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February 17, 2015
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Il modello Ercolano raccontato da uno dei fondatori di Radio Siani: quando la camorra si combatte dal basso

Giuseppe CostabyGiuseppe Costa
Time: 10 mins read

Oggi fa freddo, di solito Napoli è molto più accogliente in questo periodo dell'anno. Non c'è nemmeno il sole oggi. Sono quasi le 12 e sono a Piazza San Ciro a Portici. Giulio, amico di vecchia data, è riuscito a mettermi in contatto con il presidente della cooperativa sociale Giancarlo Siani, Giuseppe Scognamiglio. Giulio, che deve venire a prendermi, è in ritardo ma, eccolo che arriva. La macchina si ferma, entro e mi accorgo che c'è qualcun altro seduto nell'auto. Ė Giuseppe Scognamiglio, ed è un fiume in piena, pronto a raccontarmi tutto. 

Barba e capelli incolti, sguardo di chi ne ha viste tante, sciarpa e flanella; mi ricorda me alla sua età ma, lui è riuscito a sconfiggere le paure che incatenano la verità. “Aspettiamo – gli dico interrompendo il fiume di parole – andiamo a Radio Siani”. Il percorso in auto è breve, dopo una manciata di minuti arriviamo all’appartamento sequestrato al boss Giovanni Birra di Ercolano, in Corso Resina 62, “A cento passi dal comune”, come sottolinea Giuseppe, richiamando il film su Peppino Impastato: I cento passi. 

Il palazzo è fatiscente, Giulio parcheggia proprio davanti al portone, di fronte c’è una salumeria; un gruppo di persone sono appoggiate al muro del negozio, ci guardano, scrutano; dal 2009, anno in cui il tribunale di Torre Annunziata e il comune di Ercolano hanno assegnato l’appartamento ai ragazzi, le persone del quartiere ne hanno viste tante di facce nuove entrare ed uscire dalla ex roccaforte del boss. 

portoneGiuseppe mi dice che all’interno del palazzo di tre piani, alcuni degli appartamenti sono ancora abitati da parenti del boss. Salendo le scale, mi guardo intorno per cercare di capire quali siano quelle porte. A radio Siani si entra attraverso una porta spessa in legno, fortificata, proprio come l’ingresso di un bunker e le pareti sono schermate per evitare le intercettazioni della polizia. Quando Giuseppe accende la luce dell’ingresso, mi rendo conto di essere nel luogo dove si è decisa la vita e la morte di tante persone e mi vengono i brividi.

L’appartamento è quasi completamente vuoto, ai muri ci sono volantini, foto e scritte che inneggiano alla lotta contro l’illegalittà e all’anticamorra; passiamo davanti allo studio della radio, poi ci accomodiamo in una stanza enorme con un tavolo e qualche sedia. “Eccoci, adesso possiamo iniziare – gli dico – raccontami”. 

ingresso“Tutto inizia nel 2009, quando un gruppo di ragazzi cominciò ad incontrarsi ad Ercolano, dove eravamo nati. Ercolano è una citta particolare: i quasi 60.000 abitanti non hanno una libreria, un cinema, fino a qualche anno fa neanche una scuola superiore; è la città che ha il Vesuvio e gli scavi ma non ha un albergo, è al centro del golfo di Napoli e non ha un porto, io la definisco una città dormitorio, si va via la mattina, per lavoro o per andare a scuola e si ritorna la sera per dormirci. Era un periodo in cui quasi tutti noi stavamo terminando gli studi universitari e cominciavamo a guardarci intorno per capire cosa fare del nostro futuro. Decidemmo di attivarci, nel senso di organizzare qualcosa nel nostro paese, non riuscivamo a capire perché Ercolano dovesse stare in questa sorta di limbo; e provammo ad impegnarci per animare un po’ la città: una manifestazione, qualche concerto, cominciammo persino a cercare uno spazio fisico dove poter riunirci ed iniziare a lavorare come un’associazione, ma gli affitti erano proibitivi per le nostre tasche”. 

