Nel nero della notte la scalinata del sacrario di Redipuglia appare insanguinata: PRESENTE PRESENTE PRESENTE ha impresso all’infinito. Poi la luce vira nel bianco della pietra, bianca come quei centomila corpi, la maggioranza ignoti, di giovani soldati che morirono per la patria durante la prima guerra mondiale.
La vita è in quei cipressi verdi che delimitano l’ascesa alle tre croci: essi vigilano i morti e li rappresentano. Sono morti perché avevano fede in Dio. Perché dovevano obbedire alla patria e hanno ubbidito.
Noi qui, vivi, cerchiamo di comunicare con i morti che sono morti per noi: “REQUIEM aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis (l’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua)”. Una musica alta, ma senza ritorno: le luttuose note della messa, composta da Giuseppe Verdi e diretta magistralmente da Riccardo Muti la notte del 6 giugno, rimangono rarefatte nell’etere e circondano i cuori degli spettatori impossessandosene. Li riempiono come macigni e li tirano giù giù, sotto la terra, in quell’inferno di morte. Per Dio noi siamo finiti, dobbiamo finire. Perché lui è infinito. Tornare a Dio significa che riusciamo ad essere divini, innalzarci solo con la morte, nella morte.
Dio ci ha dato la vita per guardare l’umano spettacolo? Osservare le cose succedere, finire. Possiamo fare a meno di lui in vita, ma sempre dobbiamo abbassare il capo e chiudere gli occhi quando egli decide sia arrivato il nostro momento. Ma se l’abbiamo accettato dentro di noi, la nostra morte sarà serena perché conseguenza di una nostra scelta. Questo in teoria. Quei centomila giovani sono andati incontro alla morte con una sola convinzione: vincere o morire. Non avevano altra scelta: per la prima volta era stato introdotto il servizio obbligatorio nazionale. Arruolati volontariamente o involontariamente, per che cosa hanno realmente combattuto?
Il mito che li permeava era lo spirito di autodeterminazione di un popolo che vuol porre fine a una storia di soprusi e domini e non vuole più sentirsi dire da uno straniero cosa deve fare a casa propria … il popolo tedesco ha sempre fatto la morale a tutti. In verità sono morti per conquistare dieci chilometri in più o in meno di territorio. Chi si rifiutava di andare all’arma bianca – uscire dalla trincea, sparare fino ad arrivare alla trincea nemica e uccidere con la baionetta – era considerato disertore e doveva essere freddato alle spalle da un commilitone acquattato in seconda linea. Non c’era possibilità di fuga. Non rimaneva che farsi coraggio a grappa e cognac.
Sono trascorsi cent’anni dall’inizio della Grande Guerra: guerra epocale che ha cambiato l’equilibro del mondo che si è spostato in America, permettendole di crescere e diventare quella che è.

Il Presidente Napolitano, il Presidente Josipovic, il Presidente Pahor, alla “Messa da Requiem” di G. Verdi dedicata alle vittime di tutte le guerre
Un sublime monologo a Dio il Requiem di Verdi, messo in scena dal Ravenna Festival, che suona senza speranza benché il canto prometta che verrà il dies irae e sarà fatta giustizia. Ma chi lo capisce il latino? Sono presenti Giorgio Napolitano e i presidenti delle repubbliche di Slovenia e di Croazia, che prima della prima guerra non esistevano come nazioni indipendenti. Facevano parte dell’impero austro-ungarico, quindi hanno perso la guerra ma hanno avuto l’opportunità di diventare un unico stato, il regno dei Serbi, Croati e Sloveni, e di annettersi, grazie a una politica di espansione etnica, buona parte della costa orientale italiana dell’Adriatico. L’Italia vincitrice ha ceduto per incapacità diplomatica in sede europea, adducendo la giustificazione del quieto vivere sullo stesso mare, che era suo. Sorvoliamo su cosa è successo in Jugoslavia alle popolazioni italiane dopo la seconda guerra mondiale. E siccome bisogna superare i nazionalismi e dialogare per un futuro di pace – come ha detto Napolitano – i tre hanno cominciato la serata cenando fraternamente ma non frugalmente in un ristorante di Cormons, facendoci intanto accomodare e aspettare due ore e mezzo prima, intrattenuti dal Coro dei Cori dell’associazione nazionale alpini e dalla Fanfara Congedati Brigata Alpini Cadore. Quando il presidente della Repubblica è arrivato, si è seduto silenzioso come uno spettatore qualunque, insieme agli altri due e le rispettive corti e consorti. Pensavamo fosse la sede per pronunciare qualche parola, considerato anche che questo è il mestiere di Napolitano.
Il sacrario di Redipuglia emana più spiritualità di una chiesa per l’estremo immenso sacrificio che testimonia, evocato domenica scorsa da voci e musica provenienti da Paesi che un secolo fa si sono combattuti su fronti opposti. Diretti da Riccardo Muti nel “Requiem per le vittime di tutte le guerre”: il soprano Tatiana Serjan, il mezzo soprano Daniela Barcellona, il tenore Saimir Pirgu, il basso Riccardo Zanellato; i musicisti delle Berliner Philharmoniker, Chicago Symphony Orchestra, Orchestra del Teatro Stabile di Trieste, Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, Orchestre National de France, Orchestre Symphonique du Theatre Royal de La Monnaie, Philharmonia Orchestra, Wiener Philharmoniker; i cori del Friuli Venezia Giulia, Teatro Verdi di Trieste, Accademia musicale di Lubiana, Accademia musicale di Zagabria e il Nuovo Coro da camera Fanz Liszt di Budapest.
Alla fine del concerto un alpino soffia nella tromba il “Silenzio” che riprende possesso di questo luogo della memoria. Dalla scalinata scendono le luci bianca, rossa e verde del nostro tricolore.
Video:
Il video racconto della serata di Udine20.it