Questa mattina ci è arrivata dall’Italia una notizia sconvolgente: è stata arrestata Rosy Canale. L’imprenditrice anti ‘ndrangheta, 40 anni, nostra collaboratrice con la column La vita è bella e che proprio in questi giorni in Italia da autrice-attrice raccontava con l’opera teatrale Malaluna la sua esperienza di donna contro la mafia in Calabria, è stata arrestata durante una operazione anti mafia condotta dalla Procura di Reggio Calabria. L’operazione della Procura è stata denominata "Inganno". Rosy non è stata accusata di mafia, ma di peculato. Avrebbe, secondo l’accusa, usato a scopi personali i fondi che erano della fondazione antimafia da lei fondata Donne di San Luca e della Locride. Nell’operazione dei carabinieri coordinati dalla Procura di Reggio Calabria sono state arrestate altre cinque persone tra cui l’ex sindaco di San Luca, Sebastiano Giorgi, avvocato. L’accusa per loro è di associazione mafiosa e voto di scambio.
Operazione Inganno? Già, ma da parte di chi? Noi Rosy Canale la conosciamo da sei mesi, ma l’abbiamo guardata abbastanza negli occhi per vederci, lì dentro, tutto il dolore ma anche l’orgoglio di donna coraggiosa che per non essersi piegata alla 'ndrangheta ha dovuto affrontare sacrifici enormi. Sentirci ora “ingannati” da lei? Finora ci sentiamo semmai ingannati da una operazione mediatica-giudiziaria che, per quello che ci arriva attraverso gli articoli letti su internet, non ci convince affatto.
Dalle notizie dai giornali, si legge che Rosy avrebbe sottratto centosessantamila euro, secondo le valutazioni dei magistrati della DDA di Reggio Calabria che hanno chiesto l’arresto. Le intercettazioni avrebbero fornito agli inquirenti la possibilità di conoscere come sono stati spesi i fondi destinati a finalità sociali. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, Rosy Canale con quei finanziamenti avrebbe acquistato abiti firmati alla figlia, vestiti per il padre e beni di lusso.
Abiti firmati? Noi Rosy e la figlia a New York non solo non le abbiamo mai viste con vestiti firmati, ma semmai al contrario: qualunque piccola risorsa potesse avere – per poter sopravvivere a New York ha fatto anche la cameriera e altri lavori umili – Rosy le impegnava per le cure di una madre anziana che si trovava qui con lei a New York e che non aveva copertura sanitaria. Con lei a New York poi sono arrivati anche la figlia e il padre di Rosy, anche lui molto anziano e bisognoso di cure. Ci disse, Rosy, che per far fronte alle spese, aveva venduto l’appartamento in Calabria, l’unico bene rimasto alla famiglia. Poi, anche se titubante (aveva paura di tornare in Italia), aveva accettato di partecipare da protagonista allo spettacolo Malaluna perché, ci aveva detto, “spero di poter far fronte anche così a questa situazione di estrema emergenza. Ho a carico una figlia e due genitori anziani, devo lavorare ma qui a New York non riesco ancora a farcela a sostenere la famiglia”.

Rosy Canale riceve il Premio Paolo Borsellino durante la cerimonia tenuta una settimana fa al Campidoglio
Rosy ci era stata presentata dal Consolato di New York, al quale lei si era rivolta proprio per cercare aiuto e assistenza per la sua situazione di indigenza. Rosy aveva dovuto lasciare l’Italia, come ci aveva raccontato, “perché la mia vita era in pericolo. La polizia mi aveva avvertito che dovevo andare all’estero, al più presto”.
Negli Stati Uniti, da poco più di un anno, Rosy stava cercando di far ripartire una vita che aveva quasi perduto, quando la 'ndragheta l’aveva ridotta in fin di vita dopo un pestaggio per non aver voluto che si spacciasse droga nel suo locale di Reggio Calabria.
Dopo essere sopravvissuta all’attacco della 'ndrangheta, Rosy aveva fondato in Calabria il suo movimento di donne, in cui cercava combattere la criminalità organizzata proprio con l’impegno delle madri nei territori a più alta densità mafiosa. Come abbiamo detto la sua storia è diventata in questi mesi un’opera teatrale, Malaluna, con la regia di Guglielmo Ferro, le musiche composte da Franco Battiato. Poi Rosy era anche tornata il mese scorso a New York per recitare al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, con Valeria Golino e altre star, nello spettacolo di Serena Dandini contro la violenza sulle donne. E proprio pochi giorni fa Rosy aveva ricevuto a Roma, in Campidoglio, anche il premio Borsellino.
Sulla sua ultima colonna su La VOCE di New York, intitolata Non so più a chi credere,

Rosy Canale, in prima fila, lo scorso 25 novembre all’ONU con Serena Dandini e altre attrici per la giornata contro la violenza sulle donne
Rosy scriveva di un altro arresto in Calabria di una donna che era stata anche lei un simbolo dell’antimafia, l'ex sindaco di Isola di Capo Rizzuto Carolina Girasole. Il mondo in cui lei aveva creduto e combattuto di colpo si era capovolto. Quando scrisse quella column, nei messaggi via email mi apparse sconvolta dal dolore.
Rosy si sentiva ingannata per quella notizia. Ora noi dovremmo sentirci ingannati da lei. Ma per quello che leggiamo oggi sui giornali? O forse per la motivazione per la richiesta di arresto della Procura? No, nel sistema nel quale fu possibile il caso giudiziario di Enzo Tortora, noi non ci sentiremo traditi da Rosy fino a quando una corte di tribunale proverà le accuse all’ultimo grado di giudizio. Noi, a New York, prima di sentirci ingannati da Rosy, vogliamo leggere una sentenza di tribunale. Siamo fiduciosi. Speriamo solo che i tempi della giustizia italiana ancora una volta non siano quelli che calpestano i diritti umani.