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October 14, 2013
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Columbus day tra bandiere, ragazze pon-pon, orgoglio e una cultura dimenticata

Beatrice Bondi e Maurita CardonebyBeatrice Bondi e Maurita Cardone
Time: 5 mins read

 

Un altro Columbus Day se n'è andato. Lunedì 14 ottobre, per il sessantanovesimo anno, New York si è riempita di bandiere tricolore per la festa che celebra la “scoperta dell'America” e l'orgoglio italiano negli USA. A New York, città che è da sempre crogiolo di culture, una parata per festeggiare l'orgoglio nazionale non si nega a nessuno. Ma il Columbus Day è l'unico giorno ad essere riconosciuto come festa nazionale perché, se da una parte questa ricorrenza è da sempre occasione per ricordare il contributo che gli italo-americani hanno dato alla crescita di questo paese, dall'altra, celebrare Cristoforo Colombo significa rendere omaggio all'esploratore che aprì la via verso le Americhe. Eppure, nonostante la distanza storica, il personaggio di Colombo non è indenne da polemiche: non a tutti piace l'idea di celebrare la memoria di un conquistatore senza scrupoli che, arrivato tra i nativi, portò le violenze e le ingiustizie ormai a tutti note. Tanto che esiste una petizione per l'abolizione della festa, considerata offensiva nei confronti delle popolazioni che subirono la conquista del Nuovo Mondo da parte degli europei. Ma tutto ciò – inserito in una prospettiva storica in cui sono pochi gli europei (e quindi gli attuali americani) senza peccato nei confronti delle popolazioni native – non impedisce alla comunità italiana di fare del Columbus Day un momento di festa e celebrazione dell'italianità negli USA e della Columbus Day Parade di New York la più grande festa italo-americana.

Colombo

Un orgoglioso “Cristoforo Colombo” sulla Quinta Avenue (Foto B. Bondi)

È una strana emozione trovarsi sulla Fifth Avenue, nel cuore di Manhattan, circondati da carri e cortei sventolanti bandiere tricolore. A sfilare ci sono proprio tutti: dalle associazioni italo-americane, come l’organizzatrice Columbus Citizens Foundation e la più vecchia Amerigo Vespucci, alle scuole, ai pompieri, alla polizia e alle attività di ogni genere.

Italiani e italo-americani di ieri, oggi e domani, tutti riuniti insieme a sfilare in una grande festa che ravviva come un carnevale una delle strade più cool di New York.

Varia anche la stessa percezione del concetto d’italianità. C’è chi dell’Italia ha ormai solo un vago ricordo e chi in mezzo alla cultura italiana ci lavora letteralmente tutti i giorni, come la dottoressa Anna Fiore, preside della Scuola d’Italia Guglielmo Marconi, secondo la quale lo scopo del Columbus Day è “testimoniare la vitalità della cultura italiana a New York e nel mondo”. Anna Fiore sottolinea quanto sia importante trasmettere alle nuove generazioni la cultura italiana, per mantenere la propria identità pur vivendo immersi nella diversità multiculturale newyorchese. E detto dalla preside di un rinomato plesso scolastico bilingue che offre classi dalla scuola d’infanzia fino al liceo, si può prendere come garanzia che almeno un bel bacino di ragazzi consapevoli delle loro origini italiane sia garantito. E si ha questa impressione parlando con gli stessi studenti che sfilano, come ad esempio Nicola, diciassettenne nato a Trieste ma cresciuto negli States, che dice: “Io sono italo-americano, ma nonostante sia cresciuto qui sento molto forte la mia provenienza italiana, e credo che questa festa sia importante proprio per ricordare e affermare le proprie origini”.

