Il disegno di legge sull'immigrazione che, contrariamente a quanto ci si aspettava, é stato incluso nella lista dei provvedimenti da mettere al voto al Senato nelle prossime settimane, é riuscito a scardinare il muro di ostruzionismo del Partito Repubblicano sulla spinta di un istinto di sopravvivenza da parte dello stesso GOP.
Una parte (non tutti…) dei conservatori americani infatti ha capito che, visti i cambiamenti etnici e demografici in corso nel Paese, un movimento politico che continua a presentarsi come il “partito dei bianchi anglosassoni” é destinato inesorabilmente all'estinzione.
In un certo modo, i periodici rigurgiti di Nativismo che punteggiano la vita culurale americana e che tendono ad acutizzarsi in periodi di depressione economica come quello attuale sono (se non altro statisticamente) comprensibili dal momento che quella degli Stati Uniti é, in primo luogo, una storia di immigrazione perpetua.
Ma proprio grazie e questa tradizione radicata nella nascita stessa della nazione, verrebbe da pensare che gli americani siano meglio preparati ad affrontare, sia culturalmente che politicamente, questo fenomeno.
E forse ció é anche vero dal momento che, a prescindere dalla sorte del disegno di legge attualmente in Senato, in America non si vedono mai quegli episodi violenza da parte delle comunitá straniere simili a quelli che si verificano periodicamente in Francia, in Inghilterra e, piú recentemente, in Svezia.
Auto bruciate; scontri con la polizia, sassaiole per strada sono divenute scene di un copione che purtroppo tende a riapparire ad intervalli ricorrenti nelle periferie delle grandi cittá europee.
Ma come mai questi episodi di violenza cosí frequenti nel Vecchio Continente sono praticamente sconosciuti in un paese come gli Stati Uniti con una concentrazione cosí elevata di immigrati?
Dopotutto il sentimento anti-immigrazione americano non é meno rabbioso, fanatico e violento di quello europeo per non parlare di quei casi in cui atteggiamenti xenofobi sfociano in episodi di vero e proprio razzismo, una piaga culturale su cui gli americani, vista la loro storia, non hanno nulla da imparare dal resto del mondo.
E tuttavia, le comunitá straniere in America, a dispetto delle loro considerevoli dimenioni e dei soprusi ai quali inevitabilmente vengono sottoposti, tendono ad integrarsi molto piú efficacemente e non ricorrono mai alla violenza per manifestare le loro frustrazioni.
Come mai?
Probabilmente la risposta a questa domanda non é univoca e risiede in una molteplicitá di fattori sociali, politici e culturali.
A mio giudizio tuttavia, a svolgere un ruolo prominente sono le attese. In altre parole ció che questi immigrati si aspettano una volta giunti nel ricco Occidente “euro-americano”.
In Europa, paesi con un prominente passato coloniale come l'Inghilterra e la Francia, attraggono migliaia di individui provenienti da queste ex-colonie con i quali condividono affinitá culturali e linguistiche ma, spesso, anche dalla promessa di condizioni speciali.
La legge francese, ad esempio, dichiara con una sublime magnanimitá di ispirazione illuministica, che tutti i suoi immigrati dell'Outremer, vale a dire dei suoi attuali territori d'oltremare, sono a tutti gli effetti cittadini francesi e, come tali, hanno diritto non solo a tutti quei servizi e quelle prerogative disponibili agli altri cittadini ma anche ad un trattamento sociale adeguato a questo status.
Questo é un punto importante perché i paesi europei sono anche fondati su un robusto sistema di welfare che garantisce servizi fondamentali come l'assistenza sanitaria, l'istruzione primaria e superiore, sussidi di disoccupazione e tutta una sere di benefici inconcepibili in America.
Con tutti questi diritti e servizi finanziati da aliquote fiscali che manderebbero in fibrillazione ogni membro del Tea Party americano, é chiaro che anche le tensioni sociali in Europa siano molto piú alte. Da una parte le popolazioni locali europee hanno visto negli ultimi anni il loro welfare system oberato da un crescente influsso di immigrati. Dall'altro, questi immigrati si sono sentiti “traditi” dal divario tra l'enfasi retorica dei paesi ospitanti e la realtá sociale ed economica con la quale si sono trovati a confrontarsi.
In altre parole, sono giunti in Europa con delle attese che non si sono materializzate.
Il “vantaggio” dell'America sotto questo punto di vista invece, é che qui non si garantisce niente a nessuno. Una volta sbarcato ad Ellis Island, a JFK o sull'altra riva del Rio Grande, l'immigrato in America é consapevole di non avere diritto a nulla: istruzione; assistenza sanitaria; sussidi di qualunque tipo, pur con le dovute differenze tra stato e stato, sono ugualmente inesistenti negli Stati Uniti a prescindere dal fatto di essere nati qui o meno.
E questo aspetto della societá americana, svolge un ruolo importante in relazione alla percezione del fenomeno “Immigrazione” sulle due sponde dell'Atlantico: l'Europa xenofoba e campanilista da una parte e l'America dall'altra, terra ospitale con una tradizione secolare di pluralismo e di integrazione.
Sará anche vero ma vale la pena rilevare anche che é facile essere ospitali quando a questi “ospiti” non si ha nulla da offrire.