Era una soleggiata giornata di ottobre, come oggi. Mamma, papà, io e mio fratello salimmo sulla Nocciolina, zii e nonni sulla Celestina e partimmo alla volta di Miramare. Si andava a sparare nel parco del castello asburgico, nel golfo di Trieste. Papà mi sollevò, facendomi sedere a cavalcioni sul cannone, ed io mi sentii un generale, dal potere immenso. Non sapevo bene chi era il nemico, ma nelle storie che mi raccontavano un nemico c'era sempre. Quando sono cresciuta un po', ho scoperto che il nemico stava al di là del mare: la Jugoslavia comunista che ci aveva scacciato dalle nostre terre.
Qualche anno fa, vistandole, ho scoperto che lì, ora Croazia, la proprietà è ancora un furto. Ma non quella dei padroni, come scriveva Marx, bensì dei ladroni, cioè di quanti sono riusciti ad impossessarsi di case, fabbriche e terre altrui nel 1991, dopo la caduta del comunismo. Nelle nostre case abita gente che non ne ha la proprietà, sui nostri terreni hanno costruito abusivamente, proprio quando la Croazia pretendeva di nascere come stato di diritto. I permessi li ha dati un sindaco compiacente.
Anni fa mi suggerirono di buttare giù la porta delle nostre case, cambiare la serratura e sistemarmi dentro, dato che nel catasto tavolare la proprietà era ancora registrata a mio nome. Rimasi inorridita. L'altro giorno accendo il televisore su Rai 2 e mi metto a guardare Virus, il contagio delle idee, condotto dal giornalista Nicola Porro. Numerose case nella periferia di Milano vengono occupate da immigrati, mentre i legittimi proprietari sono assenti. Sfondano o danno fuoco alle porte e cambiano la serratura. Un imprenditore, che ha costruito un albergo a Roma, dopo un mese dall'ultimazione, mentre attendeva i permessi, l'ha ritrovato occupato da 250 famiglie: con avvocati e carte bollate non c'è stato verso di far valere il suo diritto di proprietà. Ma dov'è lo Stato? Bravissimo a vessarci con interessi usurai se non paghiamo le tasse nei termini, magari a causa della perdita del lavoro. Dove sono le forze dell'ordine? Sempre pronte a intimorirci per un eccesso di velocità. Tutti mantenuti da noi, tra l'altro.
Bisogna tagliare le spese nella Sanità, dice il governo. E taglia in modo lineare, anche alle Regioni virtuose, mentre in Calabria ci sono 20 ospedali costruiti e mai finiti, ormai ruderi coperti da erbacce. Intanto Renzi mangia spinaci e mostra i muscoli a Bruxelles. Già che c'è perché non chiude lì gli uffici di rappresentanza delle regioni italiane? Virus mostra che sono tutti deserti, al massimo con due funzionari che non sanno dire come occupano le giornate. Solo uno di questi, 500 metri quadri, costa l'anno 1 milione e 800 mila euro. Siamo in Europa e servono, hanno sempre detto. Sappiamo cosa significhi stare in Europa? Questi uffici servono se qualcuno ci lavora per portare a casa la pagnotta, cioè i finanziamenti europei. Ma sembra che nessuno voglia stare a Bruxelles, tutti vogliono stare da mammà Italia. Comodi.
Piansi molto quando papà vendette la Nocciolina: passò dalla 600 Fiat all'Alfa Romeo, segno di progresso sociale. Ma i miei nonni erano morti e, ora so, stavamo diventando un po' meno europei. Perché non sentivo più parlare a casa italiano, tedesco, croato. A Trieste gli Asburgo erano diventati personaggi da teatro, benché solo pochi anni prima passassimo le estati insieme nell'albergo del nonno a Lignano Sabbiadoro. Anche a Trieste, nonostante si confinasse con i comunisti, era diventato di moda essere comunisti. Io mi guardavo bene dal raccontare che frequentavo persone che appartenevano all'ancien regime: era considerata una vergogna. Ora siamo meno europei di prima e sempre più comunisti, perché non rispettiamo i diritti altrui. E non ce ne vergogniamo.
Sissi al Miramar
Ognuno ha il suo nemico. L’importante è avere a disposizione dei cannoni: senza forza e autorevolezza non si possono far valere i propri diritti. L’ho capito leggendo l’esilarante libro Sissi a Miramar, pubblicato dalla MGS Press e in questi giorni messo in scena dal teatro Bobbio a Trieste. Scritto in dialetto triestino, la lingua ufficiale di Trieste perché “noi a corte, tuti parlemo in triestin”, evidenzia l’indole centripeta degli abitanti di questa città.
Carlotta del Belgio, la vedova dell’imperatore del Messico Massimilano d’Asburgo, detesta la Barcolana e apre il fuoco dei cannoni nel parco del suo castello a Miramare. La Barcolana è una grande regata che si tiene nel golfo di Trieste ogni seconda domenica di ottobre, ma le barche a vela creano un gran trambusto nel mare e fanno scappare i sardoni di cui è ghiotta Carlotta. I sardoni in gergo triestino sono le alici, che qui hanno un sapore unico e sopraffino.
Carlotta ovviamente oggi è morta e sepolta, ma rappresenta la tipica donna triestina di mezza età che vuole vivere nel suo tranquillo tran tran quotidiano, lontano dal mondo perché se ne infischia di cosa succede fuori da casa sua. Mentalità da impiegata dell’Impero, che qui ancora sopravvive. Purtroppo a rovinarle la vita arriva l’esuberante cognata Sissi, imperatrice d’Austria, che non è morta a Ginevra, come tutti credono. Considerata anoressica a Vienna, a Trieste mangia a quattro palmenti mettendo in difficoltà le finanze di Carlotta che vive con la vendita dei biglietti per la visita del castello. Finalmente, per Carlotta, un giorno arriva l’irredentista Guglielmo Oberdan di cui Sissi s’infatua e scappa con lui. Ma è già uscito il seguito: Ritorno a Miramar. Presumo che Sissi si sia presto stufata di Guglielmo il quale, benché avvenente, appare subito come uno “sbrindolo de omo” (straccio di uomo). Le donne triestine hanno sempre avuto poca considerazione del sesso forte…
Risate a non finire. Cast di superba bravura: Carlotta è Ariella.