Mi chiamo Laura Cambriani e insegno italiano in un’università in Virginia, dove sono stata assunta come Lecturer. Ho un contratto che viene rinnovato annualmente, godo di tutti i benefit, posso permettermi di pagarmi gli studi presso il Middlebury College – dove sono una studentessa che dedica le estati all’ottenimento del titolo di Doctor of Modern Language (DML) in Italian and Spanish – torno in Italia due volte all’anno, possiedo una macchina -ma non una casa – e spero ancora di poter trovare il Principe Azzurro, che mi permetta, grazie alla tanto sospirata Green Card, di rimanere negli Stati Uniti stabilmente.
In quest’articolo vorrei parlarvi della più bella professione del mondo: l’insegnamento della propria lingua a stranieri, nella fattispecie, dell’italiano. Ma non vi intratterrò con la mia esperienza nella Shenadoah Valley; oggi vorrei spendermi per quei colleghi che cercano di svolgere questa appagante professione in Italia, paese in cui, però, un insegnante di italiano per stranieri ha difficoltà a farsi riconoscere professionalmente. E lo vorrei fare proprio attraverso La Voce di New York, giornale che si è dimostrato sempre sensibile alle tematiche legate all’insegnamento dell’italiano.
Quello che mi porta a scrivere quest’articolo è il lancio, nel febbraio scorso, di una petizione online dal titolo “Riconoscimento ufficiale della figura professionale dell'insegnante di italiano per stranieri L2/LS”. Il titolo della petizione è quanto mai indicativo della condizione dei colleghi in Italia, che pur avendo una vasta scelta di percorsi universitari per formarsi in didattica dell’italiano a stranieri, non vedono garantita la loro figura professionale, né dopo anni di studi, né dopo anni di esperienze lavorative. Il problema principale è che non esiste un percorso abilitativo in italiano per stranieri -o meglio italiano L2, lingua seconda, che legittimi la figura professionale dell’insegnante. Questa è la prima grande differenza tra questa categoria e gli insegnanti della scuola pubblica italiana, che oggi si abilitano tramite il TFA (Tirocinio Formativo Attivo).
Quindi, i colleghi che insegnano italiano a stranieri in Italia possono ottenere titoli universitari, anche dottorati, ma questi titoli non preparano una figura professionale specifica. In poche parole, l’insegnante di italiano per stranieri è una figura professionale che non esiste. E’ una categoria mancante, tanto che gli stessi sindacati, che in Italia hanno un potere contrattuale fortissimo (a differenza degli Stati Uniti) si rifiutano di rappresentarli, poiché non sanno come inquadrarli, oltre a definirli come “precari”.
Confrontando i due paesi, posso dire che negli Stati Uniti ci sono percorsi certi per diventare insegnanti di lingua straniera: per le scuole è necessaria un’abilitazione (la Leicensure), per le università ci sono percorsi come Master in Education o Dottorati in Linguistica (questo solo per fare un esempio). Invece, in Italia, per diventare insegnante di italiano per stranieri esistono numerose opzioni che spaziano dalla Laurea (triennale e specialistica) al Master, passando per la Scuola di specializzazione, sfiorando le certificazioni (che costano fior fior di euro e di ore di studio, ma sono considerate, ahimè, solo titoli culturali e non accademici) fino ad approdare al Dottorato di Ricerca. Tra queste opzioni non c’è il TFA, perché, ci tengo a ribadirlo, non possono esserci percorsi di abilitazione per una figura professionale che non esiste (non esiste una cattedra di insegnamento come per le altre materie: lettere, storia, geografia, matematica, biologia, arte ecc ecc).
In un articolo scritto recentemente su un blog a cui collaboro da anni, ho sollevato dei dubbi proprio sulle istituzioni universitarie che offrono corsi di vario ordine e grado, giocando molto sugli sbocchi professionali, soprattutto riguardo alla possibilità di trovare lavoro all’estero – considerando che sono veramente poche le strutture italiane che chiamerebbero un neolaureato in didattica dell’italiano direttamente dall’Italia. Ma questo non basta, perché, in realtà, sono comunque tagliati fuori dalle selezioni per i posti di lettorato presso molte università straniere, che spesso il MAE (Ministero per gli Affari Esteri) riserva ai docenti di ruolo nella scuola. Per non citare gli Istituti Italiani di Cultura all'estero, tanto millantati negli sbocchi professionali, che non sempre hanno la possibilità di ricorrere a bandi di concorso, non potendo garantire le minime ore di insegnamento, e si trovano, in alcuni casi, nella necessità di prendere insegnanti in loco.
E se i miei colleghi volessero insegnare in un’università italiana? Per esempio agli studenti Erasmus? Ci sono bandi, quelli sì, che offrono un tot di ore di insegnamento e che offrono contratti chiamati co.co.pro (i contratti di collaborazione a progetto) con cui, in poche parole, le università si liberano di qualsiasi responsabilità di continuità contrattuale: il corso è di 40 ore? Finite quelle <>, ci rivediamo forse al prossimo bando, senza bisogno di versare contributi, senza coperture per la malattia, senza legami, senza alcun tipo di tutela, senza futuro.
