Avevo incontrato Mariam durante uno dei miei tanti viaggi in Afghanistan. Quando aveva solo 13 anni era stata costretta a sposare un uomo più grande di lei di 30 anni. Era rimasta incinta e aveva rischiato di morire, perché una gravidanza, a quell’età senza le cure adeguate, può finire molto male. Si sentiva debole, aveva lasciato la scuola e il marito aveva cominciato a picchiarla perché non riusciva più a occuparsi anche della casa. Aveva provato a scappare, ma il padre la riportava ogni volta dal suo torturatore al quale l’aveva venduta per dare da mangiare agli altri figli.
L’ignoranza e la povertà portano a questo e succede in tanti paesi, purtroppo. La storia di Mariam non è un’eccezione, ma riguarda milioni di bambine non solo afghane. Come scrive Save the Children sul suo sito ogni anno nel mondo 12 milioni di bambine e ragazze, al di sotto dei 18 anni, vengono date in sposa a uomini adulti o anziani. In Bangladesh, Mozambico, Repubblica Centro Africana, Niger e Sud Sudan più del 40% delle ragazze sposate hanno tra i 15 e i 19 anni. In Chad, Mali, Guinea, Burkina Faso e Madagascar la percentuale scende al 30-40%, tra il 20 e il 30% nei paesi colorati di giallo nella cartina. Il parto è la loro principale causa di morte. Sono cifre agghiaccianti che mostrano come i problemi per le donne siano sempre gli stessi, a distanza di quasi 100 anni dalla campagna in Abissinia dell’allora soldato Indro Montanelli che comperò una dodicenne per soddisfare i bisogni sessuali scatenati dal suo testosterone di giovane soldato lontano da casa:
“Aveva 12 anni, ma non mi prendete per un bruto -ha raccontato nel 1972 nella trasmissione televisiva L’ora della verità di Gianni Bisiach. “A 12 anni quelle lì sono già donne. […] Avevo bisogno di una donna a quell’età. Me la comprò il mio sottufficiale insieme a un cavallo e un fucile, in tutto 500 lire. […]. Lei era un animalino docile; ogni 15 giorni mi raggiungeva ovunque fossi insieme alle mogli degli altri.”
Nessun ripensamento, nessun imbarazzo nel ricordare quell’episodio raccontato in seguito anche ad Enzo Biagi. Colpisce che a distanza di anni nella testa di un uomo ormai maturo non sia mai sorto il dubbio che a quella bambina e a tutte quelle come lei che venivano date in sposa ai soldati subito dopo le prime mestruazioni, sia stata fatta violenza, sia stata tolta l’infanzia e l’adolescenza. Anche se hai la pelle nera e vivi in Etiopia sei una bambina e hai diritto all’infanzia e all’adolescenza, senza essere stuprata per tradizione culturale.

Valeva allora, vale ancora di più oggi che se ne torna a parlare, ma lo si fa nel modo sbagliato, rispondendo con violenza a un atto che fu violento. Imbrattare una statua che forse non dovrebbe stare dove sta, ma che ormai è lì da anni non è la strada giusta. Occorre parlarne con calma e proporre una statua che ricordi il sacrificio quotidiano di tante spose bambine, tante piccole schiave che andrebbero aiutate.
Bene ha fatto lo street artist Ozmo a dedicare una sua opera a Destà, la sposa bambina di Montanelli, su un muro di Milano. Le ha restituito una dignità. Manca un omaggio alle donne sui muri e nelle piazze delle nostre città. Non c’è una sola piazza in tutta Italia con una statua di donna. Facciamo quindi altri murales, mettiamo statue che ricordino grandi donne che sono motivo di orgoglio per il nostro paese.
E’ una lacuna che va colmata, perché la nostra storia, la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza è fatta anche di nomi femminili, che restano invisibili. Succede anche nel resto del mondo.

A New York per esempio le uniche statue di donne sono a Central Park e raffigurano personaggi di fantasia Alice nel paese delle meraviglie, Giulietta con Romeo e Mother Goose. Nessuna donna reale, ma il 26 Agosto, anniversario della ratifica del voto alle donne, sarà svelata la prima statua dedicata a delle donne esistite realmente. E’ un’opera della scultrice Margareth Bergmann e rappresenterà le tre suffraggette newyorchesi Sojourner Truth, Susan B. Anthony, and Elizabeth Cady Stanton. Un esempio da imitare anche in Italia, cosa stiamo aspettando?
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