Quel gruppo di ragazzi però non si lasciò demoralizzare e cominciò e si rivolse alle istituzioni. “Avendo un background di impegno sociale e politico, essendo io quello con un po’ di esperienza in più rispetto agli altri, decisi di andare a parlare con la giunta comunale per sentire se il sindaco, Nino Daniele, poteva assegnarci un locale; dopo un po’,il sindaco ci contatta dicendo che si era liberato l’appartamento del boss Birra, confiscato qualche anno prima dal Tribunale di Torre Annunziata. Noi tutti conoscevamo il boss, che dal 2003 al 2005 e dal 2007 al 2009 aveva scatenato una guerra di camorra contro gli Ascioine che per omicidi ed atti criminali ricordava gli scontri tra i narcotrafficanti in America Latina. La violenza del clan Birra aveva fatto rifiutare questo stesso appartamento anche all’associazione antiracket di Ercolano che si era appena formata”.

appartamentoIl luogo incuteva timore a molti e per buoni motivi. “Questo palazzo ai tempi in cui il boss regnava era sorvegliato da cecchini sul tetto e guardaspalle al portone principale, con le pistole appoggiate sui copertoni delle auto pronte per essere utilizzate, quando si passava davanti a Corso Resina 62, ci si passava a testa bassa! Noi, un po’ ingenuamente, accettammo questo appartamento”. 

Quando gli chiedo se si ricorda la prima volta che ha messo piede nell’appartamento, lui si ferma un attimo e annuisce: “Certo che me lo ricordo! Eravamo in cinque, quel giorno, pieni di speranze ed entusiasmo ma, fu anche quando ci rendemmo conto della sfida che rappresentava quello che stavamo facendo. Guarda –  mi dice, indicando con un cenno della testa il balcone chiuso, che affaccia sul corso – non potevamo neanche affacciarci che ci minacciavano dai balconi di fronte e dal basso! Non è stato semplice, specialmente per me, che ero cresciuto in un’altra zona di Ercolano, quella controllata dai nemici storici dei Birra, gli Ascione”. 

Questa è la realtà di chi come noi è nato ed è cresciuto nei territori di camorra, non è possibile crescere in queste zone senza conoscere o giocare a pallone per strada con figli di membri ed affiliati, fa parte della vita quotidiana. “Noi tutti conoscevamo o comunque siamo cresciuti con parenti o affiliati delle famiglie di camorra – prosegue Giuseppe –  molte di queste persone ora sono morte o in galera. Spesso quelle stesse persone che sono cresciute con noi, le abbiamo denuciate e mandate dietro le sbarre; quindi farsi vedere affacciati a questo balcone da quegli stessi individui con cui fino a qualche settimana prima si era condivisa una chiacchiera, un caffè al bar o una partita a calcetto, risultava complicato, non potevamo sapere come avrebbero reagito alla nostra sfida”. 

intervistaMa oggi, gli chiedo, vi sentite ancora minacciati? La sua risposta arriva secca “No! Assolutamente, perché abbiamo lavorato sul territorio come una spugna. Non avendo alcuna formazione nel campo specifico abbiamo iniziato a seguire seminari, convegni, iniziative, tutto quello che aveva a che fare con la legalità, con l’anticamorra; in modo da poter assorbire e capire come muoverci e cosa fare, quindi capimmo da subito che dovevamo stare dentro al territorio, scendere tra la gente ed aprire le porte dell’appartamento; capire le piaghe e le contraddizioni sociali del quartiere, se all’inizio eravamo visti dal vicinato come gli squadroni della morte che sfidavano l’istituzione camorra, quando poi siamo scesi per strada e siamo entrati nei loro negozi ed abbiamo cominciato a prenderci cura dei loro figli con attività extra scolastiche, le cose son cominciate a cambiare”. 

