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“Il Codicillo-Bonafede” sulla prescrizione: il suggello di una metodica eversione

Il cd Emendamento-Bonafede intende introdurre una sospensione universale nel decorso della prescrizione dei reati dopo il primo grado

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
“Il Codicillo-Bonafede” sulla prescrizione: il suggello di una metodica eversione

Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il premier Giuseppe Conte e il vicepremier Luigi Di Maio - Palazzo Chigi

Time: 6 mins read

Sulla prescrizione. Oggi dovete avere un po’ di pazienza: perché siamo a tumore avanzato, e si discute seriamente di quale rimedio sia preferibile, fra aspirina e té verde. Almeno così, spero saprete di che dovete morire.

Il cd Emendamento-Bonafede, é noto, intende introdurre una sospensione universale nel decorso della prescrizione dei reati. Che significa, universale? Che, per il solo fatto della pronuncia di una sentenza in primo grado, sia di condanna che di assoluzione, il tempo di prescrizione rimane fermo su sé stesso: fino a passaggio in giudicato della sentenza stessa. Di fatto, il termine di prescrizione non c’è più, una volta pronunciata la sentenza in primo grado.

Prima implicazione. Posto che questa sospensione é destinata ad operare anche dopo un’assoluzione in primo grado, non si può sostenere che essa si giustifichi perché vi è stato un pur provvisorio riscontro dell’accusa (condanna).

Significa, invece, che scopo precipuo della proposta é di sottrarre alla vita civile ogni persona, per il solo fatto che le si è mossa un’accusa; l’assoluzione é considerata solo un incidente di percorso, che proprio la sospensione mira a sterilizzare; lasciando che l’unica fonte di verità processuale, a ben vedere, sia e rimanga la originaria formulazione dell’imputazione.

Si vuole legittimare uno stato d’assedio permanente sulla persona dell’imputato. È la traduzione normativa del noto “non esistono imputati innocenti, ma solo farabutti che la fanno franca”. Traduzione normativa; cioè, non più deliquio da talk show, ma Legge dello Stato.

Seconda implicazione. Se, pur a fronte di un’assoluzione, la pretesa punitiva statuale (PM) rimane intatta nella sua vigoria procedimentale, questo può darsi solo perché il valore conformativo della presunzione di non colpevolezza è ridotto a nulla. Il “Codicillo-Bonafede” eradica l’art 27 comma 2 della Costituzione. Questo “Codicillo” non è un “Codicillo”: é il formale riconoscimento di una Tirannia Giudiziaria, incontrollabile, sovraordinata ad ogni altro potere, che riduce la vita di ognuno a trastullo moralistico e cannibalesco. Il principio della “ragionevole durata del processo”, pur introdotto nella Costituzione, è connesso alla parola “ragionevole”; vale a dire, come si vede, al niente. Naturalmente, molti seguiteranno ad attendere Godot-Corte Costituzionale: perchè sono cultori del tè verde o dell’aspirina. E perché, anche in un’alienata buona fede, tutto questo “decorrere” consuma “le vite degli altri”

Terza implicazione. “Formale riconoscimento”, non istituzione effettiva della “presunzione di colpevolezza”; questo ritorno della legittima tortura processuale é un punto di maturazione, non l’intero decorso patologico. Senza il precedente decorso patologico, semplicemente, oggi non saremmo a questo.

Nel 2017, la cd Riforma Orlando aveva già introdotto due “pause”, di un anno e mezza ciascuna, rispettivamente, al deposito della sentenza di primo grado, e a quella di secondo grado; per ogni reato, anche il meno grave sulla scala delle pene di legge (criterio fondamentale), ogni imputato può, già oggi, rimanere “a disposizione” fino a dieci anni e mezzo.

Anche questa precedente sospensione muove dallo stesso presupposto del “Codicillo Bonafede”. La “sospensione”, negli ordinamenti liberi e democratici, é un rimedio temporaneo ad “una forzata inattività della giurisdizione”; la sospensione connessa all’esercizio del diritto di difesa (impugnare, é, almeno sulla carta legislativa, formale esercizio del diritto di difesa), invece, stravolge questa giustificazione, e legittima la “punizione” di quel diritto, proprio perché non viene considerato più un diritto, ma una presenza mal tollerata, e, ormai, e finalmente, da rimuovere o, comunque, da costringere all’angolo. Questa robaccia é anche nella Riforma Orlando.

Quarta implicazione. Che la sospensione della prescrizione, quella già vigente o quella che si annuncia, siano destinate a produrre reali effetti solo fra alcuni anni, non sposta di un millimetro la questione politica: conta l’orientamento, non il singolo passo. D’altra parte, da un Di Pietro all’altro, e in grazia di una difesa tecnica resa, di fatto, del tutto impotente, siamo arrivati fin qui. Negarlo, è ancora la cura del tè verde o dell’aspirina per il tumore.

