“Amicizia, amore e ricordo sono i migliori antidoti contro la violenza e il razzismo e, a tale proposito, voglio leggere a tutti voi un passo tratto dal libro di Primo Levi Se questo è un uomo, in cui è presente la questione sul più forte legame tra gli esseri umani: quello tra madre e figlio”. Così il console generale Natalia Quintavalle nell’aprire l’evento della lettura dei nomi dei deportati ebrei italiani nei campi di sterminio nazisti, che si tiene al Consolato di Park Avenue il 27 gennaio, giorno della memoria. Ed ecco il passaggio dal libro di Levi, letto da Quintavalle:

“Ero stato catturato dalla Milizia fascista il 13 dicembre 1943. Avevo ventiquattro anni, poco senno, nessuna esperienza, e una decisa propensione, favorita dal regime di segregazione a cui da quattro anni le leggi razziali mi avevano ridotto, a vivere in un mio mondo scarsamente reale, popolato da civili fantasmi cartesiani, da sincere amicizie maschili e da amicizie femminili esangui. Coltivavo un moderato e astratto senso di ribellione. […] Come ebreo, venni inviato a Fossoli, presso Modena, dove un vasto campo di internamento, già destinato ai prigionieri di guerra inglesi e americani, andava raccogliendo gli appartenenti alle numerose categorie di persone non gradite al neonato governo fascista repubblicano. […] E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, né italiani né tedeschi, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno di dover morire. Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare?”.
Il Console Generale Quintavalle ha quindi invitato gli italiani di New York a rivolgere un pensiero alle vittime della Shoah, in occasione della ricorrenza del Giorno della Memoria, istituita nel 2000 dal Parlamento Italiano per ricordare la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’armata sovietica, avvenuta il 27 gennaio 1945.
“Con questa iniziativa – ha spiegato la Quintavalle – vogliamo esprimere la nostra speranza e il nostro impegno affinché tali avvenimenti non vengano mai dimenticati. Vogliamo incoraggiare un maggiore impegno e una crescente consapevolezza tra le organizzazioni internazionali diplomatiche, istituzionali e all’interno della società civile contro ogni forma di violenza e razzismo nei confronti del popolo ebraico e ogni forma di rinascita dell’antisemitismo. Oggi tutti noi prendiamo una pausa dalla nostra routine quotidiana condividendo il dolore delle vittime e provando il più forte possibile a farci carico della vergogna degli atti barbarici perpetrati da parte di essere umani nei confronti di altri essere umani”.
La cerimonia ha visto una folta adesione da parte di autorità diplomatiche italiane e straniere, così come di rappresentanti istituzionali, giornalisti, studenti e semplici cittadini, giunti al 690 di Park Avenue per onorare le vite spezzate degli italiani deportati nei campi di concentramento tra il 1943 e il 1945.
“Abeasis Alberto, Abeasis Clemente, Abeasis Giorgio, Abeasis Rebecca” e ancora, “Di Castro Emma, Di Castro Ermelinda, Di Castro Giorgio, Di Castro Giovanni”: sono solo alcuni delle migliaia di nomi pronunciati da chi è intervenuto tra le nove del mattino e le quattro del pomeriggio per commemorare le vittime dell’Olocausto. “Dietro ogni nome c’è una vita, una persona, una storia, una madre, un fratello, un vicino di casa, un amico, un insegnante, una famiglia”, ha detto Alessandro Di Rocco, Presidente del Centro Primo Levi.

Alla cerimonia hanno anche partecipato gli studenti della Scuola Marconi, che hanno a turno letto moltissimi nomi. Avvicinando due di loro, Giorgio e Marco, entrambi arrivati quest’anno a New York, rispettivamente da Foggia e Roma, abbiamo chiesto che cosa pensassero di questa esperienza: “E’ la nostra prima giornata della memoria a New York e per noi è stato molto emozionante leggere quei nomi. In Italia, nelle nostre scuole, abbiamo in questi anni ricordato la giornata con un minuto di silenzio. Ma questa lettura svolta a New York, fa sicuramente un altro effetto”.
Contemplato in un calendario di significativi eventi che avranno luogo fino al prossimo 4 febbraio, l’evento è stato promosso dal Consolato Generale d’Italia, dal Centro Primo levi, dall’Istituto Italiano di Cultura a New York, dalla Casa Italiana Zerilli Marimò della NYU, dall’Italian Accademy della Columbia University e dall’Istituto italo-americano John Calandra della City University of New York.