Franca Rame donna e attrice
di Serena Anderlini
Avete visto due persone in questa stanza?
Il problema maggiore, nello scrivere di Franca Rame, è tracciare una linea di demarcazione tra ciò che le appartiene e ciò che appartiene al marito, Dario Fo. Si tratta di un problema pratico e ideologico allo stesso tempo, in quanto il loro rapporto è complesso e influenza interamente la loro vita personale e creativa.
La decisione di focalizzarmi su Franca Rame è una risposta a certo sbilanciamento della critica del loro teatro: Dario ha ricevuto maggiore attenzione di quanto il suo attuale contributo realmente meriti, e la mia scelta intende compensare in chiave femminista l’ideologismo che riunisce i due artisti sotto la stessa voce «Dario Fo».
In una recente intervista, franca mi ha rammentato un divertente luogo comune: «Avete visto due persone in questa stanza?» «No, ho visto soltanto un uomo e sua moglie». Essere sposata a Dario Fo è, secondo lei, un grande privilegio, ma spesso si sente offesa dal disprezzo mostratole dagli estranei, tanto da depositare negli archivi della compagnia un dossier che titola Le umiliazioni di Franca.
Negli Stati Uniti Franca Rame deve la sua fama a una serie di monologhi drammatici (originariamente intitolati Tutta casa letto e chiesa) conosciuti come Parti femminili o come Orgasmo adulto fuggito dallo zoo. Queste sono tra le pièces più popolari del teatro femminista in Europa e sono state rappresentate più di millecinquecento volte in centocinquantadue produzioni diverse, accompagnando i lavori più noti della compagnia, quali Morte accidentale di un anarchico e Non si paga, non si paga. Secondo molti commentatori Dario Fo e Franca Rame sono i più rappresentati tra gli autori viventi, conseguentemente è permesso dedurre che Franca ha richiamato l’attenzione di un pubblico di proporzioni senza precedenti sulle tematiche del teatro femminista. Ciò è un notevole risultato, perché lo scopo di ogni teatro politico seriamente impegnato è quello di raggiungere le persone «i cui occhi hanno bisogno di essere aperti» o che non sono ancora convinti di ciò che si cerca di dimostrare.
Sia alla Rame che a Fo piace portare di persona gli spettacoli a un pubblico nuovo. Nella maggior parte dei trentadue Paesi in cui i monologhi sono stati rappresentati, Franca ha recitato con l’aiuto di sottotitoli registrati su nastro, spesso di fronte ad audiences entusiaste. Sebbene il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti avesse reso ciò impossibile negando a entrambi gli attori un visto d’entrata , i monologhi di Franca sono stati messi in scena al Los Angeles Actors’ Theater e al New York Public Theatre. Il successo delle produzioni è stato tuttavia al di sotto delle aspettative e lontano da quello conseguito nelle maggiori città europee. Franca Rame sostiene che la principale giustificazione per il rifiuto era una presunta complicità tra la sua organizzazione, Soccorso Rosso, e il terrorismo italiano. Questa organizzazione si erge a difesa dei prigionieri politici, spesso incarcerati, torturati e maltrattati ormai indipendentemente da qualsiasi prova a loro carico. La Rame afferma che l’organizzazione p stata da lei promossa che l’ha aiutata, tra le altre cose, ad acquisire un’identità distinta da quella del marito, il quale ha sostenuto l’organizzazione soltanto tangenzialmente. Oltre a scambiare l’attenzione ai diritti umani per una complicità con il terrorismo, il Dipartimento di Stato ha anche attribuito a Fo un ruolo molto più importante di quanto meritasse all’interno di quell’organizzazione. I Fo furono infine ammessi negli stati uniti proprio il giorno successivo alle elezioni presidenziali del 1984. Rimasero a New York soltanto pochi giorni, soltanto per assistere al fallimento di una produzione Broadway di Morte accidentale di un anarchico.
