Se le son dette di tutti i colori. Si sono minacciati, derisi, avvertiti in modi non sempre convenzionali per poi, alla fine, sedersi intorno ad un tavolo in quel di Singapore per un meeting destinato ad entrare nei libri di storia.
Detta così, sembra una vicenda a lieto fine da fornire in pasto ai media di tutto il mondo, ma sappiamo bene che se i due intorno ad un tavolo sono Donald Trump e Kim Jong Un, difficilmente le tv, giornali e robe varie saranno generosi nei loro confronti. Ma andiamo per gradi.
Questo storico vertice, arrivato a margine di mesi in cui per poco non si è sfiorata una guerra nucleare, suggella un successo che potrebbe, o dovrebbe, valere a Trump un Nobel per la Pace (seppur questo Premio abbia perso di ogni valore o quasi, dopo essere stato assegnato sulla parola ad un Obama neo eletto Presidente) e una riammissione nel circuito internazionale a Kim. Ma sappiamo bene che, anche in questo caso, tutto ciò difficilmente accadrà.
Ma Singapore, benché siano ancora tecnicamente in corso summit bilaterali tra le delegazioni americana e nordcoreana, rappresenta un successo a priori. Per una serie di motivi. Su tutti? In primis perché avvenuto, cosa non affatto scontata alla vigilia. E poi perché fornisce, metodologicamente, una strada per poter avviare dialoghi in tutte quelle crisi destinate a presentarsi sul tavolo del Presidente Usa nell’immediato futuro: Iran, Venezuela, potenzialmente Unione Europea causa dazi e con tutta probabilità la Cina che sta vedendo la sua gallina dalle uova d’oro chiudere le porte, imponendo giuste e sacro sante regole di mercato al gigante asiatico.
Cosa c’è scritto in quel documento che Trump e Kim hanno siglato? Non poca roba direi. Avvio di relazioni diplomatiche tra i due Paesi; favorire le condizioni per una pace seria e duratura nella penisola coreana (con impegno Usa a fornire aiuti e sicurezza super partes); ritorno in patria dei caduti americani nella guerra di Corea degli anni cinquanta; ma soprattutto la completa e assoluta denuclearizzazione del regime di Pyongyang. Direi che era dai tempi in cui Reagan e Gorbaciov si incontrarono in Islanda, trentatré anni or sono, che il mondo non faceva passi simili verso la pace e che l’America recitava un tale ruolo da protagonista assoluto sullo scacchiere internazionale.
Ma qui c’è di mezzo Trump, ancor più che Kim secondo i media occidentali, per poter brindare e celebrare un qualcosa che entrerà nei libri di storia. C’è di mezzo quel deplorevole, incompentente, razzista, bigotto e chi più ne ha più ne metta, per poter dire in tutta franchezza “beh, effettivamente ha compiuto un autentico capolavoro diplomatico.”
Meglio pensare a De Niro che al Tony Award, in mondo visione, lo manda a quel paese e si becca la standing ovation dell’incensato mondo multi miliardario fatto di attori, starlette e ballerine politically correct che della guerra a Trump ne hanno fatto uno stile di vita, oltre che un gran bel business; meglio pensare a tutti quegli scandali montati ad arte che, fin dalle elezioni del 2016, martellano quotidianamente milioni di americani e che puntualmente, inesorabilmente, fanno la fine delle bolle di sapone; meglio pensare se Oprah davvero correrà alle elezioni del 2020, magari in ticket con De Niro, così i Democrats riusciranno davvero a farsi odiare e radiare dal popolo americano.
Personalmente, non avendo mai celato il mio supporto a Trump, ecco che oggi gioisco. Ma non devi essere un trumpiano o un conservatore per realizzare che oggi a Singapore, qualcosa di grande è stato raggiunto e che lui, l’uomo più odiato di sempre dai liberal di tutto il mondo, ha compiuto un miracolo geopolitico. Non bisogna nemmeno essere dei geni per capire che il portare al tavolo dei trattati Kim Jong Un, senza aver mosso nemmeno un militare ne tanto meno aver utilizzato un bombardiere, una portaerei o una testata nucleare, ha dell’incredibile. Ma nessuno lo dirà. Ok, pazienza, c’è ne faremo una ragione.
La storia ci dirà cosa ne sarà di questo accordo. In passato la Corea del Nord aveva preso impegni simili, senza mai ovviamente rispettarli. Nulla preclude che anche questa volta possa finire tutto in un nulla di fatto, si vedrà. Trump si dice fiducioso e, per quanto possa contare, anche io lo sono.
Ma una cosa è certa: i liberal possono urlare quel che vogliono, Hollywood può mandarlo a quel Paese, Stoccolma mai gli darà un Premio Nobel che meriterebbe a mani basse (che poi, siamo sicuri che lui voglia davvero quel premio?) e le élite possono continuare a snobbarlo. Nessun problema, tutto regolare.
Oggi a Singapore è stata riscritta la storia grazie soprattutto a Donald Trump. Questo è quel che conta.
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