“C’è stata una sparatoria quando siamo entrati ad Aleppo Est per la prima evacuazione. Proprio fino all’ultimo minuto, non era chiaro se saremmo entrati. Una gru è stata utilizzata per rimuovere alcuni detriti dalle strade in modo da far passare ambulanze e pullman. C’erano alcune auto bruciate, il fumo saliva dagli edifici vicini. C’erano molta paura e incertezza”. Con queste parole, il capo-delegazione del Comitato Internazionale di Croce Rossa in Siria, Marianne Gasser, descrive l’entrata del convoglio umanitario ad Aleppo Est. Anche operatori umanitari di lungo corso, con tanta esperienza in zona di guerra, sono rimasti sconvolti dalla situazione che hanno trovato davanti ai loro occhi.
Le condizioni di sicurezza e l’accordo tra le parti, però, è durato molto poco: in circa 24 ore, tra venerdì a sabato, 100 tra volontari e operatori della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa hanno evacuato più di 4000 civili, tra cui più 300 bambini e qualche centinaio di feriti. Poi la tensione è risalita, un conflitto a fuoco è iniziato e l’operazione umanitaria si è fermata. La speranza è che possa riprendere nelle prossime ore.
Purtroppo, però, il dramma di Aleppo è solo uno dei drammi quotidiani che il popolo siriano è conflitto a vivere da oltre cinque anni. I numeri (fonte UNHCR) rendono bene l’idea della catastrofe umanitaria: 4.8 milioni di siriani, o forse di più, sono rifugiati nei paesi limitrofi, centinaia di migliaia in Europa, e 6.6 milioni di sfollati all’interno della Siria, rispetto ad una popolazione che prima della guerra era di oltre 20milioni di persone. In pratica più della metà della popolazione siriana è forzatamente in movimento, non ha più una casa, vive nella disperazione. Senza dimenticare ovviamente un conflitto che ha prodotto almeno 300.000 morti, ma il numero potrebbe essere tragicamente più grande.
Aleppo è l’icona di una delle più grandi catastrofi umanitarie dai tempi della Seconda guerra mondiale: in Siria ci sono quasi 100 fazioni armate, tra ribelli più o meno radicali e milizie filo-Assad, più di dieci nazioni in qualche modo implicate, senza contare Daesh e ovviamente il governo siriano. Nel conflitto siriano sono saltate le regole basilari della guerra, ci sono zone assediate per mesi dove non c’è accesso umanitario, ci sono report di persone torturate o usate come scudi umani e neanche la Croce Rossa è sempre rispettata. La Mezzaluna Rossa Siriana ha pagato un tributo di sangue di oltre 50 volontari, uno dei numeri peggiori dal secondo conflitto mondiale: in Siria le leggi di guerra, il diritto internazionale umanitario, le Convenzioni di Ginevra e anche il motto “non si spara sulla Croce Rossa” non sono rispettati.
Il mondo dell’umanitario continua a fare il possibile per aiutare chi soffre. Gli 11.000 volontari della Mezzaluna Rossa Siriana sono operativi in quasi tutto il territorio, ma i bisogni sono enormi. Tanto per fare un esempio, solo l’8 dicembre circa 11.000 civili, tra cui 4.000 bambini, sono scappati dalla parte orientale di Aleppo verso l’Ovest. Ogni intervento può sembrare una goccia in mezzo a un oceano di disperazione, violenza, crudeltà, rassegnazione. Ad Aleppo Est mancano i servizi essenziali: non c’è la benzina per i generatori e conseguentemente non c’è la luce e mancano i riscaldamenti, con un clima molto severo. E ancora, l’assistenza sanitaria è praticamente inesistente, acqua e cibo sono sempre di meno. L’evacuazione, se e quando ricomincerà, potrebbe durare giorni, ha fatto sapere il Comitato Internazionale di Croce Rossa. Ma la popolazione civile deve essere rispettata anche se decidesse di rimanere nelle proprie case ad Aleppo Est e l’accesso umanitario deve essere garantito: questo dicono le regole di guerra e del diritto internazionale umanitario.
Purtroppo della crisi siriana si parla solo quando c’è una questione politica sul tavolo, ma negli ultimi cinque anni è andata avanti quasi sempre nel silenzio generale.
Aleppo, come tutta la Siria, lancia un ennesimo grido disperato: fate qualcosa prima che sia troppo tardi. Sembra strano dirlo, ma anche in guerra ci sono delle regole da rispettare e i combattenti si devono fare carico di rispettarle. E poi serve una soluzione politica al conflitto il prima possibile. Gli operatori umanitari possono fare qualsiasi cosa, ma è la Comunità internazionale che deve intervenire. Per un volta, dimenticando veti, posizioni partigiane, interessi di bottega e ricordandosi dei milioni di siriani che soffrono: la storia e le generazioni future non perdoneranno l’ignavia, il silenzio e l’immobilismo internazionale.