Con la famiglia e con Dario
Franca rame è nata nel 1929 da una famiglia di commedianti professionisti che giravano il Nord Italia. La famiglia Rame è stata compagnia di teatro itinerante dai tempi della commedia dell’arte nel XVII secolo. La principale pratica teatrale che i Rame ereditarono dai loro antenati era l’abilità nel recitare a soggetto: con un paio di prove, senza alcun testo e con l’aiuto di una scaletta (un elenco di scene ed entrate poste sui due lati del palcoscenico, dietro le quinte), gli attori della compagnia Rame potevano allestire una rappresentazione basata praticamente su qualsiasi tema. Per loro il teatro era, di fatto, una tradizione orale, un’arte che si può imparare soltanto sul palcoscenico, affrontando il pubblico. In un clima ideologico che censurava il teatro apertamente politico e ostracizzava i trasgressori delle convenzioni drammaturgiche (ad es. Pirandello), la compagnia Rame scelse di continuare una tradizione che si rifaceva alla migliore commedia dell’arte e che aveva il suo punto di forza nella capacità di comunicare con un pubblico di bassa estrazione scoio-culturale.
Giungendo nelle varie cittadine rurali del Nord Italia, la compagnia Rame raccoglieva un pubblico di cittadini non istruiti, i quali si sarebbero sentiti intimiditi da spettacoli formalmente più strutturati. Franca ricorda che i suoi parenti spesso si informavano sulla storia dei paesani: «ogni luogo ha la sua storia», sostenevano; e prendevano appunti, ascoltavano aneddoti, familiarizzavano, arrivando al momento del debutto con alle spalle l’intera storia di quel pubblico.
Il repertorio della compagnia andava da Shakespeare a Ibsen, L’arte di recitare a soggetto serviva bene a rendere i classici accessibili a un uditorio popolare. Gli attori «traducevano» nel linguaggio della gente, operavano una «mediazione» fra tradizione drammatica e cultura contadina.
La recitazione a soggetto sviluppa l’abilità dell’attore nel prevedere le reazioni del pubblico. Misurarsi con un uditorio impreparato alle prolissità e ai cerebralismi è un’autentica sfida. Poiché Franca ha fatto esperienza di questa pratica fin dall’infanzia, non desta meraviglia il fatto che nella compagnia Fo-Rame sia proprio lei a incaricarsi, facendo tesoro delle reazioni del pubblico, di smussare, pulire e revisionare le prime stesure degli spettacoli di Dario.
Diversamente dal teatro della famiglia Rame, quello di Fo e Rame è proprio un teatro con testi scritti. La versione finale degli spettacoli, comunque, non viene pubblicata che dopo alcuni anni di palcoscenico e può essere del tutto diversa dal copione recitato la prima volta. Franca è, come lei stessa racconta, il «tiranno della compagnia», che insiste sui mutamenti finché Dario non apporta quelli che lei reputa necessari.
Per Franca Rame dunque il ruolo dell’attore coincide con quello dell’esecutore ed entrambi i ruoli sono legati alla percezione del pubblico che si acquista nella pratica del recitare a soggetto. Quando ascoltiamo la critica celebrare Dario Fo come il drammaturgo vivente più rappresentato, viene da chiedersi se la nozione di autore coincida necessariamente con il nome scritto in copertina e quanto di ciò che appassiona il pubblico sia dovuto al contributo di Franca Rame.
In un’epoca in cui la vita delle persone era ancora relativamente semplice e la cultura delle classi più basse era ancora, di fatto, una cultura contadina, i teatri itineranti come quello dei Rame avevano uno spazio e una funzione. Se politica e avanguardismo non erano la loro maggiore preoccupazione, occasionalmente i Rame si dedicavano alle problematiche della classe lavoratrice e le rappresentavano con espedienti che più tardi sarebbero stati definiti «epici».
Un buon esempio era lo spettacolo Figli di nessuno, nel quale si trattava dei pericoli vissuti dai minatori. In quello spettacolo i Rame si affidavano a complesse macchine di scena, tra cui una marionetta che fungeva da figura prologo e che serviva a introdurre la situazione drammatica. Poiché la televisione non aveva ancora raggiunto le campagne e poiché il cinema era, lì, ancora un evento eccezionale., l’arrivo della compagnia nei vari paesotti era un’occasione di ritrovo e di festa. Il teatro funzionava come ritrovo e come scambio di esperienze.