Ma ci sono anche molti italo-americani che in Italia sono stati solo in vacanza, o che l’hanno solo sentita raccontare da genitori, nonni e parenti vari. Inutile dire quanto sia anacronistica una tale visione rispetto all’Italia dei giorni nostri. E di sicuro certe rappresentazioni a dire poco folkloristiche, con canzoni da spaghetto e mandolino come That’s Amore, non possono non far sorridere chi l’Italia l’ha lasciata ieri, ma d’altronde l’italo-americanità è anche questa. Italiani arrivati qui in momenti diversi portano con loro diverse idee della patria che lasciano. E così c’è Serena, studentessa di Belluno, che dice di riconoscersi solo nella bandiera tricolore. C’è Sara, insegnante, che ironicamente dice: “Nella vita bisogna provare di tutto”. C’è Marco, imprenditore emiliano, che sottolinea come gli indiani nativi americani forse potrebbero avere qualcosa da ridire sulla festa, e riferendosi a Cristoforo Colombo dice: “Alla fine anche lui è stato un italiano coraggioso che ha dovuto cercare credito fuori dall’Italia. Infatti per realizzare la sua impresa e arrivare in America ha utilizzato capitali spagnoli, perché in Italia nessuno aveva creduto in lui”. Primo di una lunga serie?

De Blasio Columbus Day

il candidato sindaco, Bill De Blasio, sfila alla Columbus Day parade. Foto: Maurita Cardone

E poi c'è chi dell'Italianità fa una bandiera, come Bill De Blasio, candidato democratico alla poltrona di sindaco che sfila in parata accompagnato da cori di sostenitori che lo chiamano “sindaco”, in italiano. Oppure la madre di Lady Gaga, Cynthia Germanotta (padre siciliano e madre veneta) che ha colto l'occasione della parata per promuovere la sua Born This Way Foundation, per il supporto dei giovani e delle comunità locali.

Poi c’è chi è venuto dall’Italia apposta per il Columbus Day: romani, milanesi, calabresi e salernitani, da Nord a Sud sono tutti entusiasti della manifestazione. Per i turisti la parata è bella, grandiosa ed emozionante, e in particolare Giuseppe e Vittorio di Salerno sottolineano quanto il nostro paese sembri molto più apprezzato all’estero, e come chi lo ha lasciato da tempo abbia mantenuto un legame con le proprie radici, che forse in Italia si è perso.

Ognuno ha la propria opinione, la propria storia e le proprie sensazioni. In mezzo a una tale diversità di persone sarebbe strano il contrario. Tra le sfilate di carri con dance floor, concertini, ragazze pon-pon e parate in divisa, tutti quelli che ancora hanno un briciolo di sangue italiano nelle vene sono chiamati a sentirsi protagonisti.

Ma se essere di origini italiane significa indossare una maglia tricolore un volta l'anno e poi non sapere nemmeno pronunciare il nome di Michelangelo, è lecito chiedersi se questa festa abbia un significato e quale. Ne aveva di certo per quegli immigrati che 69 anni fa dovevano combattere contro pregiudizi e discriminazioni e per cui farcela da questa parte dell'oceano era motivo di orgoglio. Ma oggi, nonostante il ricordo di quegli avi arrivati dall'Italia con le valigie di cartone sia ancora vivo, l'immagine dell'Italia in America è cambiata: gli USA guardano al nostro paese come culla della cultura, del buon gusto e del saper vivere, ma viene il dubbio che siano gli stessi italiani e italoamericani ad aver dimenticato quali siano i motivi reali per cui essere orgogliosi delle proprie origini italiane. Undici anni fa, la lotta contro gli stereotipi prendeva la forma di una polemica con il sindaco Bloomberg, responsabile di aver cercato di sfilare nella parata con i protagonisti della serie TV The Sopranos. Oggi, messo in chiaro che certe immagini dell'Italianità sono deleterie, oltre che grossolane, è forse ora di cominciare a chiedersi cosa possa sostituire quegli stereotipi. Se è vero che l'Italia non è tutta mafia e mandolino, è nostro compito far capire agli americani e al mondo cosa sia l'Italia oggi. E, al fianco della bandiera del successo economico, iniziare a sventolare la bandiera di una cultura che siamo spesso i primi a dimenticare.

 

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