Quel mattino di Settembre si apprestava ad essere l’ennesimo giorno di gloria per l’unica superpotenza mondiale sopravvissuta alla guerra fredda. L’America fiduciosa nel futuro perché consapevole dei propri mezzi, della propria superiorità militare, accademica, economica e tecnologica, si accingeva a celebrare in una sorta di quotidiano rituale, il turbo capitalismo più sfrenato nelle strade di New York.
Alle 8:46am ora di New York, certezza, fiducia e subdole illusioni, lasciarono spazio ad un evento che ha cambiato il corso della storia. Quando il volo American Airlines 11 si schiantò contro la North Tower del World Trade Center, in pochi si resero conto fin da principio di cosa stava realmente accadendo, ma polvere, cartacce, fumo, fuoco e sangue, un fiume di sangue, iniziarono lentamente a ricoprire le strade di Manhattan, offuscando inesorabilmente quel lungo decennio di aspettative, libero scambio, pace preconfezionata e globalizzazione a tutti i costi. Come se d’un tratto quella bolla di fuoco, avesse riportato l’America, gli americani e l’Occidente tutto con i piedi per terra.
Altri tre aerei si abbatterono sugli Stati Uniti in quel giorno di metà settembre, altre tre bombe volanti destinate a minare lo spirito degli occidentali. South Tower del WTC, Pentagono e Casa Bianca (quest’ultima risparmiata grazie al coraggio dei passeggeri del United 93 che dirottarono l’aereo schiantandosi nelle campagne della Pennsylvania) erano nella macabra lista stilata dai jihadisti di Al Qaeda per portare morte e terrore in una terra fino ad allora inviolata, ben protetta da due oceani ai lati e da un sistema di difesa che, come mostrato, faceva purtroppo acqua da tutte le parti. Per oltre due secoli mai nessuno aveva azzardato così tanto, ma un certo Osama Bin Laden, figlio di élite saudite e legato a doppia mandata con quel mondo che tanto odiava, sapeva bene che per creare il caos mondiale doveva colpire laddove il mondo ha il suo cuore politico e finanziario. In parte, in larga parte, ci riuscì, se è vero che ancora oggi siamo impantanati in una guerra ai quattro angoli del mondo che è fatta più di bei propositi che di severa sostanza.
Ricordo le immagini di quegli uomini che si lanciavano dalle Torri Gemelle, preferendo morire schiantandosi dopo un volo di novanta piani, piuttosto che bruciare in quell’inferno di fuoco, ferro e cristallo. Ricordo le lacrime di mia madre, che ha vissuto la sua adolescenza a New York e che mi ha trasmesso l’amore per quella città e per questo Paese che oggi proteggo. Ricordo lo stupore di tutto, il gelo, la rabbia.
Ma ricordo anche la passione, la forza, il coraggio, l’orgoglio di chi quel che giorno rispose al terrore buttando il cuore oltre l’ostacolo, correndo tra le fiamme, salvando migliaia di vite, talvolta sacrificando la propria. Parlo di quegli eroi di Washington e New York, dei vigili del fuoco, dei poliziotti, dei soccorritori, dei cittadini comuni, di tutti coloro che ricoperti di polvere mostrarono al mondo che il terrore può buttare giù i nostri palazzi, ma non i nostri valori. Che animo in quegli uomini, gli unici veri eroi dei nostri tempi.
Quel giorno cambió la vita di molti di noi. Sicuramente cambió l’esistenza delle oltre tremila famiglie che persero un proprio caro in quel mattino di ordinaria follia. Senz’altro cambió la mia, dato che proprio quel giorno comprai il primo libro sul terrorismo islamico e forse in quel momento, guardando le torri bruciare, decisi che nella vita avrei combattuto chi vuol ridurre in cenere la nostra libertà.
Sono passati diciassette anni da quel giorno. Il mondo non è più lo stesso, noi siam diversi e anche l’America è drasticamente cambiata.
Il terrorismo, purtroppo, è ancora lì, aggressivo come allora, attraente più che mai per le seconde e terze generazioni di migranti, mezzo per sbarcare il lunario nelle periferie, collante sociale tra vecchi e nuovi fondamentalisti, così come per coloro che in esso hanno visto una nuova ideologia in cui riconoscersi, dopo il crollo delle grandi narrazioni nell’era postmoderna e l’inizio di una nuova era liquida e sempre più priva di identità.
Un fiume di denaro sostiene questa macchina della morte ben rodata, decine di migliaia di affiliati sono pronti a farsi saltare in aria e l’ideologia jihadista si è tramutata in un network denso e capillare che sfrutta ogni aspetto della nostra società liberale: dall’accoglienza scriteriata, al multiculturalismo bieco e senza logica, dal rispetto ossequioso delle altrui tradizioni, al chinare il capo dinanzi alla dittatura del politically correct, fino, ovviamente, ai social network indispensabili per fare proseliti. Oltre che ad un uso egregio del capitalismo finanziario, una vera e propria manna dalla cielo per chi deve ripulire miliardi di petrodollari e finte donazioni ad enti benefici da destinare alla jihad. Il terrore conosce profondamente l’Occidente, per questo gioca così bene le sue carte, per tale motivo sfrutta con sapienza le nostre debolezze, i nostri fantasmi, le nostre paure.
Non altrettanto si può dire dell’Occidente, o almeno una parte di esso, che continua a chiudere gli occhi di fronte ad una minaccia seria, drammatica, che passo dopo passo, attacco dopo attacco, ipoteca il nostro futuro e mina le fondamenta della nostra società e con essa i conseguenti patti sociali.

Ma noi, a diciassette anni di distanza, siamo ancora qui. Perché ne vale la pena. Perché lo dobbiamo alle migliaia di vittime del terrore in tutto il mondo. Perché siamo consapevoli che, con tutti i nostri difetti, siamo l’unica civiltà nella storia ad aver garantito ai propri cittadini diritti e libertà, uguaglianza e ricerca della felicità, per tutti, indistintamente. Perché dobbiamo avere la forza della Ragione, per dirla con le geniali parole di Oriana Fallaci.
L’11 Settembre non fu solo il giorno dell’attacco alle Torri Gemelle, ma fu il giorno in cui l’odio, la codardia e lo sprezzo della vita umana provarono a distruggerci, fallendo miseramente dinanzi alla forza della nostra storia, del nostro orgoglio, del nostro coraggio, dei nostri valori.
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