La compagnia Rame si sciolse con la diffusione della tv e della radio (a metà degli anni cinquanta) e Franca approdò a Milano poco più che ventenne. Non rimase affatto soddisfatta quando venne ingaggiata per il suo aspetto fisico nei teatri commerciali della città. Era stata sul palco dall’età di otto giorni ed era solita recitare la parte di protagonista. I direttori delle compagnie di varietà e riviste (che facevano spettacoli musicali con parodie) la usavano come «la bella» e le assegnavano parti anche senza battute. Se a essi non interessava verificare il fatto che lei sapesse o meno recitare, Franca sostiene che allo stesso modo neanche a le interessava il lavoro che questi le proponevano e considerava comunque il privilegio di guadagnarsi da vivere sul palcoscenico piuttosto che in fabbrica. Recitare non era il campo in cui si giocavano le sue ambizioni e guardava al teatro come a una vetrina di superficialità: «per farla semplice – dice – se il mestiere di mio padre fosse stato quello di fare le scarpe, avrei imparato a fare scarpe; se non ci fossero state limitazioni di scelta credo che mi sarei dedicata al sindacalismo e al lavoro sociale».
Diversamente dagli altri, Dario comprese che la bellezza non era la sola dote di Franca. A quel tempo recitava, progettava scenografie e studiava architettura. Si sposarono nel ’54: due anni dopo crearono la loro compagnia e produssero il loro primo spettacolo. Recitarono assieme ininterrottamente per tutti i vent’anni successivi come avanguardia del teatro politico italiano e misero in scena una media di uno d due spettacoli all’anno.
Uniti, i talenti di Dario e Franca rendono il lavoro della compagnia completamente autosufficiente. Si servono di stesure provvisorie per escogitare la loro «chiave teatrale» (una chiave che permetta l’uso del palcoscenico come luogo interpretativo di una determinata situazione). Mentre organizzano costumi, scenografie e situazioni tipo, debuttano di solito in una piccola città. Il tipo di pubblico che vi incontrano serve a smussare, tagliare e sviluppare la prima stesura. Quando raggiungono città più grandi, di solito lo spettacolo è arrivato a una certa stabilità: gli spettacoli di maggior successo, comunque, di rappresentazione in rappresentazione, subiscono ulteriori cambiamenti. I Fo pubblicano i loro testi con La Comune, una piccola casa editrice che fa capo alla stessa compagnia.
I Fo hanno recitato in ogni tipo di spazio teatrale: circuiti convenzionali nei primi anni, la televisione di Stato (che lasciano per motivi di censura), fabbriche , piazze, strade. Nel ’74 divenne loro base per quattro anni la Palazzina Liberty di Milano. Oggi, grazie alla acquisita notorietà, riescono ad affittare teatri convenzionali nella maggior parte delle città italiane, e anche a prezzi ragionevoli (il biglietto d’ingresso ai loro spettacoli costa di solito la metà del biglietto teatrale ordinario e, in media, è al di sotto di quello del cinema di prima visione: gli spettatori cui è accaduto di essere usati come pubblico-test, inoltre, non si sono mai sentiti «imbrogliati» e Franca se di afficionados che sono tornati a uno spettacolo pochi mesi dopo per vederne i miglioramenti).
L’incasso di molte rappresentazioni è stato devoluto a cause politiche, sociali e umanitarie. L’autosufficienza della compagnia Fo-Rame non deve essere vista come trust, come impresa orientata al profitto. Oltre a evitare le trappole della specializzazione, il loro controllo dell’intero processo teatrale garantisce un’assoluta indipendenza ideologica. Come più di un esperto ha detto, l’Italia è oggi un Paese «in cui non puoi recitare il tuo spettacolo se non hai una compagnia»: i fondi statali, unica fonte di sostegno per il teatro, vengono principalmente assegnati a compagnie che rappresentano autori morti o autori stranieri. Con l’indipendenza economica i Fo sono stati in grado di indirizzarsi verso le problematiche principali del nostro tempo: stupro, terrorismo, imperialismo, criminalità politica, tossicodipendenza, guerriglia, mantenendo intatta la libertà artistica della compagnia a dispetto delle pressioni economiche e della censura.
