Professionisti che vanno all'estero. Disoccupazione giovanile alle stelle. Lavori sottopagati o pagati in nero. Stage di ingresso nel mondo di lavoro equiparabili alla schiavitù. Un elenco che potrebbe andare avanti per molto e che purtroppo è la fotografia di una nazione, l'Italia, che sembra sempre più un treno puntato verso il baratro, con qualche timido macchinista che cerca la leva del freno senza trovarla, perchè troppo impegnato nella ricerca di qualche altro particolare del motore.
Non amo il disfattismo. Non amo chi parla male a prescindere dell'Italia. Non amo nemmeno il giornalismo fatto un po' ad arte per dire che tutto andrà sempre peggio e tutti dobbiamo vivere con questo terrore. Il problema però sono le storie di tutti i giorni, quelle che si sentono dagli amici, dai conoscenti. E' quello il momento in cui cresce la frustrazione, la rabbia, l'angoscia. Che però questa volta è reale, non è solo un pour parler al bar.
In questa rubrica fino ad oggi ho parlato di cose importanti, di tragedie di migranti, di dialogo tra culture e religioni e avevo (e ho) in mente di portare tutti voi in un viaggio in giro per il mondo, tra terre e popoli dimenticati, tra gli ultimi, tra i ribelli e anche tra quelli che ce la fanno, tra le belle storie e le belle esperienze.
Non ho cambiato idea, ma oggi quella rabbia di cui parlavo qualche riga qui sopra è viva, forte e ha bisogno necessariamente di uno sfogo. Forse non rientra nelle regole giornalistiche, qualcuno potrebbe pensare “a noi che ci importa”. Penso però che tutto questo rientri a pieno titolo nelle “cose dell'altro mondo”. Dover pensare che per costruire una famiglia si debba andare all'estero. Archeologi, medici, ingegneri, avvocati, giornalisti che all'estero trovano posizioni lavorative aperte e che in Italia vengono trattati come l'ultima ruota del carro. Tesori di cultura bistrattati e lasciati andare in malora. E poi quelle prime pagine dei giornali piene di provincialismo e di retroscena su quello che succederà a Berlusconi o sulle primarie del Pd, mentre a poche migliaia di chilometri di distanza si rischia l'esplosione di una guerra che sembra un salto nel vuoto, per non parlare del disastro umanitario. E ancora mentre la gente, i giovani, quelle forze che dovrebbero essere le “migliori” del paese vengono tartassate e spinte ad andarsene. E intanto la politica sembra sempre più lontana dai bisogni degli italiani, senza quella concretezza che possa dare un segnale sincero ai cittadini della Repubblica.
Alla fine di questo ragionamento, torna il dilemma: che fare? Andarsene? Rimanere? La verità è che l'Italia rimane un Paese magnifico, senza confronti, con uno stile di vita basato sulla famiglia, sulle piccole comunità, sulla solidarietà sociale. Che se avesse anche uno Stato più attento e più vicino sarebbe un sogno. Oggi forse ci accontenteremmo anche solo di uno Stato, vero, stabile, non solo dal punto di vista dei mercati. Che punti sui giovani e che abbia una visione del futuro. E che non viva solamente della solita, logora, infinita guerra tra guelfi e ghibellini. A prescindere da B. e da quello che succederà nelle prossime ore, il Paese reale ha problemi molto più seri e concreti. E vorrebbe per una volta delle risposte. Vere, se possibile.