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December 31, 2016
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Anno I dell’era Trump: auguri e teniamoci forte

Per questo Capodanno non riusciamo ad essere ottimisti ma speriamo di aver torto

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 6 mins read

Cari lettori sparsi nel mondo,

Per l’anno che verrà, teniamoci forte. Non me ne vogliate, lo so che a capodanno si dovrebbe essere allegri e lanciare presagi di ottimismo. Qui il numero 17 c’entra nulla, basta il pensierino da incubo che tra 20 giorni, nella studio ovale, entrerà per restarci quattro lunghissimi anni Donald Trump e la sua banda di consiglieri… Se un anno fa chiunque avesse predetto che il prossimo Presidente degli Stati Uniti sarebbe stato quel palazzinaro che in un demenziale programma tv esclamava “you are fired!” (sei licenziato!),  l’avrei preso per pazzo. Invece ecco la follia che entra alla Casa Bianca, grazie ad una vittoria elettorale che appare persino essere stata condizionata – per la prima volta nella storia della democrazia USA – da un intervento esterno di una potenza straniera. Tenetevi forte quindi, l’anno che verrà sarà il primo dell’era trumpiana dove tutti potremmo sentirci di colpo dentro a un reality horror-show. Siete pronti?

Qualcuno pensa già che con l’avvento di Trump alla Casa Bianca anche il giornalismo non serva più.  Già, il nuovo Presidente comunica twittando con la sua America che se ne infischia di cosa scrive la stampa su di lui, ma chissenefrega se la Russia di Putin lo ha aiutato a vincere…. Ai tempi di Mussolini e Hitler il giornalismo sparì dall’Italia e dalla Germania, regnava solo la propaganda. Oggi a Trump bastano i suoi twitt dall’alba al tramonto, che col linguaggio spregiudicato del capo rimbalzeranno milioni di volte tra seguaci, appunto i “follower”, sempre d’accordo col suo verbo.

Con questo strumento di propaganda immediata, che siamo pronti a scommettere continuerà anche dalla Casa Bianca, Trump è riuscito a capovolgere la realtà in un modo stupefacente. In italiano c’è un’espressione perfetta: “rigirare la frittata”. Trump, da Presidente eletto non ancora alla Casa Bianca,  stravolge la politica estera americana? Gli basta un twitt e invece sarà tutta colpa del Presidente Barack Obama che prende decisioni “irresponsabili”, poi arriverà Trump e aggiusterà tutto…

Obama afferma che ha le prove che la Russia è intervenuta nella campagna elettorale, condizionandola, diffondendo tramite wikileaks gli email sottratti a Hillary Clinton e ai consiglieri e funzionari del Partito democratico (e-mail che alla fine non carpivano nessun segreto “criminale”, ma che grazie allo spin dello stesso Trump e dell’FBI hanno dato l’apparenza di possederlo per un tempo sufficiente allo scopo). Quindi come ritorsione, il Presidente in carica (in grave ritardo) espelle 35 diplomatici russi, ma ecco che con Trump la frittata magicamente si rigira. Il pericolo non è più Putin armato di una squadra di hacker segreti, ma Barack che non si fa i fatti suoi e non volta pagina…

Questa settimana ecco anche la “frittata rigirata” in occasione del voto al Palazzo di Vetro per la risoluzione contro il proseguimento degli insediamenti dei coloni israeliani nei territori occupati da Israele dopo la guerra del 1967. “Much ado about nothing” l’avrebbe resa in commedia Shakespeare, per una questione infatti dove non ci dovrebbe essere discussione, perché da almeno 40 anni gli Stati Uniti sono schierati con il resto del mondo nella condanna di un atto ritenuto illegale per il diritto internazionale e che allontana la pace mettendo in pericolo la stessa sicurezza di Israele (sicuramente ne mette in pericolo la sua sopravvivenza come democrazia). Ma ecco che con Trump ti diventa di colpo una vendetta di Obama contro Netanyhau, una coltellata alle spalle di Israele… Invece non era mai successo che un Presidente non ancora in carica come Trump, alla vigilia di un voto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, chiamasse al telefono il presidente dell’Egitto, il dittatore egiziano Al Sisi, per intimargli di non presentare più la risoluzione che gli stessi Stati Uniti erano pronti a far passare. Avete capito bene? Trump ha intimato, e ovviamente l’egiziano che deve il suo potere agli aiuti di Washington, pur perdendo la faccia, ha subito obbedito. In questo caso il voto era stato solo rimandato, perché poi subito la Nuova Zelanda, con Malesia, Venezuela e Senagal, hanno ripresentato la risoluzione che l’Egitto aveva lasciato cadere. E sapete chi, a pochi minuti dalla votazione, ha cercato ancora di guadagnare tempo? La Russia che al momento del voto pubblico del Consiglio di Sicurezza,  chiede una ulteriore riunione a porte chiuse… Trump-Putin-Netanyhau contro il resto del mondo? E il cattivo sarebbe Obama? Tenetevi forte.

