Abbiamo dimenticato il Mediterraneo. E Io abbiamo fatto nei modi più perversi. Abbiamo dimenticato la mediterraneità come idea, come identità nei secoli incarnata in quel pezzo di mondo dove tutto – almeno per gli occidentali – sembra esser nato. Sembra, invece, relegata al folklore turistico di una vacanza estiva, oppure alla tragedia dei profughi morti dispersi nelle sue acque.
È una constatazione che nasce dalla consapevolezza di quanto questa idea sia sparita dall'agenda politica e dall'agenda-setting dei giornali. Si fanno incontri, dibattiti, eventi, in particolare un grande Forum Mediterraneo, ma niente sembra indicare nuove strade. Tutto si riduce a incontri personali o a particolari interessi di settore o privati. Così, allora, la sponda nord e la sponda sud restano separate, come due mondi lontani: due contenenti diversi, religioni diverse, culture diverse. Eppure il mare è lo stesso. Il Mediterraneo non ha mai diviso, ha piuttosto unito, o almeno congiunto, persone, simboli, vita. L'identità mediterranea è un modo di essere, un modo di vivere, un modo di vedere le cose e, in quanto tale, appare così connaturata all'idea di Italicità.
Eppure guardiamo con stupore e una certa distanza quanto accade in Tunisia o in Egitto. Tuttavia, c'è sempre un resort, magari sulle coste del Mar Rosso, dove ritrovare "noi stessi".
La storia, a partire da quel 1492, ha indebolito il Mediterraneo. In qualche modo ci ha atlanticizzati. Ci siamo aperti allo sconfinato, all'illimitato, alla grandezza, all'immensità. L’Atlantico è oceano, non mare e meno che mai mare tra terre. Esso separa da un nuovo mondo possibile che non prevede limiti. Così, probabilmente abbiamo perso di vista quell’idea tipica di una modernità umanista e umana mediterranea a favore di quella conquistatrice razional-strumentale anglosassone e mitteleuropea. Un umanesimo, quello mediterraneo, che gioca, apparentemente, a carte coperte, perché pone l'individuo alle prese con i limiti imposti dalla presenza dell’altro, e non certo per le possibilità infinite che potrebbero essere permesse.
Il Mediterraneo è colore, calore che ti avvolge in un abbraccio, è sapore, odore, tatto, gusto. E’ la sensorialità che esplode nella consapevolezza di un ritorno al proprio corpo. E gioco, sensualità, contemplazione. E l'assoluto di un attimo. E in quell'attimo si può scorgere l'eternità. Non c'è passato, non c’è il futuro, c'è solo quel momento che ci coglie nella sua totalità. Non è come, secondo il pensiero di Franco Cassano, per altre culture che secondo la loro localizzazione geografica vivono il percorso passato/presente/futuro in maniera diversa.
Semplificando, il cosiddetto pensiero nordico, contrapposto a quello meridiano (mediterraneo), rivolto al futuro perché ostico e difficile. Bisogna, quindi, essere razionali, vivere in funzione di, per prepararci alle condizioni avverse dettate dal freddo e dal buio. Quello occidentale/atlantico che prevede un futuro radioso, basta viverlo, lasciando dietro il passato, zavorra di un’identità che non vuole cambiare e che distrugge nel cammino ogni ostacolo posto difronte alla conquista identitaria. Quello orientale/continentale, per natura conservatore, guidato dalla tradizione del passato e dalla sedimentazione culturale accumulata nei secoli.
Ma il Mediterraneo, tuttavia, sfugge ad una classificazione precisa. Esistono tanti Mediterranei, compresenza di differenze, unione fittizia di diversità al punto che lo storico Fernand Braudel si chiede se si abbia il diritto di parlare di un’unità mediterranea. E’ proprio da questo che allora bisogna partire, dalle parole chiave che lo identificano “diversità, originalità, contrasti, opposizione”. La natura profonda del Mediterraneo non è un’utopica e mistificante unità ma piuttosto “un incontro”, una relazione, una pluralità, uno scambio ed un collegamento tra eterogeneità cooperanti od in conflitto tra loro. L’uomo a confronto con il suo simile “sconosciuto”, da sopraffare o con il quale tentare di convivere. La mediterraneità può quindi rappresentare una nuova e migliore società proprio perché il cosmopolitismo sembra essere un suo carattere permanente.
Il Mediterraneo insegna, e lo urla a gran voce, la necessità del senso del limite, opposto all’indiscriminata e sconfinata conquista, al desiderio di superare ad ogni costo i confini umani con il rischio di creare sopraffazioni, discriminazioni e genocidi. La globalizzazione impone oggi il riconoscimento di nuovi limiti per costruire convivenze civili.
F.Braudel ci ricorda che “universalmente” : “Essere stati è una condizione per essere”. E’ questo un modo per continuare a dare senso alla storia umana, ad evitare che si possano commettere errori devastanti e che nel Mediterraneo risiede una grande risorsa. Ma oggi dove le grandi idee sembrano non attrarre più, incapaci di dare soluzioni ad un mondo così inafferrabile, inspiegabile nelle sue azioni e nelle sue conseguenze, dove la fede e la ragione non esercitano più il fascino di un tempo il Mediterraneo di per sé non fa niente.– scrive Scipione Guerracino – Dà solo l’opportunità di mettersi a sedere, prendere un tè o un caffé, contrattare, discutere, perdere tempo, incuriosirsi dell’interlocutore, essere disposti a rimetterci qualcosa che alla fine vale meno di quello che si sta imparando durante la conversazione.