquio con il leader palestinese Abu Mazen, il capo della diplomazia USA ha chiesto di fermare la “violenza estremista” contro i palestinesi nel territorio occupato. Da parte sua, il leader di Ramallah ha chiesto “la sospensione immediata della guerra devastante e l’accelerazione della fornitura di aiuti umanitari, compresi medicinali, cibo, acqua, elettricità e carburante, a Gaza”.

“Ci incontriamo di nuovo – ha aggiunto – in circostanze estremamente difficili, e non ci sono parole per descrivere la guerra di genocidio e distruzione a cui è sottoposto il nostro popolo palestinese a Gaza per mano della macchina da guerra israeliana, senza riguardo alle regole di diritto internazionale”.

In serata Blinken è volato a Baghdad per colloqui con il premier Mohammed Shia al-Sudani, mentre le forze americane dislocate in Medio Oriente stanno affrontando un’ondata di attacchi da parte delle milizie alleate dell’Iran in Iraq e altrove.

US Secretary of State Antony Blinken (C) attends a meeting with five Arab foreign ministers in Amman, Jordan, 04 November 2023 ANSA/EPA/MOHAMMAD ALI

Mentre la situazione dei civili palestinesi a Gaza è tragica, sottoposti da tre settimane ormai a bombardamenti israeliani e al taglio di forniture di acqua, carburante e cibo, sabato ad Amman Blinken aveva incontrato i rappresentanti di Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, Egitto e Giordania oltre a delegati dell’Autorità nazionale palestinese della Cisgiordania.

Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha avanzato a Washington (e Tel Aviv) la richiesta dei Paesi arabi di una cessazione delle ostilità immediata, avvertendo che “l’intera regione sta affondando in un mare di odio che definirà le generazioni a venire”. “Non accettiamo che questa sia autodifesa”, ha detto Safadi, riferendosi alla campagna militare israleiane. “Non può essere giustificata con nessun pretesto e non porterà Israele alla sicurezza, né alla pace nella regione”.

Blinken ha però manifestato la netta contrarietà degli Stati Uniti a un cessate il fuoco, che a suo dire non farebbe altro che consolidare i miliziani di Hamas. “Dal nostro punto di vista, un cessate il fuoco lascerebbe semplicemente Hamas al suo posto, in grado di riorganizzarsi e ripetere ciò che ha fatto il 7 ottobre”, ha dichiarato Blinken, riferendosi alla serie di attentati a sorpresa condotti dal gruppo nel sud di Israele costati la vita a circa 1.400 civili israeliani.

Nella notte tra sabato e domenica, intanto, l’esercito israeliano avrebbe colpito un campo profughi e ucciso almeno 38 persone, secondo quanto riportato da un portavoce del ministero della Sanità nella Striscia di Gaza (che fa capo ad Hamas). Altri raid avrebbero invece distrutto un gruppo di case nel campo profughi di Maghazi.

Nelle scorse ore alcuni aerei israeliani hanno sganciato volantini su Gaza CIty, ordinando alla popolazione di spostarsi verso sud attraverso la strada Salah Al-Deen tra le 10.00 e le 14.00 (ora locale) di domenica. “È giunto il momento, lo Stato di Israele vi chiede di preservare le vostre vite e di evacuare le vostre case dalle aree dei combattimenti”, dicevano i volantini.

Il bilancio dei morti palestinesi nella guerra tra Israele e Hamas ha raggiunto le 9.448 unità, secondo il ministero. Numeri a cui bisogna aggiungere anche gli oltre 140 palestinesi uccisi da coloni israeliani nella Cisgiordania occupata, oltre a 72 funzionari dell’UNRWA rimasti uccisi nei combattimenti.

U.S. Secretary of State Antony Blinken meets Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu, November 3, 2023 (@SecBlinken/X)

Nonostante ieri Blinken si sia opposto a un cessate il fuoco, venerdì scorso era stato lui stesso (per conto della Casa Bianca) a chiedere una “pausa umanitaria” per consentire alla popolazione civile di Gaza di evacuare le zone più interessate dai combattimenti. In quell’occasione era stato però il premier israeliano Benjamin Netanyahu ad opporsi. “Israele rifiuta una tregua temporanea che non includa il rilascio dei nostri ostaggi”, catturati da Hamas nell’efferato assalto del 7 ottobre che ha ucciso oltre 1400 persone nel sud di Israele, ha detto Netanyahu. Inoltre “non permetterà il trasferimento di carburante alla Striscia di Gaza”, perché Hamas lo usa per scopi bellici, e “si oppone al trasferimento di fondi a Gaza”.

