C’era una volta l’Università italiana, quella dei professoroni, spesso baroni, che incutevano rispetto, autorità, dei quali, magari, non si condividevano le idee politiche, ma spesso li si considerava pozzi del sapere. Poi quel mondo ha iniziato piano piano a sgretolarsi: una riforma universitaria che per diminuire i fuori corso ha liceizzato la carriera accademica, un’infinita serie di corsi affidati a docenti pagati poco o non pagati affatto, pronti comunque ad insegnare pur di sperare in un futuro da professore. Università che entrano in competizione per attirare più studenti, che diventano brand, si fanno pubblicità, elargiscono lauree honoris causa a destra e manca.
Un mondo, quello universitario, che ai miei occhi ha perso quell’atmosfera di sapienza, di riverenza che si percepiva non appena entrati in aula, con centinaia di altri studenti nell’attesa della lezione come evento importante.
Se poi a salire in cattedra sono personaggi assolutamente discutibili, quel che rimane di buono viene sepolto dal chiacchiericcio del far notizie e dall’indignazione conseguente. Stiamo parlando, in particolar modo, dell’intervento, durante una lezione universitaria per un Master in scienze criminologiche alla Sapienza di Roma, di Francesco Schettino, capitano della crociera Concordia affondata nel gennaio del 2012 vicino all’isola del Giglio e che ha provocato la morte di trentadue persone. Il tema del seminario è stato: “Gestione del controllo del panico”. L’incontro si è svolto il 5 luglio. Stranamente veniamo a saperlo dopo più di un mese. In ogni caso, alla lettura della notizia quasi meccanicamente faccio due riflessioni : “Non ci posso credere”, “Ah, già, siamo in Italia”.
Viene da riderci su. Schettino, il capitano codardo che lascia la nave, che, a quanto si sa, se ne stava con l’amante in cabina, quello che fa l’inchino – il passaggio vicino all’isola toscana – quello che è ormai diventato una barzelletta agli occhi di tutti e nome diffuso per indicare chi non sa guidare una barca o si comporta da vigliacco, a parlare di “gestione del panico” sembra impossibile. Eppure succede anche questo.
Sui social network impazzano le similitudini: “Dracula terrà un corso sull’anemia”, “Renzi darà lezioni d’inglese”, “Le suore clarisse di clausura insegneranno Public Relations”, pratica dalla quale, con sincerità, non sono rimasto immune.
Il primo responsabile non è certo Schettino, ma chi l’ha invitato, cioè il Prof. Vincenzo Mastronardi, noto psichiatra e criminologo. Lui sostiene di aver ricevuto la richiesta dagli avvocati di Schettino per permettergli una replica a quanto sostenuto in un precedente seminario. Mastronardi è stato, tuttavia, immediatamente deferito al Comitato Etico dell’Ateneo romano, da parte del rettore Luigi Frati. Anche la Ministra Giannini ha mostrato immediatamente il suo sdegno per la vicenda.
Tuttavia, lo stesso Mastronardi e Schettino sembrano increduli per il polverone che si sta creando. Non se l’aspettavano. No, io questo non lo posso credere. Un docente riconosciuto, che ha scritto libri, che ho anche letto, di alto livello sul comportamento umano, incapace di prevedere le conseguenze, se non altro mediatiche, di un tale evento all’interno di un aula universitaria, mi è impossibile crederlo. Certamente non può trattarsi di ingenuità.
Adesso è il momento del “Senti chi parla”, dove ognuno cerca di scaricare le colpe più grosse sull’altro. Ma non sono neanche le conseguenze che ci saranno ad interessarmi di più. In linea di massima a preoccuparmi è questo modo di pensare l’Università, dove tutti possono salire in cattedra solo perché hanno qualcosa da raccontare. No, questo non ci piace. Meno che mai se è una persona che ha gravi responsabilità in una tragedia dove sono morte molte persone. A me piace pensare che nell’aula universitaria si respiri autorevolezza, rispetto, timore reverenziale ma con la possibilità di contestare e criticare, magari eccentricità. Chissà, sarò nostalgico, ma quanto visto in questi giorni mi sembra solo stupidità e superficialità.