Con l’arresto di Roger Stone, il cerchio del procuratore speciale Robert Mueller intorno al presidente Trump si stringe. L’accusa che ha portato l’FBI ad ammanettare il consulente politico americano di lungo corso, lobbista e stratega, noto per il suo libro sull’omicidio Kennedy – “The Man Who Killed Kennedy” – che punta il dito contro Lyndon Johnson, FBI e Carlos Marcello – è quella di aver mentito al Comitato di Intelligence della Camera, e dunque ostacolato l’inchiesta sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016.
A due giorni da quando l’ex avvocato di Trump Michael Cohen ha rimandato la sua testimonianza al Congresso a causa, dice lui, delle minacce dirette alla sua famiglia da parte del Presidente stesso e del suo rappresentante legale, Rudy Giuliani, i sette capi di accusa suggeriscono che Stone abbia ingannato i legislatori della Commissione riguardo ai suoi sforzi per comunicare con Wikileaks e i suoi contatti con la campagna di Trump. Si sostiene inoltre che abbia tentato di intimidire un altro testimone: il conduttore radiofonico Randy Credico, che era in contatto con il capo di Wikileaks, Julian Assange, nel 2016. In un’intervista con Politico all’inizio di gennaio, Stone aveva affermato che si stava ancora preparando per il suo arresto, ma aveva insistito sulla sua innocenza “perché non c’è crimine”.
“I will never testify against Trump.” This statement was recently made by Roger Stone, essentially stating that he will not be forced by a rogue and out of control prosecutor to make up lies and stories about “President Trump.” Nice to know that some people still have “guts!”
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 3 dicembre 2018
Secondo le ricostruzioni, fu proprio Stone a tenere le comunicazioni con gli hacker russi che rubarono i documenti relativi alla campagna degli avversari poi pubblicati da Wikileaks. Stone sarebbe in particolare stato in contatto con Julian Assange, circostanza già ammessa dal diretto interessato durante un forum GOP in Florida nell’agosto 2016.
Stone fu uno dei membri più giovani della campagna che portò alla rielezione di Richard Nixon nel 1972, da cui poi ebbe inizio lo scandalo del Watergate che ne avrebbe segnato la fine politica. Stone è stato anche uno dei sostenitori più espliciti della discesa in campo di Trump. Lo incontrò per la prima volta nel 1979 attraverso Roy Cohn, allora consigliere del senatore Joseph McCarthy. Già dal 1988, Stone è stato uno dei più stretti consiglieri e collaboratori del businessman newyorkese poi diventato (anche grazie a lui) Presidente.
Stone era consulente di Trump anche quando quest’ultimo si è candidato alla presidenza, nonostante, ufficialmente, le loro strade si fossero separate nell’agosto 2015. Eppure, Stone è rimasto un collaboratore informale dell’allora candidato e un suo esplicito sostenitore. Non a caso, ha lanciato la “Commissione per ripristinare la grandezza dell’America”, che ha speso, secondo Politico, più di 500mila dollari per conto di Trump. Questa non è stata l’unica iniziativa pro-Trump di Stone nel corso della campagna. Il consulente, ad esempio, ha raccolto 40mila dollari prima della convention di Cleveland, per organizzare una protesta contro i tentativi di alcuni repubblicani di contestare la nomination di Trump. Ha anche finanziato un cartellone digitale a Times Square che mostrava il milionario americano nei panni di Superman. E ha spesso parlato dell’hackeraggio delle e-mail del campo avversario pubblicate su Wikileaks. In un contributo pubblicato su Breitbart, ancora di Steve Bannon, del 5 agosto 2016, ha definito l’hackeraggio perpetrato da Guccifer 2.0 del network della Comitato Nazionale Democratico “una cosa seria” e ha sostenuto che Guccifer non fosse russo.