Con il ballottaggio delle presidenziali alle spalle, Emmanuel Macron può iniziare senza più remore la realizzazione del suo programma riformatore. Due appaiono i punti di maggior attacco: la riforma del lavoro e del welfare, il rilancio delle istituzioni Ue.
Sulle seconde, la morte, a 87 anni, di Helmut Kohl, intervenuta venerdì, con il cordoglio e le prese di posizione che ha motivato in Francia, è stata occasione per uno squarcio imprevisto su quella che sarà l’agenda europea della Francia.
Commemorando il grande tedesco ed europeo democristiano, Macron ha detto ai francesi: “perdiamo un grandissimo europeo”. Il presidente ha lodato l’”artigiano dell’amicizia franco-tedesca”, quindi twittato la storica foto di Kohl e François Mitterrand, mano nella mano al campo di battaglia di Verdun, il 22 settembre 1984, uniti nel reciproco impegno a non consentire mai più che gli europei tornassero a sterminarsi tra di loro.
Mentre attende che Angela Merkel venga rieletta alla cancelleria a settembre, Macron lancia un messaggio chiaro sulla necessità che l’asse franco-tedesco riprenda a funzionare come motore dell’ulteriore avanzamento del progetto europeo.
Il fatto che davanti al palazzo Berlaymont, sede della Commissione a Bruxelles, in morte di Kohl siano state esposte le bandiere a lutto dell’Unione Europea, la dice lunga su come nei piani alti dell’Ue si guardi ai grandi leader che hanno fatto il poco d’Europa in funzione. Ha detto il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, che Helmut Kohl è stato l'”essenza stessa dell’Europa”, dichiarandosi “fiero per averlo conosciuto”. Macron e Merkel dovrebbero fare oggi quello che a suo tempo fecero Mitterrand e Kohl: tirare fuori le istituzioni dalle secche nelle quali sono finite per molteplici ragioni. Va però detto che in quella felice stagione europea, i due capi di governo potevano avvalersi della collaborazione e dell’amicizia di un gigante loro pari, Jacques Delors, rispetto all’imbarazzante debolezza dell’attuale presidenza di Commissione.
Il rapporto fra i tre era tale che alle decisioni comuni si arrivava anche sulla base di stima e fiducia reciproca, magari delegando a Delors, per il ruolo che ha la Commissione nelle istituzioni, di organizzare le cose nel rispetto di ogni compatibilità e quindi portarle agli stati membri per il loro consenso.
Ci fu un episodio, narrato dall’ex diplomatico italiano Cosimo Risi nell’articolo dedicato a Kohl uscito sul Corriere del Ticino venerdì 16, che vale la pena ricordare.
Si discuteva all’Unione dell’adesione di Austria, Finlandia, Svezia e Norvegia. Non tutti i paesi membri concordavano e Delors si sentì chiedere da Kohl cosa si dovesse fare per superare il punto morto. Il presidente della Commissione, tenendo presente il timore di alcuni paesi membri di perdere competitività rispetto ai nuovi, propose il varo di un pacchetto finanziario di sostegno ai vecchi stati membri. Come sempre, la Germania non vedeva con favore l’allentamento dei cordoni della borsa comunitaria, ma Delors seppe essere “insinuante e amichevole con Kohl”, certo del reciproco “flusso di simpatia e stima.”. Kohl, vinto dalla intelligente perspicacia di Delors, cedette: “fai un poco tu purché acquisisci il via libera alle adesioni”. Cosa che puntualmente accadde, perché a Delors, spalleggiato dal duo Mitterrand Kohl, nessuno si azzardava a dire di no.

Nell’attuale gioco europeo, si è anche abilmente inserita la diplomazia della Santa Sede, che terrà ad inizio autunno a Roma la grande assemblea dei vescovi europei per discutere come contribuire al rilancio degli ideali della Federazione. Sabato 17 il papa ha incontrato la cancelliera tedesca per la sesta volta, in colloquio privato. Di fronte ai niet della presente Casa Bianca alle iniziative multilaterali e globali su dossier chiave dell’evoluzione del sistema internazionale come il cambio climatico, le migrazioni, l’Africa della fame dei poveri e dei rifugiati, le diplomazie vaticana ed europea battono la medesima strada, in una sintonia che Merkel ha così riassunto: “Uniti nell’abbattere muri”.
Al G20 di Amburgo del 7 e 8 luglio, è intenzione tedesca far pesare l’accordo con la Chiesa Cattolica, per far pendere la bilancia in direzione opposta a quella auspicata da Donald Trump. Auspicabile che la presidenza del G20 coinvolga anche l’Ue o almeno il presidente francese, in omaggio al trattato bilaterale che lega Germania e Francia dal 22 gennaio 1963.
Sul fronte delle riforme per il lavoro, lo scorso 6 giugno, giocando a carte scoperte rispetto all’imminente scadenza elettorale, Macron ha presentato le sue riforme sociali, promettendo “rispetto” per tutti i partner sociali.
Il governo punta a correggere il codice del lavoro. Punti qualificanti come la legge d’“abilitazione” è rimessa al consiglio dei ministri del 28 giugno, prevedendosene la pubblicazione in gazzetta a settembre.
