Sacrosanto “il riconoscimento del diritto degli Stati di gestire i propri confini, e di difendere le proprie politiche migratorie”, ma “dovrebbero farlo in una modalità che sia attenta alla protezione delle persone e nel pieno rispetto del diritto internazionale”. Il Segretario Generale Antonio Guterres ha così risposto – in occasione dello stakeout di questa mattina all’ONU sui negoziati con la Corea del Nord che avranno luogo domani – a una domanda dei media italiani a proposito della decisione del ministro dell’Interno Matteo Salvini di chiudere i porti alla nave della ong Sos Méditerranée e di Medici senza frontiere, a lungo bloccata a 35 miglia dalle coste italiane e a 27 miglia da Malta con 629 persone a bordo. I migranti, tra cui 123 minori non accompagnati, undici bambini e sette donne incinte, erano stati soccorsi in sei diverse operazioni al largo della Libia con il coordinamento dalla Centrale operativa della guardia costiera di Roma (Mrcc).
Una decisione, quella di Salvini, probabilmente finalizzata a smuovere l’Europa intera a prendersi le proprie responsabilità – che certamente dovrebbero essere condivise di fronte alla crisi migratoria -, tanto che il titolare del Viminale ha chiesto a Malta di aprire i propri porti ai migranti. Richiesta rifiutata in toto da La Valletta, che ha fatto notare come le operazioni di salvataggio siano state coordinate dalla Guardia Costiera italiana, e come, pertanto, all’Italia pertenga la responsabilità di quelle persone.
La questione è giuridicamente ed eticamente complicata. Perché Malta – come ben osserva Vassallo Paleologo, avvocato della clinica dei diritti dell’università di Palermo – non ha mai sottoscritto alcune modifiche della convenzione di Amburgo del 1979 e della convenzione Solas introdotte nel 2004, norme che prevedono che lo sbarco avvenga nel Paese che ha coordinato i soccorsi. Da sempre, in quel tratto di mare, i soccorsi sono stati coordinati dall’Italia: perciò, sulla base della prassi e del diritto internazionale, toccherebbe all’Italia farsi carico di quei migranti. Da notare, tuttavia, che Malta ha dichiarato unilateralmente la sua zona di ricerca e soccorso (Sar), un’area molto ampia che però non è riconosciuta dalle autorità marittime internazionali. E non avendo sottoscritto quegli articoli del 2004, La Valletta, di fatto, rifiuta di fornire lo sbarco in un porto sicuro anche se il soccorso è avvenuto nella sua zona Sar.
Si può naturalmente discutere su questo rifiuto (anzi, sarebbe doveroso farlo), e sul fatto, ancora più in generale, che buona parte dell’Europa abbia da sempre lasciato sola l’Italia ad accogliere centinaia di migliaia di migranti giunti attraverso la frontiera del Mediterraneo. Non sappiamo, però, quanto la mossa di chiudere i porti a potenziali rifugiati possa in effetti giovare alla causa. Per ora, apprendiamo che la Spagna ha deciso di accogliere le oltre 600 persone bloccate in alto mare, per evitare una crisi umanitaria. Ma sappiamo anche che questo risultato è stato ottenuto sulla pelle di innocenti, tra cui donne incinte e bambini, rimbalzati per ore tra Malta e Italia come sacchi di patate.
Non a caso, le parole del Segretario Generale mettono l’accento su un punto: che ogni politica migratoria, anche la più restrittiva, debba avvenire nel pieno rispetto della protezione delle persone e del diritto internazionale. Avremmo voluto quindi chiedere a Guterres – o al suo portavoce – di esplicitare il proprio pensiero, rispondendo alla domanda: “Pensa che l’Italia stia violando il diritto internazionale?”. Una questione simile l’avevamo già posta in passato, a proposito dell’accordo tra Roma e il governo libico: Guterres ci rispose che la legge internazionale vieta il respingimento dei rifugiati, e nel caso in cui quell’accordo avesse consentito ciò in qualche misura, allora sì, sarebbe stato contrario al diritto internazionale. Questa volta, non abbiamo avuto modo di porre quella domanda aggiuntiva, anche se il monito del Segretario Generale, che pure evita di rivolgersi chiaramente all’Italia, non sembra avere bisogno di ulteriori specifiche.
Che cosa dice, dunque, il diritto internazionale? Partiamo dal presupposto che l’Italia, essendo uno stato sovrano, può decidere di chiudere i propri porti a navi che battono bandiera straniera nel caso in cui sussista il sospetto di una violazione delle leggi italiane e vi sia un pericolo tangibile per la pace e la sicurezza del Paese. Una possibilità, però, che ha dei limiti ben precisi. Nel caso in questione, poiché le operazioni di salvataggio sono state coordinate dalla Guardia costiera italiana, è l’Italia responsabile della sorte di persone in pericolo, i cui passeggeri, peraltro con viveri sufficienti per poche ore, potrebbero essere rifugiati a tutti gli effetti. Diverse norme del diritto internazionale stabiliscono inoltre che le persone soccorse in mare devono essere trasportate nel porto sicuro più vicino alla zona del salvataggio. Certo: dalla Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (SOLAS) e dalla Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (SAR) non discenderebbe tale obbligo formale perché, nei loro testi originali, non contemplano disposizioni sullo sbarco delle persone soccorse. Tuttavia, restano l’articolo 33 della convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e gli articoli 2, 3 e l’articolo 4 del quarto protocollo della convenzione europea dei diritti dell’uomo, in base ai quali l’Italia non può chiudere i suoi porti senza violare alcune norme internazionali sulla protezione dei rifugiati.
Per chi volesse approfondire, segnaliamo questo bel contributo. Qui resta l’intenzione di sottolineare come il Segretario Generale abbia posto l’accento ancora una volta sul rispetto del diritto internazionale, senza, però, specificare direttamente se ritiene che l’Italia lo abbia in effetti violato. Indicando quindi il peccato, ma non il peccatore.
Tra poco si terrà una riunione del Consiglio di Sicurezza sulla situazione in Libia. Seguiranno aggiornamenti…