I ragazzi di Radio Siani sanno che per cambiare la situazione bisogna cominciare dai bambini, loro rappresentano il futuro. “Oggi – riprende Giuseppe – noi lavoriamo con i minori a rischio della zona. Alcuni di questi non sapevano neanche che ad Ercolano ci fosse il mare perché vissuti in una sorta di quartiere bunker. Ci sono scuole elementari in cui i bambini vengono divisi in aule per appartenenza ai clan; nella zona ci sono tanti minori con genitori in galera e, per evitare che trascorrano troppo tempo per strada e che facciano la stessa vita dei genitori, abbiamo cominciato a farli venire in radio ed organizzare gare di ping pong e Play Station; poi abbiamo messo su laboratori artigianali ed attività ludico ricreative, siamo partiti dai locali della radio, ma poi tutte le scuole di Ercolano, che ci sono molto vicine, hanno cominciato ad offre i loro spazi. Pensa, che abbiamo figli di camorristi che scrivono sui nostri muri, in radio, 'abbasso la camorra'. Per noi questa è una vittoria”. 

Giuseppe sottolinea più volte che l’appartamento e la radio  non appartengono solo ai quaranta membri del collettivo. “Non è nostro”, dice. I ragazzi lo vedono come un bene che è stato restituito all’intera città. 

 Ma torniamo all'inizio, ai primi passi di quel percorso verso la lotta alla camorra. “Nessuno di noi aveva una vera e propria idea di quello che stavamo per fare – riprende Giuseppe – Considerando anche il fatto che questo era il primo bene confiscato ad Ercolano, ma la volontà di avere finalmente uno spazio, un incubatore di idee, ci ha fatto sorvolare alcuni aspetti. Quando siamo entrati nell’appartamento ci siamo subito resi conto che era stato completamente depredato dalla ditta di costruzioni mandata dal comune per mettere a norma i locali. La ditta che ha fatto i lavori aveva tra gli operai membri del clan Birra i quali hanno portato via tutto; perfino le lampadine e le placche per gli interruttori, l'unica cosa che non sono riusciti a portare via sono state le porte”. 

radioI ragazzi non sapevano ancora cosa farne dello spazio. Erano le prime settimane e si iniziavano a raccogliere le idee. A qualcuno venne in mente di iniziare una web radio. “In quei giorni la DDA di Napoli, con a capo il procuratore Cantelmo, sequestrò una radio a Ercolano: Radio Nuova Ercolano, anche detta Radio Carcere, che veniva utilizzata dalla camorra come strumento per comunicare tra i criminali fuori e quelli dietro le sbarre: attraverso canzoni e dediche, venivano segnalati posti di blocco, arrivi di partite di droga ed armi o messaggi per rassicurare il boss in galera che il territorio era ancora sotto il suo controllo”. 

Per i ragazzi chiamare la radio, Radio Siani, dal nome del giornalista del Mattino ucciso dalla camorra nel 1985, a 26 anni, è stato spontaneo. Il gruppo prese spunto anche da un'altra radio storica, la cinisense Radio Aut diretta da Peppinno Impastato, altro martire della lotta alla Mafia. “Una radio – dice Giuseppe – che doveva dare voce alla legalità e che ci permettesse di immergeci nella realtà di altre associazioni come Libera e Antiracket. Grazie agli insegnamenti di don Ciotti abbiamo capito come fosse possibile utilizzare il bene confiscato per lottare contro l’illegalità”. 

La coscienza anticamorra del gruppo viene messa alla prova il 21 Novembre 2009, una data che “segna uno spartiacque”. Nell’autuno di quell’anno, infatti, vengono rilasciati alcuni membri del clan Birra i quali ricominciano a chiedere il pizzo ai vari commercianti della zona con una ferocia mai vista prima, “utilizzando anche minori, sui motorini a volto scoperto e pistola alla mano”. Ad Ercolano ritorna la notte fonda, il racket riaccende la violenza della camorra, tra colpi di pistola alle serrande, un commerciante a cui spararono alle gambe, una bomba fatta esplodere dinanzi ad un panificio, fino alla morte di una vittima innocente: Salvatore Barbaro. La città trascorre quindici giorni di paura.

volantino“Molti negozianti si rifiutavano di riaprire i propri negozi e pensavano di lasciare Ercolano – racconta Giuseppe –  Allora noi decidemmo di organizzare una marcia anticamorra per il 21 novembre; chiedemmo ai commercianti di attaccare un volantino ai vetri dei negozi che annunciava la marcia e chiedemmo loro di chiudere le serrande ed unirsi alla manifestazione quando il corteo sarebbe passato fuori dai loro negozi. Organizzammo in modo tale da passarre in tutte le strade roccaforti della camorra, fino a chiudere la marcia a piazza Pugliano, storico simbolo della camorra ercolanese e, proprio da lì, cominciammo la pima trasmissione radio. Partimmo in pochi quel giorno da qui sotto ma una volta arrivati a piazza Pugliano, eravamo in mille!”. 