Ancora più avanti si metterebbe mano a questioni come cassa integrazione e assicurazioni in caso di disoccupazione, formazione professionale e apprendistato, pensioni.
Il governo intende fare presto e bene. Altra cosa è sapere se ci riuscirà, nonostante la straripante maggioranza parlamentare confermata nel secondo turno.

In campagna elettorale Macron ha espresso l’intenzione di cancellare 120.000 lavoratori nel settore pubblico. Sulla settimana lavorativa di 35 ore, ha proposto una clausola di flessibilità tale da poter essere condivisa tra datore e prestatore di lavoro, attraverso il negoziato caso per caso che tenga conto delle esigenze personali, oltre che collettive. Al tempo stesso ha preso l’impegno ad investire 50 miliardi di euro per l’aggiornamento delle infrastrutture, la formazione e l’istruzione.
A leggere il primo provvedimento governativo, sembra che la parola d’ordine sia “flessibilità”. Il che, in termini pratici, significherà lunghi mesi di trattative tra organizzazioni imprenditoriali e sindacali, senza conflitti sociali o manifestazioni che la Francia, percossa intensivamente dal terrorismo negli ultimi tempi, non può permettersi.
Il primo ministro Édouard Philippe e la ministra del lavoro Muriel Pénicaud hanno detto con chiarezza che il governo punta a far operare le parti sociali all’interno del modello della concertazione, non dello scontro, un meccanismo che in Europa ha avuto ampia applicazione nelle democrazie scandinave e in Germania, con i successi che sono sotto gli occhi di chiunque voglia vedere.
Sino al 21 luglio sono previsti una cinquantina di incontri, con ripresa subito dopo Ferragosto, così da arrivare alla pubblicazione dei decreti di riforma del codice del lavoro prima dell’autunno. Sembra di capire che il governo voglia garantirsi le regole del nuovo dialogo sociale, prima di imbarcarsi in quella che, nella campagna di Macron, è apparsa la questione chiave del suo quinquennato: rilanciare il lavoro attraverso un nuovo sistema di qualificazioni professionali, e consentire allo spirito d’intrapresa aziendale di dispiegarsi in piena libertà. In diciotto mesi il lavoro del governo dovrebbe essere concluso, e dovrebbe funzionare il nuovo quadro di rapporti sociali.
E’ come dire che Macron propone alla Francia, e in prospettiva all’Europa, un nuovo patto sociale, fondato sul rispetto e il potenziamento delle caratteristiche e delle possibilità individuali, che vanno sostenute e valorizzate. In più occasioni il presidente ha avuto modo di dire che solo in questo modo può darsi risposta alla sfida incessante delle innovazioni tecnologiche e della competizione internazionale.
Va detto che per ora l’elettorato che vuole riforme e cambiamento sembra essere in maggioranza, ma è inevitabile che a breve coloro che avversano il principio di flessibilità e dialogo sociale, si faranno sentire.
La prima occasione sarà probabilmente offerta dal tentativo del governo di unificare gli strumenti di rappresentanza degli interessi lavorativi all’interno delle imprese, ora ripartiti in ben 4 strutture: delegati del personale, comitato d’impresa, comitato d’igiene sicurezza e condizioni di lavoro, delegati sindacali.
Le misure sociali riguarderanno anche la protezione del posto di lavoro, con meccanismi che tendono da un lato a facilitare il licenziamento nelle piccole imprese con ciclo negativo, dall’altro a consentire maggiori opportunità di assunzione nelle imprese col vento in poppa. Probabile opposizione sindacale, per la giustificata preoccupazione che dare mano libera alle imprese sui licenziamenti significa potersi ritrovare con un mercato del lavoro depresso.
A leggere Libération il governo sta preparando un vero e proprio “sisma” (titolo a tutta pagina del 7 giugno), che si tradurrà nel “Big bang libéral” che non ha ancora comunicato alle parti sociali (apertura di seconda pagina). La tesi è che il governo stia per ora tastando il terreno del dialogo sociale, ma che ha ben altro nella testa, volendo cambiare le regole del gioco che sinora hanno garantito la sostanziale pace sociale nel paese.
Anche più preoccupate le bordate di l’Humanité, giornale dei comunisti francesi, che accusa il governo di aver innescato la “bombe” a scoppio ritardato contro il modello sociale vigente. Secondo il quotidiano comunista il governo punta a “dinamitare” (dynamitage) i diritti dei salariati.
Quello che deve risultare chiaro a Macron è che passi falsi sul sociale costerebbero molto al suo progetto di rilancio europeo. Una delle questioni strategiche di detto rilancio sta nel recupero della cultura ispirativa delle prime Comunità, che era fatta essenzialmente di due cose: pace e socialità, sulla scia dell’insegnamento della dottrina sociale della chiesa e della scuola socialdemocratica di Francoforte. Non casualmente già nella prima comunità si prevedeva l’esistenza del Comitato economico e sociale, e provvedimenti, anche delle Corti di giustizia, molto sensibili ai problemi del mondo del lavoro.
Occorre rilanciare il modello di Europa sociale, anche per non perdere completamente il contatto con la realtà e il suo ribollire elettorale che in più di una occasione ha guardato ai populismi per le soluzioni che i partiti tradizionali non erano in grado di fornire.