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July 9, 2014
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Staminali eticamente corrette?

Chiara ZaccherottibyChiara Zaccherotti
Time: 6 mins read

È di poche settimane fa la costituzione a San Francisco dell’Associazione Internazionale Cellule Staminali Prenatali, una realtà che sembra avere tutti i presupposti per portare a un livello d’avanguardia la ricerca italiana e promettere una buona riuscita applicativa sull’uomo. In comune con altri filoni di ricerca, anche internazionali, infatti, l’Associazione è convinta che le cellule staminali prenatali siano quelle più adatte a garantire l’applicazione sull’uomo, che oggi ancora non arriva: un elisir di giovinezza per tutti. I motivi di questa discrepanza sono molti, primo tra tutti l’attuale impiego di cellule embrionali, fortemente instabili dal punto di vista genomico e quindi altamente pericolose per la salute dell’uomo, per cui non applicabili.

L’argomento è di estrema attualità, soprattutto per il polverone che ha sollevato il caso Stamina, e vede contrapporsi da una parte le ragioni scientifiche, dall’altra quelle etiche e dall’altra ancora la burocrazia, che esige rispetto senza ombra di dubbio, ma è una mole troppo lenta per riuscire a stare dietro alla veloce evoluzione di una scoperta che potrebbe salvare tante vite. Il condizionale è d’obbligo perché ancora, ad oggi, non esiste alcuna evidenza scientifica circa la validità di queste cure, ma il trattamento compassionevole, quello cioè che si riserva a un malato terminale per tentare il tutto per tutto, potrebbe essere un po’ più accessibile e lasciare il soggetto interessato libero di scegliere, piuttosto che dover aspettare un’autorizzazione che spesso non arriva o arriva troppo tardi. Aiuterebbe il malato, ma aiuterebbe anche la scienza a compiere dei passi avanti.

Ci aiuta a fare un po’ di chiarezza uno dei soci fondatori della neo-costituita associazione, Marco Reguzzoni, amministratore delegato della Biocell Center, la prima azienda al mondo ad aver brevettato la crioconservazione delle staminali estratte dal liquido amniotico e dalla placenta.

Lo scorso 7 maggio si è costituita a San Francisco l’Associazione Internazionale Cellule Staminali prenatali. Quali sono gli obiettivi e il filone di ricerca seguito?

È un’associazione che vuole occuparsi delle cellule prenatali, ovvero cellule che non hanno ancora le caratteristiche delle cellule adulte, ma sono cellule in divenire e possiedono una capacità proliferativa importante. Sono cellule dalle quali non può nascere un individuo, ma diverse altre forme cellulari che compongono il nostro organismo biologico, e non sono embrionali, quindi non collezionabili alla nascita del feto (è per questo che non si chiamano fetali). In ordine cronologico, partendo da quelle più giovani, le prime che si possono recuperare sono quelle dei villi coriali, attraverso la villocentesi, seguite da quelle del liquido amniotico, che si recuperano attraverso l’amniocentesi, della placenta, dalla quale è possibile recuperare cellule di vario tipo, del cordone ombelicale e quelle del sangue cordonale, forse le più note al grande pubblico e oggi le più crioconservate. In comune con altri filoni di ricerca, anche internazionali, abbiamo la convinzione che queste siano le cellule che garantiranno quell’applicazione sull’uomo, che oggi ancora non arriva perché nella maggior parte dei casi vengono utilizzate cellule embrionali totipotenti con la convinzione di poterle “incastrare”. Nei pezzi di fegato o di cuore che oggi la scienza è riuscita ad ottenere, per esempio, il processo di generazione non si ferma a causa dell’instabilità genomica e se venissero impiantati nell’uomo provocherebbero il tumore. Quelle su cui lavoriamo noi, invece, sono cellule più stabili che, una volta differenziate, non impazziscono e non continuano a proliferare. È il caso ad esempio di quelle dei villi coriali, per le quali siamo riusciti a dimostrare la stabilità genomica.

Come vengono percepiti e “accolti” questi argomenti?

Pensi che la rivista Science & Therapy, sulla quale abbiamo fatto uscire la pubblicazione della ricerca, c’ha messo quasi un anno prima di pubblicare i nostri risultati, è voluta andarci cauta. Ma si tratta di un dato molto importante per la ricerca in generale ed è inaccettabile che ci abbia messo tutto questo tempo prima di dare l’ok alla pubblicazione perché per un anno tutti i ricercatori nel mondo non sapevamo che eravamo già arrivati a questo risultato. Quante sperimentazioni potrebbero arrivare sull’uomo che giacciono nei Board delle riviste scientifiche? E chi le paga le riviste scientifiche? Chi ha interesse a rallentare queste pubblicazioni? Di sicuro non le società piccole come la nostra. L’entusiasmo con cui le parlo è condiviso da tutti gli scienziati che stanno percorrendo il nostro stesso filone di ricerca in tutte le parti del mondo e, anche se la scoperta di questo tipo di staminali è piuttosto recente (quelle provenienti dal liquido amniotico risalgono al 2007 per esempio), tutti sono convinti che lavorando sulle cellule prenatali si possa arrivare prima che con altre all’applicazione sull’uomo.

