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March 25, 2015
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Ted Cruz: il can che abbaia e…morde?

Marcello CristobyMarcello Cristo
Time: 4 mins read

Negli anni 60, lo zoologo austriaco Konrad Lorenz, pubblicó un interessantissimo studio sul comportamento dei cani domestici.

Lorenz aveva notato che molti di essi, durante la passeggiata fisiologica quotidiana in compagnia dei loro padroni, avevano l'abitudine di ringhiare, abbaiare furiosamente e di scagliarsi in maniera estremamente aggressiva contro gli altri cani incontrati al parco. Il più delle volte, queste schermaglie si limitavano per lo più a delle "sceneggiate canine" fatte di tanto fumo e niente arrosto perché, ai primi segni di zuffa, i padroni, erano sempre pronti a trattenere i loro animali al guinzaglio impedendo ai due "contendenti" di avvicinarsi l'uno all'altro.

Lorenz formulò la teoria che questi scontri simbolici a distanza, sembravano così intensi e aggressivi proprio in virtù della distanza stessa. In altre parole i cani, anche quelli più piccoli, potevano permettersi queste "smargiassate" perché sapevano benissimo che sarebbero stati trattenuti dai rispettivi padroni e che quindi, l'eventualità di un vero e proprio confronto fisico sarebbe stato pressoché impossibile.

Questa teoria fu confermata da esperimenti in cui, ai primi segni di rissa, i due cani venivano liberati dal guinzaglio e lasciati liberi di venire alle… zampe.

Nella stragrande maggioranza dei casi, tutta l'aggressività sfoggiata fino a qualche secondo prima svaniva puntualmente appena i due animali si rendevano conto di essere in una situazione in cui dovevano passare dai…latrati ai fatti.

Questo studio, mi é tornato alla mente in seguito alla recente candidatura alle elezioni presidenziali del 2016 di Ted Cruz, senatore texano tra i più estremisti del contingente repubblicano, beniamino del Tea Party, l'ala ultraconservatrice del partito e primo politico in entrambi gli schieramenti a dichiarare ufficialmente la sua discesa in campo.

Proprio in virtù della sua reputazione e dell'insofferenza che riesce a suscitare persino all'interno dei suoi stessi ranghi, é estremamente difficile che Ted Cruz riesca a conquistare la nomina presidenziale del GOP. Questa candidatura appare piuttosto come un tentativo, da parte sua, di ribadire il ruolo che si era già ritagliato in precedenza, di paladino degli ultraconservatori e dell'ala più irriducibile e oltranzista del Partito Repubblicano.

Il successo e la fama che Ted Cruz é riuscito a guadagnarsi durante un periodo relativamente breve nell'arena politica, hanno a che fare con la sua propensione ai gesti teatrali e con il suo intransigente massimalismo ideologico, una combinazione che ha dato luogo, in passato, ad atti di vera e propria sovversione politica. Primo fra tutti, il suo tentativo nel 2013 di provocare la paralisi del governo federale per boicottare l'attuazione della riforma sanitaria di Barack Obama che provocò un vero e proprio crollo negli indici di gradimento del suo partito ma la sua personale glorificazione ad eroe degli integralisti.

In realtà Ted Cruz non é l'unico esponente politico di destra che utilizza la provocazione e i "gesti forti" per acquisire credibilità con gli elementi più conservatori dell'elettorato ma con una differenza fondamentale. Tutto il GOP ha agito finora, come uno di quei cani al guinzaglio di Konrad Lorenz: libero di abbaiare e di ringhiare facendo propri gli atteggiamenti ideologici più estremi sapendo benissimo che, con una maggioranza democratica al Senato e con un presidente democratico alla Casa Bianca, non si sarebbe mai dovuto trovare nella situazione di dover passare dai pronunciamenti ideali ai fatti della sostanza legislativa. Questa situazione é, in qualche modo, continuata anche dopo la vittoria alle ultime elezioni di medio termine che ha consentito al Partito Repubblicano di acquisire il controllo di entrambe le Camere perché il presidente ha dichiarato senza mezzi termini che non esiterà ad esercitare il suo diritto di veto sulle proposte di legge scaturite da prese di posizione unilaterali da parte della Destra. Ad esempio, l'ultimo budget federale presentato dai repubblicani qualche giorno fa sembra scritto da una sorta di "anti-Robin Hood" che toglie ai poveri per dare ai ricchi. Il GOP si é potuto permettere di presentare questo capolavoro di populismo alla rovescia perché sa benissimo che la proposta non ha alcuna speranza di tramutarsi in legge vera e propria.

Ma nel caso di Ted Cruz, il confine tra la postura ideologica, il colpo di scena a scopo propagandistico e la propensione a passare ai fatti é più incerta. Quello di Ted Cruz é un fanatismo "talebano", nichilista tipico di chi é disposto ad andare alle estreme conseguenze per la causa in cui crede.

Per anni, prima dell'avvento del Tea Party, le dinamiche interne al Partito Repubblicano hanno funzionato più o meno nello stesso modo: la corrente affaristica del partito, che ne ha sempre tenuto saldamente in mano le redini, é riuscita ad attuare le sue politiche socio-economiche in favore della minoranza più facoltosa della popolazione contando, per conquistare la maggioranza in sede elettorale, sull'appoggio di quelle correnti delle quali Ted Cruz é il campione e che pescano nel torbido bacino del fondamentalismo religioso, del nativismo xenofobo e del conservativismo sociale.

Ma a questa stessa corrente affaristica del partito, non é mai andato a genio il ruolo di distruttore dello status-quo che Cruz ha assunto sin dal suo arrivo al Congresso. I "padroni" del GOP, quelli che controllano la borsa con i fondi provenienti dai grandi interessi industriali e finanziari, prediligono i demagoghi "arruffapopoli" versione "light" alla Jerry Falwell o alla Ralph Reed, facilmente controllabili e pronti a rientrare nei ranghi, non i sobillatori come il senatore texano.

Ecco perché, a meno che non si verifichi un clamoroso colpo di scena, le possibilità di vedere Ted Cruz alla Casa Bianca sono pressoché nulle. Una prospettiva questa positiva in sé stessa, fino a quando si consideri l'alternativa di un perpetuarsi dell'attuale, deprimente scena politica d'effetto, basata sulla finzione, sul boicottaggio ostruzionista piuttosto che su una costruttiva volontà di governare e popolata da politici tenuti fermamente al guinzaglio dai grandi interessi economici.

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Marcello Cristo

Marcello Cristo

Sono nato e cresciuto a Napoli dove, nella tradizione magno-greca della mia città, mi sono laureato in Filosofia. Vivo negli Stati Uniti con la mia famiglia da oltre vent'anni facendo la spola tra New York e la California. Dall’America, ho iniziato a collaborare con pubblicazioni italiane come Il Giornale di Indro Montanelli e La Gazzetta dello Sport di Candido Cannavò e poi con il quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti America Oggi per il quale ho lavorato come editor, opinionista e corrispondente dalla California. Nei ritagli di tempo, sto tentando disperatamente di insegnare ai miei figli il napoletano.

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