Per quello che sta accadendo in Egitto e in Medio Oriente, cherchez Barack! Tutto ha inizio quattro anni fa, sei mesi dopo che il neoeletto Obama entra alla Casa Bianca, primo afro americano a guidare la nazione più potente della terra. Dopo il 4 giugno del 2009, il Medio Oriente non sarà più lo stesso. Quel giorno, il neo Presidente Barack Obama tenne uno storico discorso al Cairo in cui, rigettando la dottrina di G. W. Bush che spingeva gli Stati Uniti all’intervento per il “regime change” e “imporre la democrazia”, invece il neo presidente USA esortava i popoli arabi a prendersi loro stessi carico della sfida democratica per governare il proprio destino.
Cosí parló Obama quel famoso giorno al Cairo: “America does not presume to know what is best for everyone, just as we would not presume to pick the outcome of a peaceful election. But I do have an unyielding belief that all people yearn for certain things: the ability to speak your mind and have a say in how you are governed”.
La facoltá di dire quello che pensi e poter influire nel modo in cui si é governati. Senza pronunciare la parola “democracy”, Obama affermò che tutti i popoli, anche quelli di religione islamica, desiderano la stessa cosa: la libertá di pensiero e parola e quindi di scegliersi i propri governanti.
Dopo poco più di un anno da quel discorso al Cairo, prima in Tunisia e subito dopo in Egitto, scoppiò la “primavera araba”. Dopo quel discorso di Obama del 2009, nel mondo arabo si moltiplicó la mobilitazione “to speak your mind”, soprattutto grazie a internet, con la diffusione di social network e blog. Ma i blogger piú popolari furono censurati e i loro animatori arrestati dai regimi “filo americani” di Mubarak e Ben Alí.
Cosí, dopo il discorso del Cairo di Obama, questa volta toccó all’allora segretario di stato Hillary Clinton rafforzarlo. Il 21 gennaio 2010, Hillary pronunciò al “Newseum” di Washington DC la dottrina del “Internet Freedom”. In quel discorso Clinton, riferendosi ai tentativi di censurare l’internet, oltre ai soliti Cina e Iran, incluse paesi alleati degli USA come Tunisia ed Egitto, questo 10 mesi prima che la Tunisia cacciasse Bel Alì. Hillary intimó ai due regimi arabi del Nord Africa, per oltre un quarto di secolo retti da dittatori fedeli alleati di Washington, di farla finita con la censura e soprattutto di rilasciare i blogger incarcerati. Nel giro di pochi mesi, nei paesi con dittatori per decenni protetti dagli USA, prima si vedeva un Presidente americano incitare gli egiziani e i musulmani del mondo a “speak your mind” e poi la ex first lady ora Segretario di Stato, minacciarli direttamente che gli Stati Uniti non avrebbero permesso la loro censura di internet e gli arresti dei blogger.
Dopo la “prima” rivoluzione egiziana che defenestrò Mubarak, l’amministrazione Obama mise il freno alla dottrina dell’“Internet Freedom” che aiutava gli arabi a liberarsi dalle dittature. Infatti Washington si rese conto che, per quanto riguarda l’Egitto, fosse concreta la possibilitá che sarebbero stati gli estremisti islamici ad avere il sopravvento dopo il crollo del regime. Così Obama, per tutto il 2011, appoggiò l’ordine mantenuto dai militari. In Egitto bastava soltanto che il capo cambiasse (Mubarak) affinché tutto rimanesse com’é (i militari al potere). Ma quando le inevitabili elezioni arrivarono nel 2012, ecco che invece di vincere gli egiziani della “middle class” motivata dai “blogger”, prendono più voti i fratelli musulmani. E Morsi diventa presidente. E questa volta a tremare sarà la Casa Bianca di Obama, che aveva tre anni prima innestato quel processo democratico senza calcolarne a fondo le conseguenze (invece la freddezza di Israele rispetto a quella “prmavera” egiziana faceva presagire già come sarebbe andata a finire…)
Alle Nazioni Unite, lo scorso settembre, abbiamo assistito al duello tra Obama e Morsi sulla libertà d’espressione. Secondo il First Amendament USA celebrato da Obama questa sarebbe assoluta, ma sullo stesso podio del Palazzo di Vetro, invece Morsi replicava al presidente americano che la libertà di espressione è valida fino ad un certo punto, e che nessuno poteva offendere il pensiero religioso degli egiziani o destabilizzare la nazione…
Da ieri Morsi, che in un anno al governo ha fatto veramente di tutto per esasperare gli egiziani, è agli arresti e i militari sono tornati al potere. Obama nel suo comunicato ha detto di essere profondamente preoccupato per il processo democratico. Già, ma non abbastanza preoccupato da fermare i militari egiziani come aveva fatto due anni prima quando aveva intimato a Mubarak di non intervenire contro la folla di Tahir Square. Infatti, avrebbero mai potuto le forze armate egiziane, che sono mantenute dagli aiuti diretti americani, intervenire in quel modo contro il presidente Morsi senza aver intuito che da Washington non si sarebbe disapprovata l’operazione?
Quello che sta succedendo in Egitto in queste ore è un golpe militare, anti democratico. Il governo di Morsi sarà stato anche innetto, ma era stato eletto dalla maggioranza degli egiziani che avevano partecipato al processo democratico, la prima volta nella storia d’Egitto. La democrazia è questa bellezza, può vincere anche chi non ti piace. Purtroppo per Obama, gli egiziani, una volta liberi di poter esprimere il loro voto, avevano dato la maggioranza al candidato dei fratelli musulmani.
Nella dichiarazione di “preoccupazione” dell’amministrazione Obama per gli eventi in Egitto, non viene mai pronunciata la parola golpe. Sapete perché? Una legge del Congresso vieterebbe immediatamente gli aiuti economici all’Egitto in caso la presa del potere dei militari venga certificata come un golpe. E gli ufficiali che oggi comandano al Cairo, senza i soldi di Washington, non riceverebbero il loro stipendio e quello dei loro sottoufficiali… Obama poteva bloccarli, come due anni prima, ma questa volta si è girato dall’altra parte.
A questo punto non resta che sperare che il popolo egiziano trovi le forze morali e patriottiche per evitare la guerra civile, che nel più importante paese arabo sarebbe il sigillo del crollo definitivo del Medio Oriente, già in corso in Siria. Questi giorni, hanno sancito anche come la scintilla di Obama del 4 giugno del 2009 abbia provocato una destabilizzazione della regione che ha visto la Casa Bianca impreparata a gestire quello che aveva provocato.
E la democrazia? Quella, come ci ha indicato Obama se non a parole con la sua inazione, ancora una volta può attendere.