Ci è voluto qualche giorno – prudenza necessaria a schivare un catastrofismo prematuro – per capire che il cosiddetto “accordo” sull’immigrazione raggiunto dagli Stati europei dopo l’ultima riunione è l’ennesima farsa. Pazienza, dunque, se il premier Giuseppe Conte ha inizialmente promesso di non voler accettare “compromessi al ribasso”, dicendosi, a firma avvenuta, soddisfatto del risultato ottenuto chiudendo i porti alle organizzazioni che salvano vite in mare. Anche perché poi ha dovuto specificare che quel vertice, in effetti, sarebbe potuto andare meglio.
Visto quanto accaduto in queste ore, si potrebbe legittimamente sostenere che il novello atteggiamento di ribellione dell’Italia nei confronti dell’”Europa matrigna”, atteggiamento che qualcuno si aspettava avrebbe forse potuto giovare alle esigenze del Belpaese, abbia ad oggi prodotto niente di più e di diverso rispetto agli ultimi anni. Il tutto, sulla pelle di centinaia di richiedenti asilo, migranti e profughi chiusi fuori dai porti italici per essere stati salvati, in mare, dalle navi delle Ong, accusate senza lo straccio di una prova (ma anzi, fino ad ora con sole prove contrarie) dalla retorica gialloverde di essere in combutta con i trafficanti di uomini.
Chi, invece, è stata davvero in combutta con i trafficanti, perlomeno in alcuni suoi settori, è la Guardia costiera libica, quella a cui il precedente Governo italiano ha affidato la responsabilità di riportare i migranti che tentavano di attraversare il Mediterraneo nel Paese nordafricano famoso per le torture e i campi lager. Certo: per il ministro dell’Interno Matteo Salvini, quelle torture sono sola “retorica”: ma, anche in questo caso, le prove e le testimonianze, raccolte a livello internazionale, non sembrano avvalorare la versione del vicepremier.
Ad ogni modo, ciò che conta ora è constatare come nulla sia cambiato e cambierà a breve, neppure dietro le (legittime) rivendicazioni italiche e neppure con la (controversa) “linea dura” salviniana. L’unico punto su cui gli Stati sembrano essersi trovati d’accordo è la necessità di perseguire “un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’UE, il rafforzamento dell’azione esterna e la dimensione interna, in linea con i nostri principi e valori”. Come, poi, ciò possa effettivamente avvenire, e quali siano quei “principi e valori” enunciati genericamente nel documento, non è dato saperlo. Certo: occasionalmente, nel documento conclusivo si ritrova qualche frase o espressione che farebbe ben sperare l’Italia: “approccio condiviso”, “È una sfida, non solo per il singolo Stato membro, ma per l’Europa tutta”, “L’UE resterà al fianco dell’Italia e degli altri Stati membri in prima linea a tale riguardo”. Ma poi, a ben vedere, quelle affermazioni sembrano destinate a rimanere su un piano prettamente retorico. Ad esempio, quando si parla di istituire, in tutto il territorio UE, “centri sorvegliati istituiti negli Stati membri” che prendano in carico i migranti, si aggiunge poi che ciò dovrà avvenire rigorosamente “su base volontaria”: ed abbiamo visto, con le quote di redistribuzione, come tale “base volontaria” (non) funzioni a livello europeo.
Non solo: quelle misure, si legge, dovranno lasciare in ogni caso “impregiudicata la riforma di Dublino”, che è poi una delle ragioni alla base della sovraesposizione di Paesi come Italia e Grecia alla gestione dei flussi migratori. Da tre anni si discute della necessità di cambiare quel regolamento, e da tre anni gli Stati, al di là di qualche progresso ancora insufficiente, non riescono a raggiungere un accordo definitivo. Anche l’ultima riunione in questo senso, tenutasi all’inizio di giugno, si è conclusa in un nulla di fatto. In effetti, il documento riconosce sì la necessità di “trovare un consenso” su quel regolamento, “per riformarlo sulla base di un equilibrio tra responsabilità e solidarietà”, ma, ancora una volta, nulla dice su come e in quali tempistiche quell’accordo possa essere raggiunto.