E grazie ai twitt di Trump e, diciamolo pure, alla pavità di alcuni senatori anche democratici – come quello di New York Charles Schumer – per i quali Israele ha sempre ragione anche quando il suo governo ha torto, ecco che la frittata viene rigirata di nuovo, con l’amministrazione Obama sarebbe nemica di Israele…

Chi lo afferma, per primo il premier Netanyahu, sa di mentire. L’amministrazione Obama è quella che ha firmato il pacchetto di aiuti militari nei confronti di Israele più grande della storia degli Stati Uniti: 38 miliardi di dollari per i prossimi 10 anni. Mai era stato fatto dagli USA un accordo bilaterale di questa portata nella sua storia. E’ toccato al Segretario di Stato John Kerry mettere in chiaro che il pericolo nei confronti di Israele in questo caso viene proprio dalla politica estremista del governo di Netanyhau, che rischia di far saltare l’idea stessa del processo di pace e che però adesso trova in Trump una comoda spalla.

Cari lettori, questi bocconi amari di trumpismo, ingozzati tutti in una settimana e quando ancora the Donald non twitta dall’Ufficio Ovale, rischiano di deprimerci nella notte di capodanno. Ma non faremmo il nostro mestiere di giornalisti se non comunicassimo questa nostra genuina apprensione a tutti voi che magari leggerete anche da angoli di mondo molto lontani da qui, dove le forti scosse del terremoto Trump ancora non sono state avvertite. Da New York invece non ci illudiamo e riteniamo che tutti nel mondo debbano esserne coscienti: al 2017 brinderemo di certo, ma senza farci illusioni sull’Anno I dell’era Trump, sperando di sbagliarci.

A Wall Street intanto festeggiano e fanno salti di gioia? Che gli interventi economici di stampo reganiano alla radice quadrata annunciati da Trump portino euforia ai mercati, ci sembra una notizia scontata. Ma più la baldoria dell’effetto trumpiano durerà e farà salire i mercati, più sarà alto il precipizio per la loro sicura ricaduta, quando certe bolle speculative senza più controlli saranno destinate a scoppiare. E anche qui, teniamoci forte sperando di esagerare.

Un pensiero di fine anno a questo punto lo rivolgiamo anche all’Italia, che dopo la sconfitta al referendum costituzionale del Si ha perso il governo di Matteo Renzi ma ha trovato in quello di Paolo Gentiloni il suo “gemello”, che infatti con “orgoglio” ne rivendica la continuità. Ecco, qui invece vogliamo essere ottimisti, siamo fiduciosi che dopo lo “schiaffone democratico” ricevuto dagli italiani nell’ultimo referendum, il governo e soprattutto il Parlamento vorranno trovare l’intesa per una riforma elettorale condivisa che porti alle elezioni. Così si rischia il trumpismo anche in Italia?

Trump non è paragonabile a quello che si vede all’orizzonte politico italiano. E poi, riflettiamo: cosa sarebbe successo in Italia negli ultimi cinque anni senza l’avvento del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo? Dove sarebbero andati a finire quei milioni di voti di cittadini incazzati, scusate ma è la parola giusta, con una classe politica che da almeno venti anni sembra incapace di rispondere ai bisogni di chi ogni giorno si sente più povero e insicuro? Alla Lega di  Salvini? Beh, seppur con tutti i difetti e le stravaganze che hanno messo in mostra anche i Cinquestelle, non c’è paragone.

Da qui l’Italia ci appare bisognosa di un governo politico scelto dalla maggioranza degli italiani: il PD e le altre forze tradizionali della politica italiana, grazie anche alla sfida concreta rappresentata da M5S, hanno anche loro la possibilità di scuotersi e rinnovarsi. In Italia un’altra buona dose di democrazia (intromissioni russe permettendo) potrebbe rafforzare un ancora Bel, anzi Bellissimo Paese che ha, ne siamo convinti, tutte le risorse umane per stupire il mondo.  Bisogna dargli solo fiducia.

Tornando per un attimo all’ONU, dal 1 gennaio l’Italia entra al Consiglio di Sicurezza. Sarà solo per un anno, perché ha condiviso l’elezione del seggio con l’Olanda. Anche qui siamo fiduciosi e con La Voce seguiremo da vicino la missione italiana guidata dall’ambasciatore Sebastiano Cardi, sicuri che l’Italia ci farà inorgoglire per il suo tradizionale atteggiamento in difesa della pace e dei diritti umani. E’ vero, all’ONU è frustrante quando si assiste all’incapacità di prendere le decisioni che servono immediate, ma a volte è proprio nel Consiglio di Sicurezza che di colpo si accelera la storia e si riesce a risolvere certe crisi come in nessun altro organismo internazionale esistente. Come proprio in queste ore, speriamo, sta accadendo per la Siria.

Vorremmo avere torto marcio sulle nostre aspettative della presidenza Trump, e se accadrà ne saremo per primi contenti. Intanto, rimanendo allerta e pronti a raccontarvene le malefatte, a tutti i nostri lettori sparsi nel mondo promettiamo un anno di racconti da New York sempre all’insegna della libertà e della bellezza.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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