L’11 Settembre di quindici anni fa vivevo con la mia famiglia a Cornwall-on-Hudson, ben distante dal fumo delle torri gemelle ma non così lontano da non avere, tra i quasi tremila cittadini deceduti quel giorno, anche alcuni coraggiosi vigili del fuoco che crescevano le loro famiglie in quel paesino sulle rive dell’Hudson.
Quel giorno, dopo aver dato precise istruzioni a mia moglie di caricare la station vagon e in caso puntare a nord con i bambini e il cane, andai al lavoro per chiudere un giornale con quei pochi giornalisti che riuscirono a raggiungere in New Jersey la redazione di America Oggi.
Capimmo subito che l’America e il mondo non sarebbero stati più quelli conosciuti fino al 10 settembre 2001. Che avevamo vissuto in meno di 24 ore, il passaggio di un’epoca. E quello che mi angosciava, oltre al dolore per tutte quelle vittime, era il pensiero che la natura aperta e accogliente dei newyorchesi, mai diffidente verso colui arrivato da lontano, sarebbe potuta cambiare. La rabbia che sentivo allora crescere era basata anche sulla paura che i terroristi avessero potuto vincere proprio su quello, nel cambiare il carattere degli americani di New York.
Ci sono tantissimi ricordi e tantissime emozioni che tornano alla mente di quei giorni. Ma oggi le mie sensazioni non sono determinate da quel terrore e quella disperazione vissuta, ma dal ricordo di come dopo quei terribili giorni ebbi la certezza che sarei ormai stato, per sempre, a new yorker. Come in quei giorni capii che questa sarebbe stata la mia città per il resto della mia vita, la città in cui avevo prima vissuto per sei anni e dove mi sarai ritrasferito per voler far crescere i miei figli e far diventare anche loro per sempre newyorchesi.
In quei giorni del terrore, vidi tanti cittadini di New York, gente che per metà era composta da uomini e donne arrivati da ogni angolo della terra, vivere la tragedia in un modo da far sentire così orgoglioso di esserne parte. Non so come avrebbe potuto reagire un’ altra grande metropoli che avesse subito un attacco simile, ma come NYC, dopo lo schoc, dimostrò al mondo la sua “resilience” ( capacità di ripresa), resterà per sempre la testimonianza più visibile dello spirito e del carattere degli abitanti di questa eccezionale città.

Per mesi si videro nelle strade, nella subway, ovunque, i manifesti con le foto delle vittime scomparse e molte mai ritrovate. Stringeva il cuore, ma quelle immagini, quegli sguardi di newyorchesi felici la cui vita era stata spezzata in maniera così drammatica, erano anche una chiamata a non abbandonare la città e a non cambiarne lo spirito, a farla tornare al più presto possibile forte e dinamica, e poter onorare nel migliore dei modi il ricordo di quelle vittime. Il Memorial con tutti quei nomi scolpiti ai bordi di quelle enormi vasche dove emergevano prima le torri, mi emoziona ancora, e ad ogni nome riconosco quelle foto nei muri delle città. New York ha saputo scolpire nel cuore di Downtown il ricordo indelebile di quei sfortunati suoi cittadini per sempre.
L’11 settembre per coloro che persero un familiare o un amico fu una prova umana terribile, quella che ti cambia l’atteggiamento nei confronti della vita. Ma resto convinto che, per come New York ha dimostrato al mondo di non essere cambiata nel suo spirito e carattere, nel rimanere la città del mondo più accogliente e aperta al nuovo che viene da lontano – tanto da far apparire quel suo cittadino Donald Trump “irriconoscibile” ad un new yorker – da quella tragedia la città sia riuscita a rimanere un esempio per il resto del mondo. New York, a quindici anni da quel giorno nefasto, merita di essere ancora al centro del mondo come e più di prima.