Sono stato molte volte a Nahal Oz al confine della striscia di Gaza. Nel 1953 era diventata un kibbutz, protetto appena dal filo-spinato. All’epoca delle mie visite da quelle parti non c’erano né mura, né reticolati che dividevano il territorio palestinese da Israele. Gli ebrei, molto isolati e distanti delle città più a nord, come Askelon o Bersheba o la “metropoli” Tel Aviv, che qualcuno oggi chiama la “New York sulle rive del Mediterraneo”, vi andavano spesso a fare la spesa; gli arabi accedevano pacificamente agli insediamenti del nemico alla ricerca di lavoro, nei cantieri delle nuove costruzioni o nei campi delle piccole comunità di pionieri.
Nahal Oz in questi giorni è stata una dei villaggi colpiti dalla brutale assalto di Hamas. Non combattenti per la libertà del loro popolo ma terroristi, criminali, che è difficile, impossibile difendere o giustificare anche se sono anni che la maggioranza della popolazione palestinese conosce soltanto l’occupazione israeliana per essere nata dopo quello che è considerato il conflitto più lungo, irrisolto, del nostro mondo.
Una delle prime volte che entrai nella striscia solo un paio di soldati israeliani controllano il passaggio sulla strada piene di buche che collegava Israele alla città di Gaza. Ero, con altri giornalisti, al seguito dell’allora ministro degli Esteri Giulio Andreotti. Democristiano, amico di Israele da tempi in cui collaborava con il nostro premier De Gasperi per facilitare la creazione dello Stato, cattolico fervente. Alla fine della visita, commento con tristezza: “Se fossi costretto a vivere così, anche io farei il guerrigliero”. Il termine “terrorista” diventò di uso comune, un po’ ambiguo, solo anni dopo l’attacco alle Torri gemelle di New York. Non c’è dubbio che i palestinesi di Hamas che hanno l’altra sera, ucciso centinaia di civili alla festa Rav nella striscia di Gaza, sono terroristi anche se appartengono a una popolazione che sta soffrendo.

Israele, prima di lanciare la sua offensiva contro la striscia ha avvertito la popolazione in riva al Mediterraneo di allontanarsi, di cercare rifugio. Dove non è chiaro, né per le donne, gli uomini e i bambini palestinesi, né per noi osservatori. Gaza va ricordato è una delle località più densamente abitate del mondo. Qualcuno l’ha definito una “prigione a cielo aperto”. Il lungo confine con Israele è, ovviamente, impossibile; a sud c’è un confine quasi sempre o chiuso o strettamente controllato, con l’Egitto. Sull’altro lato il Mediterraneo e le navi pattuglia israeliane che hanno sempre sparato su quelli che si allontanavano dalla costa.
Domenica sera Nahal Oz è tornato nella mente del presidente israeliano Isaac Herzog. Lui nacque nel 1960. Suo padre era Chaim Herzog: generale, avvocato, diplomatico, scrittore, presidente di Israele dal 1983 al 1993. Fu, tra l’altro, capo dei servizi segreti militari dello Stato, governatore israeliano della Cisgiordania. Negli anni in cui era presidente ebbi l’impressione, parlando con lui, che era sinceramente convinto che si potesse trovare un modo perché ebrei e palestinesi, due popoli in lotta per la stessa terra, potessero convivere in quello spazio, tra il Mediterraneo e il fiume Giordano, che una volta si chiamava Palestina e che due millenni fa comprendeva l’antico regno degli ebrei. Non sapeva come, ma era disposto a cercare una soluzione.
Torniamo al mondo di oggi. L’altra sera Isaac Herzog si è rivolto agli israeliani. Parole cariche di tristezza, di conforto, di speranza come, in momenti come questi, si addicono a un leader. Nella primavera del 1956, il comandante militare israeliano della striscia di Gaza era Moshe Dayan. Pochi, probabilmente, si ricordano del generale israeliano con l’occhio bendato, eroe di tante guerre, ma il discorso pronunciato ai funerali di un civile ucciso nei campi di Nahal Oz quando era andato a difendere la sua piccola gregge è ancora considerato fondamentale per quello che deve essere l’atteggiamento degli israeliani. Ancora oggi che tanti anni dopo la creazione dello stato devono pensare al futuro.
Nel diario di Dayan c’è una descrizione dell’omicidio.
Ro’i si allontanò a cavallo per scacciare un gruppo di arabi che avevano attraversato il confine [e] stavano pascolando le loro greggi nei campi del kibbutz e tagliando i loro raccolti. Quando Ro’i li raggiunse, fu ucciso a colpi di arma da fuoco e il suo corpo fu trascinato oltre il confine. Il suo cadavere, mutilato, fu poi consegnato ai soldati dell’ONU, che ce lo hanno consegnato per la sepoltura.
Herzog ha ricordato alcune frasi dell’omelia pronunciata allora da Dayan e il suo servizio stampa ha voluto inserire, per i giornalisti, un link all’intero discorso.
Ieri all’alba Roi è stato assassinato. La quiete di una mattina primaverile lo accecò, e non vide sul solco i persecutori della sua anima. Non diamo la colpa agli assassini. Perché dovremmo lamentarci del loro odio per noi? Otto anni sono rimasti nei campi profughi di Gaza e hanno visto con i loro occhi come abbiamo fatto della terra e dei villaggi dove un tempo abitavano loro e i loro antenati una patria.
Ci saranno ancora morti e feriti a Gaza, probabilmente anche nei territori occupati della Cisgiordania, a Gerusalemme. Una parte della striscia sarà distrutta, ma se gli integralisti di Hamas scompaiono dalla scena mediorientale forse c’è ancora la possibilità per israeliani e palestinesi di convivere sulla stessa terra.