In Israele Blinken, pur riaffermando la solidarietà degli Stati Uniti con lo Stato ebraico e il suo diritto a difendersi, aveva usato parole molto nette che indicano la posizione dell’amministrazione Biden. Dopo la stretta di mano ufficiale e il colloquio con Netanyahu era andato in conferenza stampa da solo, a dimostrazione di come le posizioni dei due siano forse inconciliabili.

Primo: Blinken aveva riferito che le “pause umanitarie” sarebbero utili e non nocive per la liberazione degli ostaggi: “Questa è stata una discussione importante con i leader israeliani: come, quando e dove questo può succedere? Quanto bisogna lavorare e che accordi bisogna raggiungere? “. Secondo, guardando al futuro: “Abbiamo detto chiaramente che è importante anche il modo in cui Israele conduce la sua campagna per sconfiggere Hamas. E’ importante perché è la cosa giusta e legale da fare, e perché non farlo fa il gioco di Hamas e di altri gruppi terroristici. Non ci saranno partner per la pace se sono consumati dalla catastrofe umanitaria e se sono pieni d’odio per quella che percepiscono come indifferenza verso il loro dramma”. E si torna a parlare dei due Stati: “E’ l’unica garanzia di un Israele democratico ebraico e sicuro. L’unica garanzia che i palestinesi possano realizzare il loro legittimo diritto di vivere in uno Stato tutto loro. Ed è adesso, nei momenti più oscuri, che bisogna combattere di più per garantire un cammino di stabilità, sicurezza, integrazione e prosperità. Non domani non dopo la guerra ma ora”.

Resta da vedere cosa si intenda con “pausa umanitaria”: solo l’apertura di canali di rifornimento più continuativi di quelli dei camion Onu finora riusciti a entrare nella Striscia? O una tregua negoziata in cambio della liberazione degli ostaggi?

I contatti con Hamas ci sono: fonti della Casa Bianca dicono che gli sforzi per far uscire gli stranieri da Gaza attraverso il valico di Rafah – un processo iniziato mercoledì – erano stati ritardati dalla richiesta di Hamas di far uscire anche i suoi combattenti feriti. È una finestra che mostra i dettagli delle discussioni. Secondo i media israeliani, una fonte Usa ha riferito che “Hamas ha fornito all’Egitto e agli Usa una lista di persone ferite gravemente che volevano far evacuare insieme a centinaia di stranieri in attesa di uscire”. Usa ed Egitto hanno scoperto che “un terzo dei nomi erano combattenti, nessuno dei quali figurava tra i 76 palestinesi feriti e alla fine evacuati”.

Il premier israeliano probabilmente vede nell’intransigenza l’unico modo per salvarsi politicamente dopo la debacle del 7 ottobre: ma di fronte al disastro umanitario di Gaza, in Occidente parecchi governi sono esasperati. La Francia sta organizzando una conferenza umanitaria sulla tregua per il 9 novembre. “Chiediamo questa tregua umanitaria – ha detto il presidente francese Emmanuel Macron- perché la lotta al terrorismo non giustifica il sacrificio di civili”. Di più: ieri Parigi con la ministra degli Esteri Colonna ha annunciato di aver chiesto spiegazioni alle autorità israeliane per l'”incomprensibile” bombardamento dell’istituto di cultura francese a Gaza di alcuni giorni fa.

 

Intanto fonti Usa fanno capire che già si pensa al dopo-Netanyahu. Da Washington, un funzionario statunitense anonimo ha rivelato a Politico come la Casa Bianca ritenga che proprio il destino di Netanyahu sia ormai segnato e che la leadership di “Bibi” durerà ancora pochi mesi, o almeno fino alla fine della fase iniziale dei combattimenti della campagna militare israeliana.

Venerdì è intervenuto, per la prima volta dallo scoppio del conflitto, anche il leader degli Hezbollah libanesi, Hassan Nasrallah. “La nostra battaglia contro l’occupante sionista è pienamente legittima dal punto di vista legale e religioso”, ha tuonato il capo delle milizie islamiste – il cui videomessaggio, quasi due ore di retorica roboante – è stato trasmesso in TV e seguito da decine di migliaia di persone in piazza in vari paesi arabi. Nasrallah ha però sottolineato che l’operazione del 7 ottobre è stata “interamente palestinese”, a significare che Hezbollah e l’Iran – che sostiene il movimento libanese – non c’entrano nulla.

Dopo più di tre settimane di assedio, da mercoledì a oltre 700 cittadini stranieri o con doppia cittadinanza e a decine di palestinesi con ferite gravi è stato permesso di lasciare Gaza attraverso il valico egiziano di Rafah. Ieri sono usciti anche 7 italiani, ha annunciato il ministro degli Esteri di Roma, Antonio Tajani.

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Marco Giustiniani

Marco Giustiniani

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