Un attentato passato quasi sotto silenzio. E non perché i media americani e internazionali abbiano mancato di garantire la consueta copertura, nonostante, fortunatamente, nessuno sia rimasto vittima dell’esplosione. Piuttosto, perché quella di una calma paradossale, rotta solo dalle sirene delle auto della polizia e dal rombo degli elicotteri, era la sensazione che si poteva respirare bazzicando per i luoghi immediatamente vicini al terminal di Port Authority, dove questa mattina, intorno alle 7.40, a un uomo originario del Bangladesh è esploso un contenitore mentre attraversava il tunnel che collega la metropolitana alle fermate degli autobus. Una vicenda che avrebbe potuto avere conseguenze spaventose: per fortuna, questa volta così non è stato.
Eppure, la reazione quasi stoica dei newyorkesi, reazione mostrata anche in occasione della strage di Halloween, resta comunque stupefacente: perché, nonostante la capillare presenza di FBI e forze dell’ordine in tutta l’area tra la 41esima strada e la settima Avenue, nonostante le strade transennate e le metro ferme, nonostante il traffico in tilt, i luoghi colpiti apparivano quasi completamente deserti, popolati, oltre che da polizia e giornalisti, quasi esclusivamente da un manipolo di persone silenziosamente ferme, quasi in fila, schierate di fronte ai nastri di sbarramento preposti a delimitare l’area interdetta ai civili. Nessun nervosismo, nessun pianto: solo abitudine. E a poche strade di distanza, riprendeva la vita, con i newyorkesi intenti, come ogni altro giorno “normale”, ad affrettarsi al lavoro con in mano i classici bicchieroni fumanti di caffè all’americana, necessario antidoto contro il freddo pungente di una giornata invernale tersa. Niente di strano si percepiva camminando lungo la 42esima strada; niente, incrociando la Fifth Avenue, sempre traboccante di turisti intenti a fare shopping; niente, approssimandosi alla Public Library, immersa in un’atmosfera particolarmente natalizia. I primi sentori li si potevano captare una volta superato Bryant Park e i suoi mercatini stagionali, dove una “macchia nera” di poliziotti schierati davanti all’entrata dell’Hilton Garden Inn risaltava agli occhi dei passanti.

Da lì, cominciavano ad intravvedersi le strade transennate, la polizia in ogni angolo, le luci delle sirene, la stampa e gli operatori televisivi – gli unici a poter valicare le transenne e le aree interdette ai passanti – stoicamente posizionati a riprendere la scena, nonostante il freddo. Poco lontano dal terminal colpito, un locale italiano dall’insegna verde, dall’inequivocabile nome “Stromboli”, è presto diventato un rifugio dal gelo per molti giornalisti: entrando, facilmente si incrociavano cavalletti, macchine fotografiche, telecamere e pc, oltre a qualche cliente tranquillamente seduto ai tavolini, intento a fissare distrattamente le immagini della CNN dallo schermo appeso sulla parete.

La sensazione, dunque, era quasi straniante: l’assoluta anormalità della situazione, marcata dall’ingombrante presenza delle forze dell’ordine, dalle strade ridotte a deserti di asfalto, con solo una piccola folla di passanti fermi, quasi ipnotizzati, in attesa di novità, e poi la vita normale che scorre a pochi passi. Un ragazzo appostato con qualche amico vicino alle transenne ci ha confessato di non essere spaventato: “Più che altro sono infastidito, ma forse perché sono arrivato in stazione per comprare il biglietto dopo l’attentato. Forse se fossi arrivato prima mi sarei spaventato”, ha affermato, mostrandosi subito disponibile a parlarci delle proprie sensazioni. Alla domanda se New York sia, a suo avviso, una “città sicura”, ha abbozzato un sorriso. “Penso che non sia corretto parlare di città sicura o non sicura”, ha risposto. E ha dichiarato che eventi di questo genere non possono farlo sentire più impaurito o spaventato rispetto a come sarebbe a Chicago o in altri luoghi. Ma quando gli chiediamo se secondo lui le persone si sono abituate a attacchi del genere, la sua risposta è icastica e accompagnata da un lungo e deciso annuire: “Purtroppo, penso proprio di sì”.
In mezzo alla piccola folla radunata poco lontano dal nastro di sbarramento, abbiamo quindi chiesto a una donna, ferma a osservare assorta l’intorno, quali fossero le sue sensazioni. Ci ha risposto di non essere spaventata, e di sentirsi al sicuro, perché la polizia a New York “fa il suo lavoro e gli agenti sono ovunque”, e infatti hanno subito preso l’attentatore “e questa è una buona cosa”. Non sarà questa bomba, dunque, a farle cambiare la propria percezione della città: “New York è un buon posto per vivere, mia madre è di New York, sono cresciuta a New York”, ha affermato orgogliosa. “Questo non è il primo attacco e la gente ormai è abituata”, ha aggiunto. Prevedendo, con una lucidità quasi spaventosa: “Ce ne saranno altri”. Infine, ha ipotizzato una spiegazione a quanto accaduto: “Penso che il target sia il Presidente, ma il Presidente vive alla Casa Bianca, non qui…”.
Poco lontano da quel punto, a Times Square, le luci e i colori di Broadway continuavano a brillare incuranti. E facilmente si poteva incrociare Minnie e Micky Mouse intenti ad accalappiare turisti per ottenere laute mance in cambio di una foto. Come se, per New York, fosse un giorno qualsiasi: e forse – quel che è peggio – lo è stato davvero.