Se Evgenij Prigozhin è morto – come pensano tanto le autorità russe quanto l’intelligence statunitense – cosa, e soprattutto chi, lo ha ucciso?
Rimangono ancora tante le domande inevase sul clamoroso incidente aereo che mercoledì avrebbe provocato la morte del capo della compagnia Wagner e di altre sette persone, tra cui tre collaboratori stretti del leader golpista.
A partire dalle modalità: una prima analisi degli 007 statunitensi sostiene che “molto probabilmente” a provocare lo schianto del jet Embraer Legacy 600 partito mercoledì pomeriggio da Mosca in direzione San Pietroburgo sia stata una “esplosione intenzionale”. Una dinamica che viene definita coerente con la “lunga storia di Putin che cerca di mettere a tacere i suoi critici”.
Anche il Pentagono pare (indirettamente) sposare la tesi della bomba a bordo. Secondo quanto dichiarato dal portavoce Pat Ryder, sarebbero infatti da escludere categoricamente le indiscrezioni trapelate a caldo su alcuni gruppi Telegram legati alla Wagner, secondo cui ad abbattere l’aereo sarebbe stato un missile terra-aria dell’aviazione russa.
Per il momento, comunque, da parte di Mosca regna assoluto silenzio sulle possibili cause dell’incidente. In un discorso tenuto ben 24 ore dopo l’incidente, nemmeno Vladimir Putin ha voluto sbilanciarsi. L’inquilino del Cremlino si è limitato piuttosto a dichiarare che verrà condotta una inchiesta rapida ma approfondita. Dopo aver espresso le sue “condoglianze” alle famiglie delle vittime, il presidente russo ha descritto l’ex sodale Prigozhin come “un uomo d’affari di talento” e “una persona dal destino complicato, che ha commessogravi errori nella vita, ma che ha anche cercato di raggiungere i risultati necessari””.
Secondo fonti del Comitato investigativo citate dall’agenzia RIA Novosti, venerdì gli investigatori avrebbero intanto trovato le scatole nere e recuperato tutti i corpi dei 10 occupanti del jet precipitato.

Quanto ai presunti mandanti: di un diretto coinvolgimento del Cremlino sono pressoché convinti tutti i principali leader occidentali. Tra questi il presidente statunitense Joe Biden – che a caldo aveva commentato: “Non c’è molto che accada in Russia senza che Putin ci sia dietro”. Sulla stessa lunghezza d’onda il leader ucraino Volodymyr Zelensky, secondo cui “è chiaro a tutti chi c’è dietro”.
Beninteso, non serve certo scomodare il rasoio di Occam per raggiungere una conclusione del genere. Due mesi fa, mentre i mercenari della Wagner minacciavano di marciare su Mosca, era stato lo stesso Putin a promettere punizioni esemplari contro “i traditori” che “pugnalano alle spalle”. E nella Russia dello ‘zar’ pietroburghese, il più delle volte, le punizioni sono capitali.
Ciononostante, il Cremlino ha definito una “menzogna dell’Occidente” le accuse che dietro il presunto assassinio di Prigozhin ci sia Putin. “In questo momento, naturalmente, ci sono molte speculazioni sull’incidente aereo e sulla tragica morte dei suoi passeggeri, tra cui Evgenij Prigozhin”, ha riferito venerdì il portavoce Dmitrij Peskov durante una teleconferenza.
“Naturalmente, in Occidente queste speculazioni sono messe in giro secondo una certa prospettiva, e tutto ciò è una completa menzogna”. Peskov ha poi ribadito che “verranno effettuate tutte le analisi forensi necessarie, compresi i test genetici” e che i risultati verranno resi noti non appena saranno pronti.

Da diverse settimane l’impressione di molti addetti ai lavori era che Prigozhin avesse i giorni contati, dopo aver esposto il potere putiniano alla peggiore minaccia esistenziale di sempre. Tra il 23 e il 24 giugno, i mercenari della Wagner avevano infatti conquistato il quartier generale militare a Rostov-sul-Don, nella Russia meridionale, e abbattuto numerosi aerei militari sulla strada verso la capitale Mosca – uccidendo più di una decina di piloti russi.
Nonostante il presunto accordo mediato dal leader bielorusso Alexander Lukashenko prevedesse per Prigozhin una sorta di esilio nel Paese amico dopo l’ammutinamento, negli ultimi due mesi l’imprenditore pietroburghese aveva sorpreso tutti per la relativa libertà di movimento tra Mosca, San Pietroburgo, Bielorussia e Africa (dove i suoi mercenari hanno continuato a operare nonostante la rivolta). Il trattamento di favore apparentemente riservato a Prigozhin aveva fatto ipotizzare che il capo dei mercenari fosse too big to die – e che insomma il Cremlino avesse ancora bisogno di lui nonostante l’affronto armato.
Col senno di poi, il Cremlino potrebbe aver voluto aspettare una data simbolica (esattamente due mesi dal golpe, un anno e mezzo di guerra, la vigilia della Giornata dell’indipendenza ucraina) per un’esecuzione in grande stile. E che soprattutto non lasciasse alcun margine di dubbio su quale sia il trattamento riservato ai sediziosi.