Ma torniamo alla petizione. Le firme che ha raggiunto sono quasi 5000 (e già questo è un piccolo record). A settembre è stata recapitata al Ministro della Pubblica Istruzione Mariagrazia Carrozza e ai membri delle Commissioni Istruzione e Affari esteri di Camera e Senato; il risultato è un'interrogazione rivolta (a fine ottobre) al Ministro in Commissione Istruzione al Senato, presentata da alcuni Senatori del Movimento Cinque Stelle, gli unici che si sono sinceramente interessati alla causa. Purtroppo non ci sono date certe per le risposte alle interrogazioni parlamentari indirizzate ai Ministri, quindi restiamo ancora in attesa di una replica.
Non vorrei dilungarmi, ma vorrei sottolineare le difficoltà che incontra un collega in Italia, pescando direttamente dalla petizione. Sappiamo bene che l’Italia, da almeno un ventennio, si è trasformata in un paese meta di immigrazione da parte soprattutto dell’Est Europa e del Nord Africa. L’inserimento di questi immigrati dovrebbe già garantire il lavoro a molti colleghi italiani formati con i fior fior di titoli disponibili, ma per esempio i CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti, ex CTP), che organizzano corsi di italiano per stranieri adulti, dipendono dalle scuole, per cui vengono mandati a insegnare gli insegnanti della scuola dell’obbligo, che non hanno studiato per insegnare a stranieri, spesso analfabeti. Inutile dire che malgrado l’elevato e crescente numero di studenti stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, questi insegnanti non trovano spazio, perché non esistendo il percorso di abilitazione TFA, non esiste una cattedra per l’italiano a stranieri/L2 e quindi non gli è consentito lavorare nelle scuole per facilitare l’integrazione linguistica e culturale di questi studenti, a meno che la scuola non abbia a disposizione dei fondi per reclutare, tramite bando pubblico, un insegnate di italiano L2.
Come accennavo in precedenza, la varietà dei percorsi formativi in Italiano L2 e la contemporanea mancanza di un’abilitazione generano un’ incoerenza nella richiesta dei titoli che gli insegnanti devono possedere per partecipare a qualsiasi tipo di bando pubblico. Queste istituzioni, infatti, in mancanza di un inquadramento specifico della figura professionale stabiliscono di volta in volta i requisiti di partecipazione ai bandi in maniera del tutto arbitraria.
Avviandomi verso la conclusione dell'articolo vorrei pubblicizzare un'altra petizione online per il riconoscimento, negli Stati Uniti, di certificazioni italiane come la Ditals (Didattica dell’italiano come lingua straniera). La Ditals, però, sebbene sia una certificazione rilasciata dall’Università per Stranieri di Siena, non è un titolo accademico ma “culturale” <<che attesta la preparazione teorico-pratica nel campo dell'insegnamento dell'italiano a stranieri e garantisce un certo grado di omologazione anche al di fuori di un percorso formativo specifico>>. E' una certificazione suddivisa in due livelli indipendenti e gli esami per sostenerla costano molte ore di studio e di preparazione (sono previsti anche corsi di preparazione appositi). Nella petizione si parla di “spendibilità accademica” della Ditals negli Stati Uniti e questo ci fa ben sperare, anche se siamo consapevoli delle differenze tra i titoli universitari italiani e americani. Una seconda proposta della petizione è l’equiparazione della Ditals alla “Certified Proficiency Testing dell’ACTFL”. Per questo motivo, io che vivo negli Stati Uniti, ho l'intenzione di contattare presto l'insegnante Emanuele Capoano, presso il consolato di Boston, e l'ambasciatore Claudio Bisogniero (che appaiono nella foto della petizione americana). Anzi, spero sinceramente che già con quest'articolo qualcosa si smuova.
In conclusione e tornando alle vicissitudini dei colleghi italiani, aggiungo che all’invio della petizione al Ministro Carrozza è seguito un fermento che ha portato alla creazione di un blog: e di una pagina su Facebook. L’intento è quello di raccogliere colleghi volenterosi che portino avanti la battaglia per il riconoscimento della professione. E’ una strada tutta in salita. C’è ancora molto da fare e uno dei passi più importanti è rendere nota la loro causa, che ho sposato appieno, perché è in Italia ed in condizioni di assurda precarietà, che 12 anni fa ho iniziato a lavorare come insegnante di italiano per stranieri. Bene, in 12 anni le condizioni di lavoro sono a dir poco peggiorate.
Per questo motivo ringrazio Filomena Sorrentino che mi ha appoggiata e il direttore Stefano Vaccara che ha accettato di pubblicare quest'articolo.
* Laura Cambriani è lettrice di Italiano presso la James Madison University, Virginia. Ha ottenuto il Master in insegnamento dell'italiano come lingua non materna dell'Università per Stranieri di Perugia e attualmente sta studiando per il Dottorato in Lingue moderne [Doctor of Modern Language (DML) degree] in Italiano e Spagnolo presso il Middlebury College, Vermont.