“La fine dama è in via d’estinzione” osserva Mary Rosenfeld Pesle. Sono d’accordo: la scurrilità ormai è in bocca anche alle signore che non riescono a fare un discorso senza infilarci le parolacce. Da che mondo è mondo la volgarità, il contrario della finezza, ha contraddistinto il modo di comportarsi e parlare del volgo, la parte meno colta della popolazione. Ma oggi in Italia la volgarità è sulla bocca, nella gestualità e nell’aspetto della maggioranza della popolazione, che analfabeta non è più. Almeno sulla carta, perché c’è la scuola dell’obbligo. Tuttavia la stessa università sforna somari e abbiamo degli individui che a scuola hanno scaldato solo il banco o comunque non hanno acquisito quello spirito critico necessario per poter giudicare da sé gli slogan dei partiti politici e soprattutto il limite invalicabile del razzismo.
Pertanto la volgarità del popolo è segno di povertà di pensiero, perché chi parla e si comporta male, pensa male. Ecco allora che vengono tollerati, anziché condannati, atteggiamenti ed esternazioni che sono chiare manifestazioni di apologia del razzismo. E i razzisti – ignoranti come capre, presuntuosi come pavoni e spietati come iene, ma soprattutto invidiosi come tutti quegli uomini che vorrebbero acquisire il successo senza faticare sui libri e al lavoro – i razzisti, dico, stanno aumentando a dismisura. Complice una famiglia che gli ha dato tutto senza fargli conquistare nulla e una scuola che li ha promossi come se uno valesse uno. Questa gente, a cui sembra che tutto gli sia dovuto, quando s’imbatte in qualcuno che si contraddistingue per intelligenza e preparazione, sogna solo di annientarlo, cancellarlo per non sentirsi inferiore. Sta ritornando l’odio per gli ebrei che non si sono mai risparmiati nello studio e nel lavoro, affinando qualità intellettive e competenze.
In conclusione, il razzismo è mancanza di cultura e, seppure vi siano individui razzisti con tanto di laurea e master vari, è chiaro che da quanto hanno imparato non hanno elaborato niente, ma sono rimasti allo stadio nozionistico. In breve, secondo la psicologia non hanno superato lo stato emozionale e non sono riusciti a raggiungere quello sentimentale: le emozioni non vengono comprese attraverso lo sviluppo dell’empatia e, anziché trasformarsi in sentimenti, rimangono pulsioni che si manifestano in rabbia, frustrazione, invidia, gelosia. Quindi odiano il diverso perché, non potendolo controllare, fa paura, e possono arrivare a conseguenze estreme. Voglio porre l’accento sull’odio sociale che stanno fomentando certi psicopatici (significa: privi d’anima) nei partiti del centro destra e che si sono contraddistinti per l’astensione del voto al Senato sulla proposta della senatrice ebrea Liliana Segre di una commissione contro l’odio, il razzismo e l’antisemitismo.
Mary Rosenfeld Pesle è la nipote di Davide Rosenfeld, un commerciante ebreo cecoslovacco che nel 1896 aprì uno spugnificio a Trieste dopo essersi innamorato della “fine dama”, la spugna più pregiata del Mediterraneo per la sua setosità. Proprio per rammentare la grazia di una dama le venne dato questo nome ed ora purtroppo si sta estinguendo come le “vere signore” di cui parlavo sopra. Chi volesse scoprire l’affascinante mondo delle spugne, che oggi si pescano soprattutto in Atlantico può visitare il sito: www.rosenfeld.it, ma qui voglio ricordare in breve la fine commovente del suo fondatore.
Nel 1938, alla promulgazione delle leggi razziali a Trieste, Davide si trovava nella casa/ambulatorio di un medico a Conegliano in Veneto, per un intervento. Il delatore Mauro Graziadio Grini, stipendiato dalle SS, si mise sulle sue tracce, lo trovò e gli strappò i tubi dal corpo, lo fece caricare su un carro assieme alla moglie, per deportarlo in Germania. Lui morì sul carro, la moglie nel campo di concentramento di Ravensbruck in Germania, due mesi prima della fine della guerra. Il figlio Paolo, padre di Mary, nonostante fosse ricercato anche lui come ebreo, riuscì a prendere un treno sino a Treviso e a ritrovare il corpo del padre per dargli sepoltura. Tornato a Trieste, visse nascosto nella cantina del padre della sua fidanzata sino a che i tedeschi dovettero ritirarsi da Triste. Era il 1945. Degli amici avevano conservato le “fini dame” nelle loro cantine perché i nazisti avevano requisito lo spugnificio, così Paolo poté assieme al fratello, che nel frattempo era riparato in Svizzera, riaprire un nuovo spugnificio. Non bisogna dimenticare cosa uomini volgari e spietati sono stati capaci di fare.