Tale libertà artistica, tuttavia, non garantisce automatica»mente pari opportunità all’uomo e alla donna. A seconda della problematica che viene trattata in ciascuno spettacolo, la situazione teatrale (o chiave) assegna a Franca o a Dario una determinata posizione. In Stupro, ad esempio, non sorprende che Franca reciti senza l’aiuto di Dario. In spettacoli che trattano di tematiche più «esteriori» (la criminalità politica in Morte accidentale di un anarchico) Franca è spesso relegata a ruoli minori allo scopo di centrare tutta l’attenzione su Dario. Non sempre Franca è contenta dei suoli che recita per la compagnia. Quando l’ho incontrata a Firenze era visibilmente stanca di essere Elisabetta nel loro ultimo spettacolo (Una donna per caso. Elisabetta). «Questa Elisabetta è come un bue» diceva usando l’immagine della bestia che trascina l’aratro. Quando le chiesi perché continuasse a interpretarla, mi ricordò che «una parte buona per la moglie non si può comperare al supermercato». Quando Dario desiderava mettere in scena spettacoli incentrati su problematiche politiche «esterne» (l’imperialismo, il totalitarismo, la criminalità politica) Franca non disertava anche se la fatica che doveva sostenere non le forniva grandi soddisfazioni personali. L’impegno nei confronti di Dario correva parallelo all’impegno politico.
Soccorso Rosso
Gli anni intorno al sessantotto furono, per Franca, fondamentali: comprese che la politica influenza ogni aspetta dell’esistenza, persino il lavoro di cucina («le dinamiche del potere determinano chi farà i piatti»). In quel periodo curava lavori di «sostegno» sia per la compagnia che per la famiglia.
Quando si scoprì totalmente assorbita nel tenere i registri e la corrispondenza, nel curare pubblicazioni, nel recitare ruoli «da bue» e nello svolgere ogni tipi di lavoro domestico, allora cominciò a nutrire qualche perplessità. Sottrarsi ai doveri di casa fu semplice, sebbene i Fo avessero deciso che assumere una domestica fosse in contraddizione con il loro credo politico. Franca dice che arrivò allo sciopero domestico e che la questione venne immediatamente risolta dai membri della famiglia. Ma le faccende della compagnia sottraevano tempo al lavoro sociale.
L’Italia di quegli anni conobbe una lunga serie di arresti politici. Maltrattamenti, torture, trasferimenti continui da istituzione a istituzione, mancanza di cure mediche e spesso atti criminali si aggiungevano all’inefficienza del sistema giudiziario, un sistema dove cittadini sospetti potevano essere imprigionati per anni prima di essere condotti a giudizio. Un caso tipico è quello trattato in Morte accidentale di un anarchico, uno spettacolo che racconta del «suicidio» di Pinelli al Commissariato di pubblica sicurezza di Milano e della successiva settennale incarcerazione di Valpreda. In una intervista Franca ricorda il viso della madre dell’anarchico, viso che di tanto in tanto poteva scorgere dal palcoscenico: per quella donna, andare allo spettacolo era diventato un rito catartico.
Franca si interessò ai diritti dei prigionieri politici poiché riteneva che almeno sul piano umanitario qualcosa poteva essere fatta. Iniziando con otto casi di prigionia negli anni settanta Soccorso rosso arrivò a seguirne più di ottocento. Nell’organizzazione erano coinvolte più di mille persone; i più in vista, come Jean-Paul Sartre, usarono la loro influenza in difesa di vari casi. In seguito, poiché il sospetto di terrorismo divenne la principale causa degli arresti politici, Franca spinse la maggior parte degli attivisti a ritirarsi dall’organizzazione e, sebbene non cessasse mai di aiutare le famiglie degli arrestati, sciolse Soccorso Rosso come organizzazione formale, ritenendola ormai troppo rischiosa per la gente comune che vi militava.
