Ha smesso di lottare Antonio Megalizzi, il giornalista italiano ferito a morte da Cherif Chekatt, l’attentatore che martedì sera ha aperto il fuoco ai mercatini di Natale a Strasburgo. Antonio, 28 anni, famiglia originaria di Reggio Calabria ma stabilitasi a Trento, passava di lì casualmente, a pochi passi dalla cattedrale di Notre Dame, in compagnia di due amiche. Si trovava nella città francese per seguire la plenaria del Parlamento europeo per Europhonica, format radiofonico di RadUni per cui conduceva un programma.
Antonio era appassionato di politica, di giornalismo, ed era un europeista convinto. Sulla sua pagina Facebook, era solito condividere i suoi pensieri e le sue analisi politiche, spesso cospargendoli di arguto sarcasmo, ma anche il suo puro entusiasmo di giovane giornalista impegnato a raccontare l’Europa e la realtà di nostri giorni.
La radio era da sempre la sua passione. Nel suo curriculum, gli inizi da speaker ai tempi dell’università a Trento e a Verona, ma anche la collaborazione con la Rai di Trento, canale radiofonico dell’emittente locale Rttr, e con radio 80 Forever Young di Rovereto. I media hanno riportato la commovente lettera che gli amici di Antonio gli hanno lasciato sulla porta di casa: “Se potessi fermare il tempo lo farei per te amico mio, perché i tuoi momenti più belli regalassero ancora ai tuoi giorni una gioia sempre viva. Se potessi prendere i tuoi problemi li lancerei nel mare e farei in modo che si sciolgano come il sale. Ma adesso sto trovando tutte queste cose improponibili per me, non posso fermare il tempo, costruire una montagna, o prendere un arcobaleno luminoso da regalarti. Così Antonio lasciami essere ciò che so essere di più: semplicemente un amico che ti resta vicino”.
Antonio era il simbolo di una generazione coraggiosa, che, nonostante le difficoltà, non rinuncia a perseguire i propri sogni e a lottare per i valori in cui crede. Le sue condizioni erano parse molto critiche fin dal pomeriggio di mercoledì. La delicatissima posizione del proiettile che lo aveva perforato – proprio alla base del collo, arrivando a poco a poco al midollo spinale – lo aveva infatti reso inoperabile.