Pare che il Governo francese voglia svincolare dal segreto di stato le “carte” di Ustica. Sono, giusto oggi, 34 anni dalla Strage. Era ora. Anche se i risultati potrebbero non piacere ai nostalgici dell’Amerika colpevole sempre e comunque, gli stessi che, da una vita e a vita, sono contestualmente adusi a cavialeggiare sui Lungosenna. Per qualche indirizzo, l’On. Spinelli potrebbe utilmente riferire.
Con Parigi, andiamo avanti a calci e sgambetti da oltre mezzo secolo. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, eravamo stati, letteralmente, buttati a mare. Persa la Somalia, persa l’Eritrea, persa la Libia. Sembrava fosse finita con l’Africa e col Medioriente. E invece, dalla disfatta militare, comincia un’altra storia, in cui abbiamo dato il meglio nella nostra plurisecolare arte politico-diplomatica, quella che noi abbiamo inventato, scongelando il germe di Marco Polo e perfezionandola dal Rinascimento in poi. Sono gli anni di Mattei. Gli accordi 50/50, il conflitto di Suez (con la batosta anglo-francese) e poi la Guerra D’Algeria e il nostro sostegno agli insorti, il controllo (politico e commerciale, s’intende) di Malta e di Cipro, l’Eni pirata buono del Mediterraneo. Nel 1962 Mattei viene ucciso. Ne raccoglie l’eredità Moro. E’ la nostra vena filo-araba, decisiva per comprendere la storia repubblicana e, forse, anche il presente più o meno “primaverile”.
Viene il 1969: fuori Re Idris, dentro Gheddafi. Facciamo tutto noi. E torniamo in Libia. L’Inghilterra non ci sta e, nel 1971, prova a rovesciare il Colonnello. Ma l’operazione Hilton fallisce, nostro il sabotaggio. I crediti del Belpaese crescono e non solo verso Gheddafi (la cacciata degli italiani dopo la presa del potere, se non di facciata, fu comunque poca cosa rispetto al floridissimo ritorno che ne avremmo avuto nei decenni successivi; gli inglesi, messi alla porta prima ancora di noi, invece, rimarranno realmente estromessi). Anche agli Stati Uniti piace il nostro attivismo. Tiene a bada Londra e Parigi. E ci riconoscono il Comando NATO nel Mediterraneo meridionale, affidato all’Ammiraglio Gino Birindelli. Nel 1975 la Libia invade, nel Ciad settentrionale, la striscia di Aouzou, ricchi di uranio e, probabilmente, di immensi giacimenti petroliferi ancora inesplorati. La guerra nel Ciad si protrae fra continue fluttuazioni al potere, ora in mano alla fazione filolibica di Gukuni Uddei, ora in mano a quella filofrancese di Hissenè Habrè.
Fino al 1980. Anno cruciale. L’anno di Ustica.
I Francesi dislocano forze ingenti in quell’area. La Libia chiede aiuto all’Italia. E l’aiuto arriva: la Siai-Marchetti gli aveva già venduto aerei da addestramento SF 260; ora servivano avieri istruttori per le giovani ed inesperte reclute libiche. La ASI (Aereo leasing italiana), società di servizi del settore, invia una sessantina fra ufficiali e sottoufficiali d’aviazione in congedo. I canali, ovviamente, non sono quelli formali.
Inoltre, i Mig libici impegnati in Ciad volavano per le riparazioni fino alla base jugoslava di Banja Luka e alle officine di Venezia-Tessera, dove pure venivano “militarizzati” gli C-130 del Colonnello, trasformati in aerei da trasporto per paracadutisti. In costanza di embargo. E per solcare il Mediterraneo senza essere abbattuti, l’unico modo era di passare attraverso i “buchi” della NADGE, la rete Radar NATO. Solo che i “leaks” (aree o passaggi) della rete, erano noti solo ai Paesi-Membri dell’Alleanza. E indovinate un po’ chi girava ai libici la preziosa mappatura? Il flusso di nostri ufficiali d’Aviazione in congedo verso la Libia, in quegli anni, era cospicuo e costante.