Il Prof. Richard Boyd, direttore del Monash Immunology and Stem Cell Laboratories, anch’egli presente alla conferenza di San Francisco, ha detto: “Conservatele, donatele, ma non buttatele”. Perché oggi invece vengono buttate?

Attualmente sì, quasi in tutto il mondo. Non esiste la tecnologia per poterle conservare. Vengono salvate solo quelle del sangue cordonale e talvolta quelle del cordone ombelicale, tra l’altro le più “vecchie”, le ultime in ordine di tempo; invece si potrebbero conservare anche le prime.

Quali potrebbero essere i risvolti legati all’applicazione di questo tipo di staminali?

Le più svariate, ma non facendo dei tentativi a caso. La scienza ha i suoi tempi e purtroppo sono tempi lunghi che spesso si allungano ulteriormente per colpa di chi per interessi propri non vuole che si raggiungano dei risultati, ma è doveroso fare i tentativi giusti e non dare false promesse. Per esempio, sappiamo che le cellule del liquido amniotico differenziano cellule della vista: quando abbiamo fatto partire una piccola sperimentazione per testarne il differenziamento con l’Università di Harvard, credo di aver ricevuto più di 1.000 e-mail di gente disposta a offrirsi come cavia; abbiamo risposto che non era ancora il momento per questo genere di trattamento. Magari il paziente riacquista la vista, ma muore di tumore dopo sei mesi.

StaminaAttualmente, come e da chi vengono condotte le sperimentazioni?

Ovunque nel mondo le sperimentazioni sono autorizzate da un ente governativo, sotto l’egida dei rispettivi ministeri competenti. Le situazioni vengono valutate caso per caso, ma è il Ministero competente che autorizza le sperimentazioni, a fronte di criteri scientifici precisi. La legge prevede anche che il Ministero possa autorizzare quello che si chiama il trattamento compassionevole, un trattamento cioè nei confronti di soggetti con diagnosi infauste e morte quasi certa; in questo caso potrebbe esserci il rilascio dell’autorizzazione.

Come vi ponete nei confronti del caso Stamina?

Premetto che mi auguro che Vannoni abbia ragione perché sarebbe un passo in avanti per tutti. Ma noi riteniamo che le regole debbano essere rispettate. La ricerca e le sperimentazioni cliniche nel settore delle cellule staminali prenatali si contrappongono per serietà e metodo scientifico alle vicende di Stamina. Auspichiamo però che le regole vengano cambiate e che vengano introdotti meccanismi capaci di velocizzare quelle tempistiche troppo lunghe, tali per cui mentre un bambino muore la cura è in fase di approvazione in qualche parte del mondo. Innanzi tutto potrebbero essere abbreviati i tempi necessari alla pubblicazione dei risultati scientifici di una ricerca, poi considerare alcune cellule simili ad altre senza doverle testare. Esistono diversi accorgimenti che possono essere presi per abbreviare i tempi. Anche entrando nel merito delle singole procedure, potrebbero essere saltati numerosi passaggi che fanno perdere tempo utile a fronte di costi assai elevati. Su alcune sperimentazioni, ad esempio, i dati di laboratorio possono davvero essere considerati attendibili evitando la sperimentazione sugli animali. Non su tutto ovviamente, ma su alcuni passaggi sì. Ci sono ovviamente interessi contrapposti che di fatto rallentano la ricerca e che, come biasimarli, non trovano d’accordo per esempio i padri dei bambini in fin di vita.

Sperimentazioni di piazza e sperimentazioni scientifiche: come convivono oggi questi due mondi?

Non c’è ombra di dubbio che ci siano due aspetti della personalità: quella del ricercatore, che è assolutamente tenuto a rispettare le regole scientifiche, e quella dell’uomo, che deve fare in modo che le regole cambino. Io mi auspico che cambino le regole, ma non mi posso permettere di non rispettarle. Ho percepito la grande solitudine di questi genitori, che si sentono abbandonati, ma noi non possiamo dare una risposta. L’unica cosa su cui oggi possiamo puntare è fare in modo che il trattamento compassionevole sia più ampio per tutti.

 

A detta della neonata associazione, le cellule staminali prenatali sono potenzialmente in grado di trattare le malattie degenerative legate al deterioramento nel tempo dei tessuti e degli organi e potrebbero aiutare a combattere l’invecchiamento, prolungando e migliorando la qualità della vita. Che si apra uno scenario straordinario?

 

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Chiara Zaccherotti

Chiara Zaccherotti

Laurea in Scienze della Comunicazione e un master in Giornalismo Ambientale, ho iniziato a lavorare nella comunicazione integrata, occupandomi redazione, ufficio stampa e organizzazione di eventi. Redattrice dal 2006 per varie testate (Rinnovabili.it, Metro, La Repubblica) e giornalista pubblicista dal 2012, sempre più occupo di coordinamento editoriale e gestione web. Cambio cappelli con estrema facilità e sono un'irriducibile ottimista. Maremmana di nascita e di indole, ho vissuto e lavorato a New York per 4 anni, dove ho imparato che se una cosa la riesci a fare lì, allora la puoi fare ovunque.

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