L’organizzazione di Franca funziono da scudo contro la violenza istituzionale e si dimostrò una rilevantissima fonte di controinformazioni. Ne è testimone il libro Non parlarmi degli orchi, parlami delle tue galere, che Franca scrisse ispirandosi ai diari della madre di Alberto Buonconto. Questo giovane prigioniero fu condotto alla pazzia e al suicidio e nessuna prova venne mai trovata a suo carico. Le pagine di questo libro, paragonabili a certe sequenze di film come El Norte o The killing fields, rivelano crudeltà al di là di ogni immaginazione. Oltre ad essere un documento storico, esso dice anche di Franca, che appare qui come una scrittrice vicina alle vicende più semplici e dolorose della vita. La pietosa comunanza tra scrittrice e soggetto caratterizza infatti i monologhi più tragici di Franca: Io, Ulrike Kry, Accadde domani, Una madre, Stupro. I primi due trattano di donne terroriste in prigione. Ulrike, leader della leggendaria banda Bauder-Melnhoff, sta attendendo che il suo carceriere la uccida, mentre il bianco, immutabile ambiente della cella entra in contrasto con i continui assalti di colori del mondo esterno. Il secondo monologo è una descrizione del massacro nella prigione di Stemembein. In Una madre, una donna apprende dai giornali che suo figlio è stato arrestato per terrorismo. Essendo «un principiante», suo figlio non può far nomi come potrebbero fare molti leader. Non avendo la possibilità di essere graziato, sua madre decide di strangolarlo piuttosto che abbandonarlo al sistema giudiziario. La conoscenza della violenza che Franca acquisì nell’attività di Soccorso Rosso spiega allo stesso tempo sia il tema del dolore nei suoi spettacoli, sia la sua visione del terrorismo come risultato di una violenza diffusa. Soccorso Rosso fornì a Franca i soggetti per il suo lavoro, ma certamente non aiutò la causa del terrorismo. Come Una madre dimostra con chiarezza quella causa che venne paradossalmente favorita dallo stesso sistema giudiziario , secondo le cui strategie il baratto dei nomi con il perdono lasciò liberi molti dei leader del terrorismo italiano.
Nel quarto monologo una donna viene stuprata in un camioncino. Ciò che eccita i violentatori non è tanto il corpo della donna quanto la violenza che questi esercitano su di lei. Al culmine della sua attività in Soccorso Rosso, Franca fu sequestrata da una banda di fascisti: questo breve monologo scritto nel 1985 dissipò ogni dubbio a ciò che realmente accadde in quella dolorosa circostanza.
Da sola
Dopo vent’anni di palcoscenico con Dario e dopo l’esperienza di Soccorso Rosso, Franca debuttò nel ’77 con Tutta casa letto e chiesa. Lo spettacolo fu la prima affermazione di Franca come protagonista. La stampa non fece commenti sul suo contributo alla stesura del testo, sebbene Dario avesse insistito per far comparire il nome dei lei in copertina. Secondo le parole di Franca «lui pensava che non l’avrei richiesto se non fossi stata sua moglie». Tutta casa letto e chiesa comprende nove monologhi che Franca rappresenta in combinazioni diverse, di solite quattro per sera. Alcuni di essi richiedono oggetti di scena ma la struttura è fondamentalmente basata sulla mimica e sulla gestualità. Simili a spettacoli americani quali Voices e For Colored Girls, la storia viene narrata e non rappresentata: è come se ciascun personaggio raccontasse la sua storia a se stesso. Questa tecnica rende superflua la presenza maschile sul palcoscenico e comunica il punto di vista della protagonista, le sue sensazioni, le sue reazioni.
Le donne che Franca interpreta in Tutta casa non sono femministe: come il titolo informa, esse sono «tutte chiesa e pareti domestiche» proprio come le donne tradizionalmente sottomessa; in più, hanno imparato a essere anche obbedienti a letto. L’attrice non si rivolge qui a audience femministe e, lontano dalle argomentazioni teoriche, presenta immagini concrete dell’oppressione femminile.
