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May 24, 2013
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Meno male che Santanchè c’é

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Daniela Santanchè

Daniela Santanchè

Time: 3 mins read

Dario Franceschini, ex segretario del PD, in carica quale Ministro dei rapporti con il Parlamento, ha invitato, con SMS, a votare per la sua compagna, candidata al Consiglio comunale di Roma. L’invito è stato subito messo alla berlina, in questo caso nel blog del Movimento Cinque Stelle.

Nello stesso blog-pulpito si legge che il messaggio è stato inviato ad “un circolo più o meno ristretto di amici di Dario”. Trattandosi di politico ormai di lungo corso, magari i destinatari saranno stati parecchie centinaia, se non di più; e non è improbabile che risulti in larga parte efficace. Ma non è questo il punto.

Il punto è il meccanismo, il “dispositivo”, come dicono quelli che ne sanno. La gogna, il linciaggio personale, in nome dell’ “essere parte”.

A meno che, qualcuno, per istinto (ormai solo quello ci può salvare, parafrasando Heidegger) non torni ai fondamentali, alle cose semplici: come, per esempio, il sentimento d’amore fra due persone, la sua (del sentimento) e la loro (delle persone) dignità e faccia saltare il “dispositivo”.

Così l’On. Santanchè (Onorevole è la carica, democratica; l’istituzione, il Parlamento; e la persona deputata; per conseguire tutto questo ci sono volute varie guerre, svariati milioni di morti violente e, nel caso delle donne, un supplemento speciale di fatica e di dolore; perciò, ripetiamo tutti insieme: Onorevole) ha espresso la sua condanna: “Cosa avrebbe dovuto fare? L'amore è solidarietà, vicinanza, condivisione. Non è questo il mondo in cui voglio vivere. Mi sarei stupita da donna se il mio compagno si fosse comportato diversamente da Franceschini. Mi congratulo con lui e gli auguro di non cambiare mai”.

Ogni tanto succede. Persino dopo decenni di barbarie fatta passare per spirito critico, per cultura vigile, per coscienza civica. Meno male.

E’ stata la maniera di Santanchè. Una bella maniera. Diretta, semplice, sanguigna. Vero antidoto per il veleno partigiano in salsa web. Ma, naturalmente, non basta. Perché bisogna considerare che, in Italia, questo “dispositivo” è antico e collaudato da secoli d’uso.

L’odio civile, che divide contrada a contrada, città a città, fazione a fazione, contro cui si scagliava già Dante, rimane, purtroppo immutato, la nostra maniera, la maniera nazionale. L’obiezione più facile è che non si tratta di odio civile, ma di giusta fermezza di chi difende la virtù, pubblica e privata, dal vizio e dalla corruzione. Appunto.

Certe parole sono terribili. E scoraggia constatare come le nostre ferite siano sempre, essenzialmente, autoinferte. Oggi parliamo, scriviamo di Euro, della Merkel, del debito pubblico come cavallo di Troia per politiche ambigue e ambiguamente dominatrici. Ieri di americani e comunisti, di terrorismo rosso e di terrorismo nero, per rimanere al periodo repubblicano. E sempre, oggi come ieri, si ripete lo stesso schema: uno scopo di dominio che ci sovrasta, un manutengolo locale a fomentare, ad allarmare verso un male non più sopportabile, il nostro sangue offerto ad imbandire una tavola immonda cui siederà un pacificatore-vampiro.

Ricordate i Longobardi (tedeschi), ricordate i Franchi, diceva Manzoni? Ecco, ricordateli bene: anche allora (VIII secolo) noi pensavamo di liberarci da un giogo (i Longobardi) con l’aiuto straniero (i Franchi): illusi. Nessuno fa niente per niente. L’unico risultato sarà che “col novo signore rimane l’antico, l’un popolo e l’altro sul collo vi sta”.

Ora, nello slang degli osservatori, nei commenti “responsabili”, è comune, ripetuta, l’affermazione: “in questi ultimi vent’anni”. In questi ultimi vent’anni non produciamo più, i giovani invecchiano prima di crescere perché non lavorano, siamo più ignoranti (non solo in Italia, però), galleggiamo, più che navigare, a vista. E così via. Tutto vero, purtroppo. Ma in questi ultimi vent’anni l’odio civile, che c’è sempre stato, come si diceva, ha assunto un ruolo equivoco, ha assunto il volto della legittimità formale. Il male erano e sono le iniquità sociali, le inerzie progettuali; il rimedio è stato l’odio civile, riproposto e imbellettato da passione civica, politica, intellettuale. Un rimedio, come la nostra lunga e nobile storia insegna, ancora una volta e sempre, peggiore del male.

Gesti come quelli dell’On. Santanchè sono poca cosa, ovviamente, hanno un effimero valore simbolico. Tuttavia, indicano una strada. Sentirsi accomunati, difendersi da un comune nemico, in questo caso la lapidazione retributiva e purificatrice, via web, via media più tradizionali, non è un errore, è l’unico rimedio ragionevole. Oggi, i Longobardi, i Franchi sono dove sono sempre stati: a casa loro, anche se si incontrano a metà strada e in ufficio, anziché armati e sul campo di battaglia. E noi?      

 

 

 

 

 

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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