“Può il direttore di Repubblica incrinare i rapporti con la Russia?”. A chiederselo retoricamente è stato il senatore pentastellato Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri di Palazzo Madama, che in un tweet ha rilanciato una durissima invettiva del Cremlino contro il direttore di Repubblica Maurizio Molinari.
Per comprendere la storia, va fatto un passo indietro: è il 13 novembre quando sulle colonne di Repubblica appare un lungo editoriale di Molinari dal titolo piuttosto evocativo: “Carri armati e migranti: la morsa di Putin sull’Unione europea”. I temi trattati riguardano la pressione politico-militare russa sull’Ucraina, il sostegno di Putin a Lukašėnka nello scontro migratorio tra Minsk e Varsavia, il “ricatto” energetico russo favorito da Nord Stream 2 e, dulcis in fundo, gli interessi geopolitici di Mosca in Libia.
L’editoriale non viene accolto con giubilo a Mosca. Così, il 17 novembre, il Cremlino affida la risposta ufficiale a un comunicato firmato da Marija Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri, e pubblicato sul sito dell’ambasciata russa a Roma. I toni usati risaltano per la loro a-diplomaticità. Rispondendo punto per punto alle accuse di Molinari, Zacharova definisce l’articolo “un’assurdità deliziosa” e vergognosa, che “nessun giornalista che si rispetti” concepirebbe. Nel prosieguo del comunicato, quello di Molinari viene screditato come uno “sproloquio” di “calunnie nauseanti”. Non mancano poi diverse offese personali al direttore del quotidiano, definito un “giornalista (non) perbene”, sostanzialmente incompetente sulle questioni russe, e il cui scopo sarebbe “entrare nelle grazie dei politici russofobi”. Particolarmente sarcastica, infine, la replica allo scetticismo di Molinari sulla fornitura di gas russo: “Non ama il gas russo? Molto bene (…) per protesta riscaldi la sua casa con copie di Repubblica”.
Il 18 novembre, il presidente M5S della Commissione Esteri del Senato fa scoppiare la polemica parlamentare con un tweet di appoggio alle dichiarazioni russe – trasformando la questione in un casus belli tra PD e M5S. La senatrice dem Lia Quartapelle predispone così un’interrogazione al ministro degli Esteri Luigi Di Maio per chiedere chiarimenti sulla politica estera pentastellata e su “come intenda reagire all’attacco a una testata italiana”. Un’iniziativa analoga viene intrapresa dall’eurodeputata democratica Pina Picierno, che si mette al lavoro con alcuni colleghi europei per sottoporre la questione alla Commissione europea e chiede a gran voce le dimissioni di Petrocelli dalla presidenza. Critiche a Petrocelli arrivano quindi anche dai dem Alfieri (capogruppo al Senato) e Zanda (commissione Esteri del Senato). Di Maio e la Farnesina, tuttavia, preferiscono mantenere un basso profilo sulla questione e non rilasciano dichiarazioni.

Si arriva infine a lunedì, quando in un clima di aspra polemica parlamentare, gran parte dei temi discussi nell’editoriale di Molinari diventa oggetto di colloquio telefonico diretto tra Putin e Draghi. Le dichiarazioni delle due diplomazie consegnano un quadro di rispettosa incomprensione: Roma e Mosca rimangono distanti sui dossier Bielorussia (Palazzo Chigi sostiene le ragioni di Varsavia/Bruxelles, il Cremlino appoggia Minsk), gas (Mosca accusa gli statunitensi di aver contribuito alla crisi energetica europea concentrandosi sui mercati asiatici) e Ucraina (dove Putin accusa Occidente e Turchia di foraggiare Kiev e contribuire all’instabilità nel Donbass, mentre Draghi chiede un atteggiamento “costruttivo”). In sostanza, pur non facendosi menzione dell’affaire Molinari, si affrontano i temi alla base dello scontro. I due sembrano trovarsi d’accordo solo sulla necessità che la Russia continui a essere un partner energetico affidabile per l’Europa, facendo sì che le beghe politiche non intacchino il principio del business as usual.
Quanto a Petrocelli, non è la prima volta che il senatore tarentino finisce sulla graticola per opinioni controverse in materia di politica estera. Lo scorso giugno si era pubblicamente definito filo-cinese e, assieme a Beppe Grillo, aveva negato che le autorità pechinesi stessero perseguitando la popolazione uigura nello Xinjiang – incassando, all’estero, il ringraziamento del portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian; all’interno, l’ira funesta di Lega e PD. Lo stesso Petrocelli si è ripetutamente detto contrario alle sanzioni alla Russia, e nel 2020 era stato destinatario di una missiva del parlamentare Leonid Sluckij in cui veniva esortato a convincere i colleghi senatori ad abbandonare la strada delle sanzioni economico-commerciali. Accuse, quelle di parzialità, rispedite però al mittente da Petrocelli, che in un tweet del 20 novembre ha risposto a un articolo di Libero affermando: “Non sono agli ordini di Pechino, come non sono agli ordini di Washington o di qualsiasi Paese straniero o partito. Credo che querelerò Libero e spero lo facciano Pietro Grasso ed Ettore Rosato (anche loro accusati di essere “agli ordini dei comunisti”).
Da menzionare come, nel corso del colloquio con Draghi, Putin abbia invitato il presidente del Consiglio a visitare Mosca – come anticipato dall’ambasciatore a Mosca Giorgio Starace. Prima di fare le valigie, però, il premier dovrà verosimilmente fare i conti con almeno un paio di problemi: la divergenza di posizioni tra filo-russi (M5S e Lega) e critici (PD) all’interno della maggioranza, e quindi da una ambiguità tanto voluta quanto ingombrante nelle relazioni Roma-Mosca – distanti in politica ma vicini nel commercio.