Franca usa chiavi diverse a seconda della situazione: decisamente tragico nei due monologhi delle donne terroriste, il tono degli altri brani è da commedia e si carica di elementi grotteschi e favolistici. Nonostante le battute ilari, c’è una serietà alla Molière nello humour di questi spettacoli. La rappresentazione di solito inizia con Il risveglio e Una donna sola, i due lavori più farseschi e ricchi di situazioni tipo. Il primo narra la frenetica mezz’ora di una madre della classe lavoratrice tra il momento del risveglio mattutino e l’uscita di casa con il bambino piccolo. Nella confusione tra borotalco e parmigiano grattato, tra bagnoschiuma e zucchero, un deodorante spray e cera per l’argento, la donna si rende conto, mentre il marito russa ancora, che c’è qualcosa di sbagliato nell’organizzazione della sua giornata. In Una donna sola Franca è una casalinga in négligé intenta alla stiratura. Il suo appartamento è invaso da utensili, giornali e prodotti pubblicitari. Suo marito le procura tutto questo materiale in cambio della sua dedizione al bambino piccolo e a un cognato storpio che ha dei raptus sessuali. In questa grottesca parata di suoni, immagini a colori, la donna rievoca la stanza in cui lei e un giovane studente stavano nudi a fare l’amore e rievoca l’orgasmo mai raggiunto col marito. La pièce termina con il pianto della donna e con una dichiarazione di sofferta e rassegnata «felicità».
La mamma fricchettona è un’altra farsa su una casalinga di sinistra che si maschera da mendicante per ricercare il figlio scappato di casa. Quando inizia lo spettacolo la donna si sta nascondendo in chiesa per eludere una pattuglia di carabinieri cui il marito e il figlio redento hanno annunciato la sua scomparsa. Poiché siede dietro il confessionale come una persona regolarmente praticante, essa racconta i suoi peccati: nel travestimento da mendicante, vagando per strada in cerca del figlio, si accorge di aver trovato una libertà e una gioia di vivere ormai del tutto estranee al suo ambiente sociale e confessa quanto sia esilarante fare l’amore con sconosciuti a e dice di non essere disposta a tornare alla routine della casalinga.
Il tema comune a queste tre farse è la scoperta che i beni di consumo non mitigano il dolore dell’essere relegati a ruoli convenzionali. Nelle favole allegoriche si va invece al di là della generica libertà della farsa. Abbiamo tutte la stessa storia affronta il tema del «doppio», una bambola disinibita e … attira gli uomini con la sua disponibilità e la protagonista la imita trovandosi poi maritata a un ingegnere che la usa come merce sessuale. In Alice nel paese delle meraviglie l’allegoria è ancora più chiara. La favola di Alice inizia con un’allucinazione erotica e prosegue con un bombardamento di elettrodomestici e prodotti cosmetici, terminando poi in una fabbrica per la produzione di donne inibite.
Medea è un monologo che Franca usa spesso come conclusione. Il tono è radicalmente diverso da quello delle favole e si intuisce maggiormente la sua dolorosa partecipazione personale. Come in altri spettacoli scritti da donne che sono anche madri (For Colored Girls), il culmine della tensione è raggiunto quando si affronta il tema dei bambini. Nell’intervista Franca ricorda una serata particolare in cui, durante la rappresentazione di Medea, percepì un senso di gelo tra il pubblico. Curiosa della reazione, venne a sapere che in quella città una donna si era gettata dalla finestra insieme ai due figli proprio pochi giorni prima che la sua compagnia vi giungesse. Ci sono molti ritratti commoventi di madri negli spettacoli Fo-Rame: la storia di Michele, un sindacalista che fu ucciso dalla moglie, è raccontata dal personaggio della madre di lui in una pièce precedente; mamma Togni è un’eroica madre partigiana in La guerra del popolo in Cile; Mistero Buffo, infine, include un ritratto della Vergine. La tematica sottostante a questi lavori è quella della maturità come atto di speranza tradito dal mondo. Ai piedi della croce Maria inveisce contro l’angelo: c’è una promessa, nell’Annunciazione, che è stata tradita nell’agonia del Figlio. Medea è la donna ribelle che reagisce al tradimento ricorrendo all’infanticidio.
