Il Kazakistan è in fiamme, letteralmente. Da cinque giorni una folla di manifestanti sta mettendo a soqquadro l’intero Paese e in particolar modo la capitale commerciale, Almaty, dove nella giornata di mercoledì si sono registrati gli scontri più duri con la polizia e la Guardia nazionale. Le autorità riferiscono di decine di morti tra i dimostranti e almeno 12 nelle forze di polizia, oltre a centinaia di feriti. Tra i poliziotti uccisi, un paio sarebbero stati decapitati, secondo quanto riporta l’agenzia russa TASS.
A partire dalla mattinata di ieri, la fiumana di contestatori ha invaso il centro cittadino e sfondato le linee difensive della polizia, dando fuoco ad alcune macchine delle forze dell’ordine e riuscendo a colpire anche il municipio. Un’altra parte della folla ha invece preso di mira il quartier generale del partito di governo, Nur Otan, anch’esso danneggiato dalle fiamme.
Oltre ad Almaty, le proteste anti-governative hanno coinvolto alcune delle città più grandi del Paese, tra le quali Aqtöbe (nei pressi del confine russo), Aktau, Atyrau, Taraz e una lunga serie di villaggi e città minori. Fino ad arrivare al giacimento petrolifero di Tengiz, dove i lavoratori hanno incrociato le braccia in supporto alle proteste. Episodi analoghi si stanno moltiplicando col passare delle ore.
Il presidente kazako Qasym-Jomart Toqaev ha puntato il dito contro i manifestanti, definendoli un gruppo di “terroristi stranieri” e di “cospiratori finanziariamente motivati”. Cercando di venire incontro alle richieste della folla, che si è mobilitata il 2 gennaio dopo un repentino aumento dei prezzi del gas, nei giorni scorsi Toqaev aveva alternato il bastone alla carota, promettendo sussidi per il carburante. Non è evidentemente bastato a una folla ormai galvanizzata dal successo delle proteste, non più limitate al caro-benzina ma contro la corruzione di un’intera classe politica. Non sono bastate nemmeno le dimissioni di massa del Governo, accettate dal presidente nelle prime ore di mercoledì (sebbene i ministri rimarranno in carica pro tempore fino alla formazione di un nuovo esecutivo). Insufficiente si è rivelato infine anche il blocco totale di Internet e della quasi totalità delle trasmissioni TV scattato mercoledì.
President Kassym-Jomart Tokayev accepted the Kazakhstan government's resignation on Wednesday after a fuel price increase triggered protests in which nearly 100 police were injured. pic.twitter.com/LiwEro4oX6
— Talk (@TalkTV) January 6, 2022
Sotto la pressione popolare, Toqaev ha esautorato di fatto il vero uomo forte del Paese, l’ex presidente Nursultan Nazarbaev, padre-padrone del Paese dal 1990 al 2019. Fino a poche ore fa, Nazarbaev era a capo dell’influente Comitato di Sicurezza nazionale, prima che venisse sostituito proprio da Toqaev.
I manifestanti sembrano aver ormai preso il sopravvento, e perciò Toqaev ha deciso di appellarsi al Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza difensiva che include, oltre al Kazakistan, anche Armenia, Bielorussia, Kirghizistan, Tagikistan e soprattutto la Russia. In tempi brevissimi, e per la prima volta nella sua trentennale storia, la CSTO ha deciso di inviare un contingente di peacekeepers per raffreddare gli animi.
Mosca finora ha tenuto un profilo basso, ma è evidente la preoccupazione che nel “giardino di casa” post-sovietico si apra un’altra crisi in grado di destabilizzare la regione, come le “rivoluzioni colorate” degli ultimi decenni, dalla Georgia all’Ucraina. Da qui la decisione epocale di far intervenire la CSTO e inviare uomini russi a evitare che la situazione degeneri.
La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha affermato che Washington “sostiene gli appelli alla calma” e ha respinto al mittente le “folli affermazioni russe” (e kazake) secondo cui dietro le proteste ci potrebbe essere la mano degli statunitensi, accuse che secondo Psaki fanno parte del “solito manuale di disinformazione russa”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’UE, che ha riconosciuto che la popolazione kazaka ha diritto di manifestare (pacificamente) così come le autorità sono legittimate a mantenere l’ordine pubblico (senza uso eccessivo della forza).
Il Kazakistan è il principale alleato e partner commerciale di Mosca nella regione centro-asiatica, e l’ondata di proteste arriva in un periodo particolarmente caldo per la regione ex-sovietica, con il riaccendersi della questione ucraina. È quindi assai probabile che la questione venga affrontata nel prossimo incontro ministeriale tra Russia e USA, in programma il 9 gennaio a Ginevra.