Washington e Mosca non si ascoltano più. Il riferimento non è certo alle attività di spionaggio, che al contrario sono tornate ai livelli intensissimi della Guerra Fredda (con l’intelligence statunitense in grado di ‘vaticinare’ l’invasione russa dell’Ucraina con ben tre mesi di anticipo), ma alla cosiddetta “linea rossa” che collega direttamente il Pentagono e il Cremlino.
A dirlo è stato Anatoly Antonov, ambasciatore russo negli Stati Uniti, secondo cui lo storico collegamento in tempo reale tra USA e Russia sarebbe ormai stato “demolito”, esponendo perciò il mondo alle pericolosissime ripercussioni dell’incomunicabilità tra le due principali potenze nucleari.
La hotline, attivata il 30 agosto del 1963, connetteva originariamente due telescriventi ed era stata concepita per ridurre i ritardi di ricezione dei messaggi tra le due superpotenze. Ritardi che un anno prima, in occasione della crisi dei missili cubani del 1962, erano quasi costati l’apocalisse nucleare. Dal 2007 la “linea rossa” è stata sostituita da una serie di computer collegati a fibra ottica, che consentono ai due Governi di comunicare in tempo reale.
Eppure, non esisterebbe più nulla del genere, secondo Antonov. Il diplomatico russo ha ricordato le parole dell’allora ambasciatore sovietico Anatoly Dobrynin, che a suo tempo disse che “la crisi dei missili di Cuba ha rivelato il pericolo mortale di un confronto armato diretto tra due superpotenze, un confronto sventato sull’orlo della guerra grazie alla tempestiva e angosciante presa di coscienza di entrambe le parti delle disastrose conseguenze”.

Antonov ha poi citato lo stesso John F. Kennedy, che all’indomani dell’emergenza cubana lanciò un appello alla controparte URSS, avvertendola che “sebbene i nostri due Paesi non si sfidino direttamente, continuiamo a scontrarci quasi ovunque, il che, nell’era nucleare, è gravido di gravi pericoli per la pace mondiale”.
“Le parole dell’ex presidente degli Stati Uniti possono essere legittimamente utilizzate per descrivere lo stato attuale delle relazioni tra Russia e Stati Uniti”, ha dichiarato Antonov a Newsweek. “Il mondo sta ancora una volta accelerando per avvicinarsi alla linea che non lascerà nulla dietro di sé”.
“L’innegabile vantaggio di quel periodo è stato un canale confidenziale costantemente attivo tra Anatoly Dobrynin e Robert Kennedy”, ha aggiunto il diplomatico, riferendosi rispettivamente all’ambasciatore sovietico e al fratello-consigliere di JFK. La linea rossa “ha permesso al Cremlino e alla Casa Bianca di trasmettersi informazioni in modo tempestivo, di fare analisi appropriate e di chiarire le posizioni dei due Stati”.
“Oggi”, aggiunge Antonov, “l’infrastruttura della nostra comunicazione con gli americani è stata demolita” e “i tentativi dei diplomatici russi a Washington di ristabilire tali contatti si sono rivelati inutili”.

L’ultimo colloquio diretto tra Biden e Putin risale infatti al 12 febbraio, ossia due settimane prima che Vladimir Putin ordinasse l’aggressione del vicino occidentale. Non va molto meglio a livello dei rispettivi eserciti, dato che i capi di Stato maggiore si sono sentiti per l’ultima volta a maggio, dopo settimane in cui il Pentagono aveva lamentato l’indisponibilità degli alti ranghi militari russi a dialogare con Washington.
Che la guerra in Ucraina (e il coinvolgimento indiretto dell’Occidente attraverso gli aiuti militari) sia un momento spartiacque della storia contemporanea lo ha fatto peraltro capire chiaramente l’inquilino della Casa Bianca. A inizio mese, durante un comizio elettorale a New York, Biden ha infatti affermato senza fronzoli che “per la prima volta dai tempi della crisi dei missili a Cuba c’è la minaccia di un ‘Armageddon’ nucleare“.
Una minaccia che, in mancanza di comunicazioni chiare e dirette, può essere suscettibile di errori di calcolo o interpretazione. E a quel punto di tramutarsi in profezia che si auto-avvera.