Sicchè, nel Ciad, Italia e Francia sono state in guerra. Ma solo nel Ciad? Come si è visto, in quegli anni Gheddafi, se non era un nostro protegèe, era qualcosa che vi assomigliava (nel primo anniversario della rivoluzione, inviammo un centinaio di carriarmati pesanti e tanta prodigalità suscitò persino un’indagine della Procura di Roma). Perciò i suoi movimenti, quando non erano sostenuti, come minimo erano noti e non invisi all’Italia. E questo la Francia lo sapeva, ovviamente
Il 27 Giugno viene abbattuto il DC9 Itavia che volava tra Bologna e Palermo sui cieli di Ustica. Per ritorsione? No, per errore: l’obiettivo era Gheddafi. Dai Francesi? E’ molto probabile. Francesco Cossiga lo disse apertamente.

La prima pagina del 28 giugno 1980 del giornale L’Ora di Palermo
Depistaggi o non depistaggi, le tracce radar dicono che quella sera il DC9 si era trovato in una “situazione complessa”. Poco dopo il suo decollo da Bologna, più o meno in Toscana, due aerei caccia (in ipotesi, libici) comparvero sui radar dei centri a terra e scomparvero subito dopo. Quasi certamente nascosti sotto la fusoliera o dietro il DC9 Itavia, secondo una manovra diffusamente praticata da tutti gli aerei militari, quando non vogliono lasciare troppe tracce del loro passaggio (i radar, spazzando il cielo, non sono tanto precisi da individuare e distinguere due velivoli così ravvicinati, e li “spazzano” come uno solo).
Nei paraggi ci sono anche due caccia italiani dello stormo di Grosseto e un Awacs, un sofisticato aereo radar, al tempo in dotazione solo agli Stati Uniti. E ci sono altri due caccia (in ipotesi, francesi): che tengono una rotta parallela a quella del DC9. Che si tratti di aerei militari lo si evince sia dalla velocità tenuta, detta, appunto, “velocità militare”, sia dalla manovra “a taglio”, cioè con una curvatura di novanta gradi, che solo un aereo militare, a quelle velocità, è in grado di fare. E sui radar dei centri militari, poco dopo le 21, si vede proprio una di queste manovre: pochi istanti dopo, una nuvola traccerà l’esplosione del DC9.
I due aerei italiani, prima di rientrare alla base, nel comunicare quello che avevano visto (molto probabilmente un aereo non NATO dietro o sotto il DC9 –i libici) erano stati così allarmati da evitare l’uso della radio, e avevano “scoqquato” elettronicamente (da scoq, acronimo aviatorio e nautico di segnalazione) il codice di emergenza, compiendo, inoltre, una manovra a triangolo che, da manuale, segnala, situazioni della massima gravità (i due piloti italiani, Mario Naldini ed Ivo Nutarelli, prima di morire misteriosamente a Ramstein durante un’esibizione delle Frecce Tricolore, ai loro colleghi della base avevano detto di aver assistito ad “un vero e proprio combattimento aereo”).
Dalla “nuvola” sul radar, emersero due tracce (ulteriore conferma della presenza “nascosta” di due aerei, dietro o sotto il DC9): una proseguì verso Sud, l’altra virò verso Est (venti giorni dopo, un Mig libico verrà trovato sulla Sila e il corpo del pilota, in putrefazione). Chi erano i caccia che viaggiavano paralleli al DC9, uno dei quali, avrebbe compiuto la manovra “a taglio”, come di chi punta un bersaglio, pochi istanti prima che si formasse la nuvola sui radar”? Bisogna precisare che, per individuare il DC9, era indispensabile un potente sistema di “guida caccia”, in grado di “vedere” anche da centinaia di chilometri, nonché basi a terra o su portaerei alla giusta distanza.