Non solo: il testo, che pure registra una diminuzione dei flussi dall’anno 2015, è improntato su un approccio fortemente securitario sulla questione, ed esprime l’intenzione di rafforzare le politiche attualmente perseguite con la Guardia costiera libica e il “sostegno” alla regione. Tradotto, significa che l’Europa continuerà a chiudere gli occhi di fronte a quello che accade al di sotto della sua frontiera meridionale, e a sborsare denaro per bloccare i flussi migratori, nonostante torture, campi-lager e quant’altro. Nessun riferimento all’intenzione di aprire canali legali e sicuri di immigrazione, cosa che, come già abbiamo avuto modo di scrivere, dovrebbe essere la premessa necessaria ad ogni discorso serio sulla gestione dei flussi.
Altro dettaglio da sottolineare, la presa di posizione (seppur indiretta e implicita) sulle Ong. “Tutte le navi operanti nel Mediterraneo devono rispettare le leggi applicabili e non interferire con le operazioni della guardia costiera libica”, si legge in proposito. Un “contentino”, per così dire, concesso all’Italia di Conte, impegnata in una scientifica opera di screditamento e criminalizzazione delle organizzazioni umanitarie che salvano vite in mare. Contentino molto generico, si capisce: l’Europa mai avrebbe potuto esplicitare il concetto, in totale mancanza di prove su una ipotetica illiceità delle attività delle Ong. Di tutte le inchieste aperte sull’argomento, per ora nessuna ha mai portato alla luce l’esistenza di contatti illeciti tra chi salva vite umane e i trafficanti. Anzi: non più tardi di una decina di giorni fa, una sentenza della procura di Palermo ha assolto le ong Proactiva Open Arms e Sea Watch dall’accusa di traffico di uomini, sottolineando come le due organizzazioni abbiano operato nel rispetto della convenzione Sar siglata ad Amburgo nel 1979. La sentenza ha specificato peraltro che la scelta di sbarcare i migranti in Italia “rappresenta una conseguenza logica e una corretta gestione delle operazioni di salvataggio”. Peccato che, come spesso accade, tale assoluzione non sembra avere la stessa risonanza delle calunnie, delle accuse, delle voci, delle interpretazioni, che continuano a delegittimare il lavoro di chi, in fondo, andrebbe solo ringraziato per assumersi una responsabilità – quella di salvare vite umane – che competerebbe a tutti gli Stati europei.
In compenso, nel documento la cancelliera Angela Merkel è riuscita a far inserire un punto su quello che le premeva di più: i movimenti secondari dei migranti all’interno dell’Unione. Se sul futuro del regolamento di Dublino – che assegna il destino del migranti al primo Paese sicuro d’arrivo – resta un grande punto interrogativo, si afferma invece che tutti gli Stati devono impegnarsi, con tutte le misure legislative e amministrative necessarie, ad evitare che i richiedenti asilo si spostino all’interno del territorio europeo. Via libera, insomma, a tutte le Ventimiglia, le Bardonecchia, le Calais d’Europa, in barba a ciò che da anni continua a chiedere l’Italia. Per Merkel, questo punto era di particolare importanza anche per ragioni di politica interna, visto che il suo ministro Horst Seehofer, fautore della linea dura sull’immigrazione, si era detto pronto a far cadere il suo Governo nel caso in cui quel punto non venisse incluso nel documento finale. Ma il “respiro di sollievo” per la Cancelliera è durato giusto un attimo: notizia di oggi, Seehofer ha definito i risultati del vertice non “equivalenti” alla misura dei respingimenti immediati al confine che vorrebbe eseguire in Germania. Anche per Merkel, insomma, si preannunciano tempi duri.
E proprio mentre i capi politici europei s’industriavano a siglare tale accordo-farsa, davanti alle coste di Tripoli più di 100 persone venivano inghiottite dalle onde del Mediterraneo, nel totale silenzio dell’Unione. Intanto, il ministro dell’Interno Salvini annunciava ai media italiani “porti chiusi” per tutta l’estate alle navi delle Ong. Chiusura che, a quanto sembra, non è realmente destinata a sollecitare alcun approccio condiviso da parte dell’Europa, ma si tradurrà unicamente in meno solidarietà, da tutti e per tutti e, forse, più morti, più disperati, più reietti.