Quinta implicazione. Niente che riguardi lo svuotamento del diritto, della Costituzione della Repubblica, della democrazia e della libertà in Italia, ha avuto luogo senza la diretta e deliberata guida e determinazione dell’ANM; e, in generale dei Magistrati italiani, della loro cultura media, della loro “visione del mondo”.

Solo per stare alla prescrizione e alla sua sospensione, ricordo qui, e solo a titolo d’esempio, alcuni “pronuciamientos”, più meno illustri, e tutti precedenti questi ultimi due, fondamentali, passaggi storico-politici (Orlando e Bonafede):

31 Gennaio 1997, dott. Francesco Saverio Borrelli: “L’Appello può essere soppresso. In alcuni casi, servirebbe a evitare la prescrizione”;

Gennaio-Marzo 2000, su Micromega: dott. Piercamillo Davigo: “...é poco funzionale che la prescrizione debba decorrere nel corso del procedimento, così da divenire un incentivo a dilatare i tempi del processo e ad impugnare sempre le sentenze di condanna”;

18 Giugno 2013: dott. Piero Grasso: “É prioritaria l’esigenza di rimodulare le dinamiche della prescrizione…valorizzando gli esiti del giudizio di primo grado”;

5 Gennaio 2015, dott. Giancarlo Caselli: “In tutti gli altri paesi si interrompe col rinvio a giudizio, al massimo con la sentenza di primo grado. Da noi invece non si interrompe mai…”;

22 Ottobre 2015: dott. Maurizio Carbone, Segretario Generale dell’ANM: “La prescrizione deve interrompersi con l’esercizio dell’azione penale, o quanto meno con l’inizio del processo o con l’emanazione della sentenza di primo grado”;

Il 14 Febbraio 2016: Dott. Armando Spataro: “…è assolutamente necessario che il Parlamento approvi una legge che interrompa il decorso della prescrizione almeno dopo la sentenza di primo grado, anche se sarebbe meglio che ciò avvenisse dopo il rinvio a giudizio“;

26 Maggio: Sen. Felice Casson (PD), in un emendamento alla cd Riforma Orlando: “la prescrizione cessa comunque di operare dopo la sentenza di primo grado”;

30 Maggio 2016, Dott. Nello Rossi, per dottrina, fra i più stimati magistrati italiani: “Sì, alla prescrizione chiusa dopo il primo grado”;

20 Luglio 2016, dott. Piercamillo Davigo: “…una volta che é l’imputato condannato che appella, perché non si acquieta della sentenza di primo grado, perché deve decorrere la prescrizione?”;

25 Settembre 2016, dott. Roberto Scarpinato: “Perché dopo la sentenza di primo grado deve decorrere la prescrizione?”.

Non esistono magistrati “buoni” e magistrati “cattivi”; esistono i Consigli Giudiziari (una sorta di CSM in ambito locale), e il CSM in ambito nazionale; esiste l’ANM; e le sue Giunte locali; dove tutti conoscono tutti, dove gli uni votano gli altri, conoscendone minutamente programmi, “cultura giuridica” e visione dell’uomo, per così dire.

Ancora per esemplificare: ammesso che il dott. Davigo impersoni singolarmente un’idea coercitiva della Giustizia, come superficialmente si afferma, è appena il caso di rilevare che, alle ultime elezioni per il CSM, é stato personalmente votato da 2552 altri magistrati. Tutti gli altri, circa 7500, concorderanno un comune governo della Magistratura. Peraltro, come si vede anche dagli esempi riportati, il coro è a più voci, ma lo spartito è unico.

Sesta implicazione. La nevrastenia punitiva (e si é visto come, mascherata da “nevrastenia accertativa”, sia, in realtà, solo “nevrastenia punitiva”) che definisce gli italiani come un “Popolo presunto colpevole”, é il completamento di un risalente catechismo socio-culturale, destro-sinistro, che per decenni in milioni hanno meticolosamente recitato contro “La Politica”: cioè, contro sé stessi; contro le conquiste democratiche seguite all’ultima Guerra Mondiale, insultate come fallaci e apparenti; contro ogni idea di vita sociale possibile, in quanto “compromessa col reale”.

Chiunque abbia recitato quell’infame catechismo, dalla scuola media in poi, si congratuli con sé stesso. Oppure se, almeno ora, comincia a preoccuparsi, é bene sappia che la mole storico-politica di questo disastro si misura sulla scala dei decenni e dei milioni di “partecipi”. Il rimedio, non potrà che esigere pari, se non maggiore, impegno. A cominciare dall’uscio di casa, e da stasera.

Fine delle implicazioni. Buona fortuna.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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