Gli Stati Uniti avevano la Sesta Flotta, oltre alla basi sul nostro territorio. La Francia aveva la portaerei Clemenceau, a Sud della Corsica e, su quell’isola, la copertura a terra della base di Solenzara. La Francia, interpellata, laconicamente rispose che la Clemenceau era alla fonda di Tolone e che la base di Solenzara chiudeva alle 17 (proprio su questo particolare, sembra si voglia far luce, ammettendo, tolto il segreto di stato, che la base non era chiusa). Ma il comando NATO che dirige la struttura radar dell’Alleanza ci aveva comunicato che tra Corsica e Sardegna, quella sera, c’era una portaerei; e il comandante della portaerei americana Saratoga, in rada nel Golfo di Napoli, James Flatley, testimoniò di aver notato un intensissimo traffico aereo a Sud di Napoli, proprio in coincidenza con l’esplosione del DC9. Quanto alla base, il generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo (già vice di Dalla Chiesa nei Nuclei Antiterrorismo) aveva affermato di aver visto intensissimi movimenti, in atterraggio e in decollo, dalla base di Solenzara, trovandosi lì di fronte per vacanza; base che, dunque, era aperta e non chiusa, con tanto di “guida radar” funzionante.
Gli Stati Uniti (brutalmente sommersi, per trent’anni, da una campagna di stampa incoercibile e saccente, come, dicevo, frequentemente accade a certe latitudini sottoculturali) avevano subito prestato la massima collaborazione, e sulla loro condotta complessiva non gravano menzogne del peso di quelle francesi. Anzi, si deve a due loro esperti, John Macidull, della Federal Aviation Agency e John Transue, del Pentagono, se, subito dopo la strage, fu sconfessata la reticenza della nostra Aeronautica Militare sulla presenza di altri velivoli, dimostrando che i “plotts”, cioè i punti, sui radar, non erano “falsi echi”, ma veri aerei. E poi l’amministrazione Carter aveva buoni rapporti con la Libia, la riforniva d’armi addirittura, e istituì un “Ustica Desk”, nelle ore immediatamente successive al fatto, rispondendo, suo tramite, ad un centinaio di rogatorie.
Gli Stati Uniti, cioè, ci hanno fornito gli elementi per discolparsi; non dimentichiamo il loro Awacs in volo alle 21, in un’ora, cioè, in cui non c’erano esercitazioni, che costituiscono la più frequente ragione di impiego, per quel velivolo, in tempo di pace: l’areo radar stava pattugliando una “situazione complessa”. Ma, ovviamente, non potevano spingersi fino ad accusare apertamente un altro Paese, specie se alleato, come la Francia. Questa, dal canto suo, sia con Giscard D’Estaing che con Mitterand ha sempre opposto un tetragono silenzio. Inoltre, l’abbiamo visto, aveva più di un motivo per volere l’eliminazione di Gheddafi. E la Francia, già dai tempi del Ciad, sapeva che certi “buchi” della rete radar NATO erano noti ai libici, che questi li utilizzavano e che, pertanto, quella sera, un’importantissima personalità libica sarebbe dovuta passare da uno di quei “buchi”, e solo da lì, per non essere scoperta; buchi, così, trasformati in vere e proprie forche caudine. Il Colonnello, “provvidenzialmente” avvisato da un intelligence amica, il 27 Giugno1980, intorno alle ore 21, giunto all’altezza di Malta, potè rientrare in patria; i due Mig, che l’avrebbero dovuto scortare in Polonia (nei piani di volo custoditi anche presso la nostra Aeronautica, a quell’ora era previsto un volo VIP, da Tripoli a Varsavia), furono quasi abbattuti (uno, ripetiamo, finì sulla Sila) e l’Italia perse ottantuno inermi e innocenti cittadini.
La vogliamo scoprire, finalmente, questa verità su Ustica? Anche se non piace?