Gli occhi di Giuseppe brillano ricordando quel giorno in cui la legalità sconfiggeva la camorra. “Da lì, i commercianti si resero conto che non erano soli e che ad Ercolano c’era tanta gente onesta che era pronta a rompere le catene dell’illegalità. Ma dopo quella marcia per noi diventò difficile anche camminare per strada. Ci avevamo messo la faccia ma molte persone ci chiedevano di non mollare. La marcia contribuì anche all’attenzione dei media: non eravamo più solo un fenomeno locale. Il discorso che facevamo era con i numeri alla mano: ne siamo sessantamila qui ad Ercolano, quanti sono i camorristi? Cento, cinquecento, mille? Noi ne siamo di più! Perché sottostare a questa gentaglia?Proprio così è nato il modello Ercolano, un modello di legalità che è riuscito ad abbattere il racket del pizzo, un modello nato dal basso ma cresciuto con l’aiuto dell’amministraione comunale, con a capo, l’allora sindaco Nino Daniele, la cui giunta è scesa per starda con i cittadini ed ha anche creato leggi ad hoc, per salvaguardare l’incolumità di coloro che finalmente uscivano allo scoperto; anche l’arma dei Carabinieri, con il PM Paolo Filippelli, è riuscita ad infodere sicurezza e rispetto tra i cittadini e le istituzioni, fino a portare a denunciare i camorristi che chiedevano il pizzo. Ercolano vive oggi il più grande processo sul pizzo, dove il numero di denunciati e condannati, 41, è inferiore al numero di quelli che denunciano, 42, di solito è il contrario, solo una o due persone trovano il coraggio di denunciare i molti taglieggiatori. Con il maxi processo di un anno e mezzo fa si sono avute condanne per un totale di seicento anni nel rito ordinario e quattrocento nel rito abbreviato. Sono numeri esorbitatnti, mai raggiunti prima in un processo sul pizzo”.

radio 2Un successo collettivo ma anche personale, di un gruppo di ragazzi che ha deciso di fare la differenza. “Oggi la nostra realtà è conosciutissima, abbiamo visite continue di moltissime scuole a livello nazionale ed internazionale, ad oggi quasi cinquecento, tra cui anche la New York University, per studiare la realtà tangibile di Radio Siani e il Modello Ercolano”.

Quando chiedo a Giuseppe come vede Radio Siani tra cinque anni, mi dice che il proggetto andrà avanti grazie all’esperienza di Libera e mi racconta come, proprio grazie a Libera, siano riusciti a capire la necessità di ripristinare l’economia sociale attraverso un network di beni confiscati alle mafie, in modo tale da renderli fruttiferi per il territorio; “Da maneggi e fattorie sequestrati ai boss è possibile dare lavoro e occupazione a tanti giovani in nome della legalità. Oggi stiamo lavorando affinché le campagne ed i terreni sequestrati diventino centri di produzione di prodotti biologici. Il progetto va avanti, fino a rivalutare l’intera area come polo turistico, non dimentichiamoci che abbiamo gli scavi, il Vesuvio e il mare! Vogliamo cambiare il futuro economico di questo paese”.   

Domani è un altro giorno, i problemi di questa nostra terra martoriata dalla camorra sono ancora tangibili, le ferite dell’illegalità grondano del sangue di questa gente ed i ragazzi di Radio Siani hanno organizzato una protesta sul Vesuvio, per denunciare una discarica abusiva. La lotta continua, questa lotta non può permettersi un attimo di distrazione perché lo stato latita, Roma è lontana e, come ci ricorda Giuseppe “dove lo stato è assente, la camorra e le organizzazioni criminali sguazzano, ed è qui che trovano la propria manovalanza a basso prezzo”. 

 

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