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May 6, 2013
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New York vuole correre su due ruote, ma non ci appare ancora pronta

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Time: 4 mins read

Maggio è il mese della bici negli USA e ieri New York ha celebrato con il TD Five Boro Bike Tour, una pedalata di 40 miglia attraverso i cinque borough di New York (Manhattan, Bronx, Queens, Brooklyn e Staten Island). Su un percorso completamente car-free, i 32.000 partecipanti hanno pedalato a partire dalle 7.45 di mattina.

Il tour, nato nel 1977, è il più grande evento ciclistico degli Stati Uniti. Si tratta di una gara pensata per amatori e ciclisti non professionisti, ma è soprattutto un modo per sensibilizzare i cittadini all'uso delle due ruote. “È il modo migliore per vedere NY”, hanno commentato molti partecipanti dal loro account su Twitter.

Il giro infatti ha toccato i punti più belli della città, dal Flatiron a Central park, al Queensboro bridge, da dove si gode di una delle viste più belle di Manhattan, fino al ponte di Verrazano da cui si vede la Statua della Libertà. Il percorso era attrezzato con punti di ristoro, servizi di assistenza in caso di guasti alla bicicletta e primo soccorso. Quest'anno, dopo l'attentato alla maratona di Boston, il NewYork Police Department ha rafforzato i controlli e un grosso spiegamento di polizia ha seguito la corsa. E anche il comitato di organizzazione e i partecipanti hanno rivolto un pensiero a quanto avvenuto il 15 aprile. Sulle bici o sulle magliette si vedevano molti adesivi con la scritta “We ride for Boston”. Ma anche la biciclettata newyorchese ha avuto la sua nota triste, con un cinquantenne del Michigan che è deceduto a seguito di un attacco di cuore, durante la traversata del Queensboro Bridge.

L'edizione 2013 del tour si è caratterizzata anche per una certa influenza italiana. Il Gran Fondo Giro d'Italia, infatti, quest'anno non si è limitato a partecipare alla corsa, ma ha anche aggiunto un tocco di italianità alla manifestazione offrendo un pasta party alla fine del giro e un'esclusiva divisa in edizione limitata Made in Italy. Tra i ciclisti italiani c'era anche Gianni Bugno, vincitore del Giro d'Italia 1990 e campione del mondo UCI nel '91 e nel '92.

Come ogni anno, il tour ha dimostrato come la bicicletta possa essere un mezzo di trasporto comodo e piacevole anche in una città grande come New York dove, negli ultimi anni, l'uso delle due ruote si è andato diffondendo sempre di più. E tuttavia adattare una metropoli caotica come questa alla bici non è impresa facile. E infatti i problemi non mancano. “Io uso la bici tutti i giorni per andare a lavoro – ci dice Laura, una giovane professionista residente a Manhattan, mentre riprende fiato in un punto di ristoro durante il percorso – ma devo dire che la città non è sicura. I taxi non hanno regole e ti tagliano la strada continuamente, i camion parcheggiano sulle piste ciclabili costringendoti a reimmetterti nella corsia delle auto. Insomma bisogna fare continuamente attenzione. Dovrebbero mettere degli sbarramenti tra le piste ciclabili e la strada, come in alcune città europee”.

Nonostante nel 2007 il sindaco Michael Bloomberg abbia lanciato un'aggressiva politica pro-bici, infatti, New York non è ancora una città a misura di ciclista. Sono 400 i chilometri di piste ciclabili che vanno da una punta all’altra di Manhattan e che, attraverso i ponti dotati anch'essi di percorsi per le bici, permettono di arrivare in tutti gli altri borough. E la città ha attivato anche dei servizi di informazione e prevenzione, ma questo non è bastato a evitare il gran numero di incidenti: nel 2012 ci sono stati 3.844 casi di ciclisti feriti da un impatto con un'auto e 19 sono stati i casi risultati in decesso (un numero che fa registrare una leggera diminuzione rispetto al 2011 quando i casi di morte erano stati 21). Per quanto sia vero che i ciclisti newyorchesi oggi sono il doppio che nel 2007 ed è quindi normale che si verifichino più incidenti, pedalando per le strade di Manhattan la sensazione di pericolo è costante. Certo, ci si può sempre affidare a qualche santo, come hanno fatto quelli che il 20 aprile sono andati a far benedire la bici durante l'annuale Bike Blessing Day a St John the Divine, su Amsterdam Avenue. Ma forse sarebbe meglio dare più regole agli automobilisti e migliorare la segnaletica e le infrastrutture per le piste ciclabili.

In attesa che la città, che pure si fa vanto di essere una città ciclabile, si decida a tutelare i suoi ciclisti, intorno alle due ruote è nata una vera e propria cultura: movimenti di opinione, mobilitazioni sociali, libri, blog, documentari. Molti i gruppi nati proprio per migliorare l'esperienza della bici in città rendendola più sicura. Associazioni come Transportation Alternatives e Bicycle Habitat diffondono informazioni e consigli su come sopravvivere nel traffico senza farsi o fare male. E hanno provveduto anche a stilare una sorta di codice della strada per ciclisti che include regole, consigli e raccomandazioni per un trasporto sicuro e civile. Per trovare informazioni e tenersi aggiornati sulle nuove piste ciclabili, su dove trovare una rastrelliera o un negozio di bici, i ciclisti newyorkesi hanno poi a disposizione la NYC cycling map, pubblicata annualmente da Dipartimento dei trasporti e distribuita gratuitamente in tutti i punti caldi della cultura delle due ruote, oltre che accessibile online. Anche Twitter può dare una mano: seguendo l’hashtag #bikenyc gli utenti possono scambiarsi informazioni, consigli e strategie di sopravvivenza.

Intanto in questi giorni per le strade della città hanno iniziato a comparire le tanto attese colonnine per le biciclette in bike sharing. Dopo anni di annunci e ritardi, finalmente anche New York avrà le sue bici in condivisione. Si chiama Citi Bike e, con 6.000 biciclette e 330 stazioni, dovrebbe partire ufficialmente entro la fine del mese. In molti già dubitano che i newyorchesi saranno disciplinati quanto i parigini e useranno senza danneggiare le biciclette a disposizione. Di sicuro c'è che Citi Bike farà la gioia dei turisti e la disgrazia dei costosissimi noleggiatori di Midtown.

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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