“Incostituzionale”. Donald Trump torna a parlare del Russiagate, e lo fa pienamente nel suo stile: ben lungi dal tentare di pacificare, spara ancora più in alto. E lo fa, definendo l’investigazione del procuratore speciale Robert Mueller “incostituzionale”, in quanto lui, Presidente degli Stati Uniti, ha il potere di autoconcedersi la grazia presidenziale.
As has been stated by numerous legal scholars, I have the absolute right to PARDON myself, but why would I do that when I have done nothing wrong? In the meantime, the never ending Witch Hunt, led by 13 very Angry and Conflicted Democrats (& others) continues into the mid-terms!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 4, 2018
“Come è stato puntualizzato da un grande numero di esperti”, ha scritto Trump su Twitter, “ho l’assoluto diritto di concedermi la grazia, ma perché dovrei farlo quando non ho fatto nulla di sbagliato?”, si domanda. Ribadendo dunque la sua teoria di sempre – che non ci fu collusione con la Russia -, ma puntualizzando, quasi en passant, che la Costituzione gli dà il diritto di assolvere se stesso, anche qualora Mueller riuscisse a acchiapparlo nella sua rete. A questo proposito, il legale del Presidente, Rudy Giuliani, ha confermato che sì, Trump ha probabilmente il diritto di graziarsi, ma che – tranquilli tutti – non lo farà.
Un concetto in realtà già affermato in una lettera aperta di 20 pagine, pubblicata sul New York Times, indirizzata a Mueller dal rappresentante legale di Trump Jay Sekulow e dal suo allora avvocato John Dowd. La loro argomentazione si basava proprio sul fatto che Trump non potesse aver commesso alcuna ostruzione alla giustizia nell’inchiesta sulla Russia perché la Costituzione “gli dà il potere di chiudere l’inchiesta, o anche di esercitare il suo diritto di concedersi la grazia se necessario”.
Che questa argomentazione sia in effetti giuridicamente corretta, è oggetto di grande discussione sui media americani. Molti esperti di diritto sottolineano, in queste ore, che nessun Presidente mai utilizzò questa prerogativa verso se stesso, e che quindi la piena legittimità di una mossa simile è in discussione. Altri si confrontano animatamente sulla possibilità che – come sostengono i suoi avvocati – Trump non possa in effetti aver fatto ostruzione alla giustizia, visti i poteri che la Costituzione gli riconosce. Se dunque il licenziamento del direttore dell’FBI James Comey è una mossa formalmente legittima a livello costituzionale, per molti giuristi si può invece discutere sulla finalità, sull’intenzione che si nasconde dietro a quel licenziamento: tutte questioni certamente importanti, ma che si discostano dal centro della questione.
E il centro della questione è che, al di là della legittimità costituzionale di quella mossa, altra cosa è considerarne l’opportunità politica. Ma chi giudica su questo aspetto sono quegli stessi cittadini che hanno votato alle presidenziali americane che hanno portato il miliardario newyorkese a diventare il Commander-in-Chief in carica. Ora: se i suoi oppositori non avranno alcun dubbio nel giudicare inopportuna una eventuale grazia concessa a se stesso, chi lo ha votato e sostenuto fin dall’inizio difficilmente sarà toccato da questa decisione. E per diverse ragioni.
Primo: il “fenomeno Trump”, così come il populismo di casa nostra, non è venuto dal nulla. È, piuttosto, la risultante di un progressivo scollamento della politica e del cosiddetto “establishment” dalla vita concreta e quotidiana dei cittadini. Molti dei quali si sono sentiti in questi anni abbandonati anche da quei politici che, in teoria, per ideologia o vocazione, avrebbero dovuto difenderli dalle storture della globalizzazione, di un’economia governata dal verbo della finanza e dagli interessi di pochi, pochissimi. A queste persone, alla “pancia dell’America” – come è stato detto più volte – interessa poco o nulla del Russiagate. Continueranno a considerarlo, anzi, il tentativo dei “poteri forti” di togliere di mezzo un Presidente ad essi inviso – credono loro – come Trump. Il quale, invece, perderà il loro sostegno solo se e quando risulterà cristallino che la sua azione politica non avrà realizzato le promesse dell’incendiaria campagna elettorale.
Secondo: la strategia di comunicazione di Trump, per quanto balzana possa sembrare, è stata oculata e strategica fin dall’inizio. Da sempre mirata a far sì che il miliardario newyorkese potesse utilizzare a proprio vantaggio tutte le critiche che gli venivano rivolte dagli avversari. L’attuale Commander-in-Chief è riuscito nel suo intento legittimando dal primo istante il “politicamente scorretto”, ma anche l’insulto, la frase razzista, la (apparentemente) gaffe diplomatica. Trump si è posto come colui che avrebbe smascherato l’ipocrisia della politica, rappresentando se stesso come quello che è davvero: scurrile, fastidioso, aggressivo. Lo ha fatto per dire agli americani: “Sono quello che vedete, a differenza di tutti gli altri; di me potete fidarvi”. E in questo processo di totale e completo sdoganamento dell’istinto anche più triviale, e delle argomentazioni meno politicamente ed eticamente accettabili, tutto è concesso. È concesso il muslim ban, è concessa l’etichetta di “shithole countries” appicciata addosso ai Paesi di origine dei migranti, è concessa la guerra dei bottoni nucleari con Kim Jong-Un, è concesso il licenziamento di Comey. Su questa linea, sarebbe concessa anche la grazia presidenziale. Che poi, formalmente, secondo molti sarebbe legittima davvero, perlomeno a livello meramente formale.
Pazienza se, poi, una mossa simile sarebbe in completa contraddizione con lo stesso discorso di insediamento di Trump, discorso in cui affermò che il potere “torna agli americani”. Con la grazia a se stesso, al contrario, si potrebbe dire piuttosto che il potere torna nelle mani del sovrano assoluto, figura con la quale il primo presidente George Washington tanto si industriò ad evitare una sovrapposizione di ruoli. Perché sì: Washington volle un potere esecutivo forte, ma volle anche un sistema di contrappesi che impedisse che il comportamento di un Presidente sfociasse in quello di un monarca assoluto. Concetti peraltro attentamente ribaditi nel suo famoso discorso di commiato. Ad esempio, scelse di utilizzare per se stesso il titolo di “Mr. President”, rispetto ad altre alternative più pompose ma meno adatte al capo di una democrazia. Non a caso, le decisioni prese da Washington furono assunte in modo particolarmente prudente e oculato, perché il suo operato sarebbe servito da esempio ai futuri Presidenti.
Non sappiamo se Trump arriverà al punto di usare la grazia verso se stesso. Forse non sarà neppure spinto dalle circostanze a farlo, oppure, come i suoi avvocati hanno giurato, non deciderà comunque di non esercitare quello che loro definiscono un suo “diritto” costituzionale. Ma il fatto che abbia anche solo citato questa opportunità dimostra come il Presidente abbia ancora un grande asso della manica: il fatto, cioè, di non avere (o almeno non ancora) un elettorato disposto ad attenderlo al varco su queste questioni. Lo zoccolo duro dei suoi sostenitori, lo sosterrà nonostante tutto ciò o, addirittura, a maggior ragione. Ed è questa la sfida che i suoi avversari dovranno preparasi attentamente ad affrontare.