Certamente Franca non intendeva presentare in Tutta casa come stereotipi: le donne che ricorrono al terrorismo, all’infanticidio, all’amore libero o diventano merce sessuale non sono femministe. Piuttosto che indicare «lo stato depressivo» delle donne italiane, in cui Mel… vede il punto focale di Tutta casa, questa mancanza di ruoli tipo coincide con la vicenda dolorosa di Franca alle tragedie semplici di tutti i giorni, tragedie che il femminismo non ha ancora sconfitto.
Nel 1983 Franca rappresenta un secondo spettacolo includente tre brani sulla relazione uomo-donna. Coppia aperta quasi spalancata, che dà il titolo alla rappresentazione, è una farsa semiseria in cui marito e moglie discutono sui rapporti extraconiugali: lui, un intellettuale di sinistra obbligatoriamente franco riguardo alle sue «relazioni»; lei fatalmente umiliata dalle confidenze del marito. Quest’ultimo osserva che sarebbe gentile da parte sua portare Piera (una delle sue amanti) dal ginecologo per problemi di tipo contraccettivo; qui Franca ha una battuta divertente e risponde con un’esplosione di humour italiano: «Te la ficcherò nel naso, quella spirale! Storta… una per narice». La coppia aperta è, nella versione della protagonista, una riedizione di puro maschilismo vecchio stampo, e lei decide così di avere la sua parte di autonomia con un fisico nucleare. Lo spettacolo termina con il marito nel bagno che si fulmina con un asciugacapelli quando il fisico bussa alla porta.
Nella seconda parte Franca interpreta Stupro e un monologo intitolato Rientro a casa. Questi presentano due tipi di sessualità completamente opposti. In Stupro sesso e amore sono del tutto separati e l’atto di violenza sessuale viene presentato come un fatto interno alla dinamica del potere. In Rientro a casa una donna, che sta tentando di ritrovare il suo appartamento in una mattinata di nebbia, racconta come il giorno prima abbia lasciato il suo lavoro di segretaria. Dopo una breve performance con il marito, si scontra con un collega uscito dal lavoro nell’intervallo del caffè, collega che ha sempre visto a mezzo busto dietro al registratore di cassa. Lo squallore della loro esistenza è ripetuto in una camera d’albergo, ma c’è una inattesa tenerezza in quell’uomo nel momento in cui scoppia in lacrime e confessa che quella è stata la sua «prima volta» con una donna. Poi l’anonimato della periferia tradisce la donna durante il ritorno a casa e lo spettacolo volge in farsa quando questa entra nell’appartamento sbagliato, saluta i bambini sbagliati, getta un’occhiata alla suocera sbagliata, entra nel letto sbagliato e fa l’amore col marito sbagliato.
Lo spettacolo di Franca affronta così i problemi del sesso e le sue connessioni con un potere che diffonde violenza e repressione. Il suo teatro non esplora le relazioni tra donne ed evita il rapporto madre-figlia così caro all’avanguardia del movimento femminista. Se il suo femminismo è elementare e focalizza le tematiche di potere nei rapporti eterosessuali, esso va anche al di là dell’idiosincrasia antimaschilista. Si tratta di un teatro che non si interroga sui problemi metafisici (come alcuni spettacoli femministi americani) e che anzi evita volutamente ogni argomentazione di tipo intellettuale. Gli spettacoli di Franca implicano un’istanza che appare oggi come la più ragionevole: come donne, come uomini, come creature, siamo costretti a convivere sul nostro pianeta, almeno finché riusciremo ad evitare l’olocausto nucleare. Mostrandoci il risvolto oscuro della medaglia, Franca ci invita a rendere meno dolorosa questa nostra esistenza consociata.
fonte www.francarame.it (Post Franca Rame datato 05/08/2010)
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