Anche chi, come noi, non nutre alcun interesse per la ricostruzione degli avvenimenti come effetti inevitabili di qualche “complotto”, resta comunque colpito dalla tempistica, ai limiti dello stacanovismo, dei processi che riguardano Silvio Berlusconi. Su quello in stato più avanzato, il procedimento sulla frode fiscale – per la quale sono già state pronunciate sentenze di condanna in primo e secondo grado –, si attende il giudizio della Cassazione sulla richiesta di annullamento presentata dalla difesa dell’ex premier. La richiesta contro la sentenza della Corte d’appello di Milano dell’8 maggio scorso è stata presentata una decina di giorni fa, e ieri era uscito con grande evidenza sul Corriere della Sera un articolo nel quale si prospettava la probabilità che, in ogni caso, per l’incipiente prescrizione di una parte dei reati contestati la Cassazione avrebbe ordinato un ricalcolo delle pene: a cominciare da quella, politicamente tutt’altro che “accessoria”, dell’interdizione dai pubblici uffici, che sarebbe quindi stata rinviata per ragioni tecniche di almeno un anno. In quello stesso articolo, stilato in forma tecnica e “neutrale”, si spiegava che il giudizio è “destinato a essere fissato dalla Suprema corte in media nel giro di 7 mesi”, ma, nella conclusione, si avanzava l’ipotesi che “la Cassazione potrebbe dare una fissazione prioritaria al fascicolo”, com’è poi accaduto effettivamente. I sette mesi della media, così, si sono ridotti a tre settimane, il che ha lasciato “esterrefatto” persino il professor Franco Coppi, avvocato difensore di Berlusconi, in possesso di una riconosciuta e insuperabile esperienza professionale nei processi in Cassazione.
Le domande che sorgono spontanee sono molte: che cos’era in realtà l’articolo di prima pagina del Corriere?
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