Ormai è quasi diventato impossibile discutere, in particolar modo dell’Italia e dei suoi problemi, senza essere attaccati da un “morbo” violento e diffuso come quello del benaltrismo. “Ci vuole ben altro…”,”No, il vero problema è…”, “No, la questione è un’altra”, o ancora “La situazione è più complicata, d’altra parte…”, ecc… .
Il morbo è diffuso ovunque: nelle discussioni nei talk show, nei salotti, nei bar, negli opinionisti per non parlare della politica, utile strumento per sviare dai problemi immanenti. Ma cos’è il benaltrismo? Il dizionario della Garzanti, in modo neutro, lo definisce come la: “Tendenza a spostare l’attenzione dal problema in discussione ad altro che si addita come più importante o più urgente”. Un’altra definizione, più attenta e acuta, sostiene che esso sia una: “Tendenza retorica che consiste nell'attaccare un'affermazione che esprime un problema o una soluzione affermando a propria volta che i problemi o le soluzioni sono "ben altri". L'atteggiamento del benaltrismo non è quindi di critica verso un'affermazione in sé, ma sull'ordine di importanza dell'affermazione stessa”.
Già…c’è sempre qualcosa di più importante rispetto al problema di cui si sta discutendo. Così facendo si delegittima ogni discussione, ogni possibilità di focalizzare l’attenzione su un particolare problema. Il benaltrismo non è certo un modo per relativizzare il problema rispetto ad un panorama sociale e culturale più ampio, poiché diamo per scontato che per ogni problema ne esiste un’altro più importante. E’, piuttosto, la deviazione patologica e ottusa di voler cercare le soluzioni altrove, spostando l’attenzione da altre parti, ritenute più importanti, depositarie delle uniche e indiscutibili verità. E’ l’idea presuntuosa di “saperla lunga”, che spezza la discussione e la sposta su un piano diverso, non più sul tema iniziale ma sul suo peso relativo rispetto ad altri.
La parola benaltrismo non ha equivalenti in nessun altro paese, non è traducibile. E’ un fatto tipicamente italiano, anche se casi simili sono riscontrabili altrove, soprattutto nelle élite politiche. In questo caso viene utilizzato strategicamente e strumentalmente per ragioni di consenso ma non è così diffuso come nelle chiacchiere della gente “comune” italiana.
Il fatto paradossale, come ha sostenuto in un suo recente articolo Luca Bottura, è che il benaltrismo assume una forma sinusoidale indipendente che si avvolge su se stessa e che ritorna al punto di partenza.
“Gli italiani non pagano le tasse. Il problema è ben altro: storicamente in Italia le tasse sono troppo alte. Il problema è ben altro: manca un vero contrasto all’evasione e pagano solo le fasce meno garantite, per esempio i lavoratori dipendenti. Il problema è ben altro: i lavoratori dipendenti spesso hanno un doppio lavoro. Il problema è ben altro: qualcuno avrà anche un doppio lavoro, ma intanto i politici sono casta e prendono 15 mila euro al mese. Il problema è ben altro: Equitalia strozza gli italiani. Il problema è ben altro: gli italiani non pagano le tasse.”
Ecco, tutta una serie di discorsi per non dire niente, per ritornare al punto di partenza. Il benaltrismo, infatti, si riempie di “gattopardismo” e irresponsabilità sociale. Pensiamo ai recenti fatti accaduti allo stadio durante la finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, quando il capo della tifoseria Genni ‘a Carogna, discute a cavalcioni dall’alto della sua transenna con i giocatori del Napoli e con i responsabili interni dello stadio dando il suo consenso allo svolgimento della partita. Successivamente su tutti i media, dai giornali ai social networks, giornalisti, tifosi, opinionisti hanno dato il meglio di loro mostrando benaltrismo da ogni poro del loro corpo. “Il vero problema, non è Genni ‘a Carogna, ma lo Stato che è assente”; “No, il problema è un’altro, è il calcio che è malato, ci girano troppi soldi”, “Ma non è vero, la questione è che le società di calcio non sono in grado di gestire i propri tifosi”, “No, macché, noi purtroppo non abbiamo una Thatcher”; “ Ma per carità la Thatcher, che privatizza gli ospedali, il problema è che le società sono schiave della propria tifoseria”, “I tifosi sono il vero problema, rozzi, violenti, ignoranti”, “No, ma il tifoso violento diventa così perché alle spalle ha disagio sociale, magari non lavora, ecc..”. E così via.
In questo modo nessuno è colpevole, quando in verità lo siamo tutti. Ma soprattutto, piuttosto che mostrare la volontà di cercare la verità mostriamo una grande impotenza. Questo girare a vuoto manifesta l’enorme distanza che esiste tra la facoltà di agire dell’individuo all’interno della società e i fatti sociali che accadono intorno a lui. Essi vengono percepiti come fatti autonomi, distanti, osservati nella situazione di spettatori passivi. E’ dal senso di frustrazione che nasce il benaltrismo, come la dietrologia; atti che nascondono dietro l’apparente dimostrazione di “saperla lunga” una realtà fatta di anonimato, estraniamento, disgregazione sociale e distanza, da sempre incolmabile, tra i luoghi del potere e gran parte degli italiani.