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ESTERI/ La paralisi dell’ONU

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 4 mins read

Dopo una settimana di silenzio, anche il Consiglio di Sicurezza é riuscito a rendere nota una dichiarazione alla stampa sull’ultimo conflitto israelo palestinese, ma questa é arrivata giá a giochi fatti, quando il cessate il fuoco tra Israele e Hamas era stato raggiunto grazie alla mediazione del presidente egiziano Morsi e l’intervento dell’amministrazione Obama.
L’organismo Onu che durante una crisi armata dovrebbe essere il piú importante per riportare la pace e la sicurezza internazionale, nel caso del conflitto israelo-palestinese ha mostrato ancora una volta la sua paralisi. Persino la figura del Segretario Generale dell’ONU é apparsa piú efficace del Consiglio di Sicurezza, con Ban Ki moon che tra il Cairo, Gerusalemme e Tel Aviv ha partecipato alle trattative per il cessate il fuoco. Poi Ban Ki moon, mercoledi pomeriggio, ha riferito via video al Consiglio la situazione che si era sviluppata tra Gaza e Israele.

Lo stesso ambasciatore indiano Hardeep Singh Puri, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, la mattina di mercoledí si era presentato davanti ai giornalisti con accanto i colleghi del Sud Africa e del Brasile, affermando che il Consiglio di Sicurezza non aveva ancora emesso alcun documento sulla crisi perché “qualche paese pensa che bisogna attendere la fine delle trattative perché un documento adesso potrebbe essere controproducente, altri invece pensano che un documento in questo momento potrebbe solo aiutare la trattativa”, facendo ben capire che l’India, il Sud Africa e il Brasile appartenevano a quest’ultimo gruppo.

Quando poi, dopo il raggiunto cessate il fuoco, la sera di mercoledí l’ambasciatore indiano si é presentato dai giornalisti per leggere il press statement che ringraziava soprattutto il presidente egiziano Morsi per la sua trattativa, abbiamo ricordato a Puri le sue dichiarazione di poche ore prima, osservando se forse non avessero visto giusto coloro che avevano tenuto fuori il Consiglio di Sicurezza fino al raggiungimento del cessate il fuoco…

Puri ha risposto che quella mattina lui aveva voluto soltanto indicare che bisognava aspettare e lasciare che la trattativa facesse il suo corso, insomma negando quello che invece era apparso a tutti un segnale evidente di contrasto all’interno del Consiglio di Sicurezza.

Ma all’uscita mercoledí sera dal Consiglio piú che per il presidente Puri, l’attesa era tutta per l’ambasciatrice americana Susan Rice che per la prima volta parlava daanti ai microfoni dopo gli ultimi attacchi dei repubblicani nei suoi confronti per quelle sue controverse dichiarazioni in tv dopo l’assalto terroristico a Bengasi.

Le domande scagliate addosso alla Rice ovviamente sono state subito sugli attacchi dei repubblicani e sul fatto che ora la sua cadidatura a Segretario di Stato diventava sempre piú problematica. L’ambasciatrice di Obama all’Onu si aspettava le domande e da un foglietto ha letto la risposta dicendo che gli attacchi nei suoi confronti erano "infondati" : “Come ambasciatotore all’Onu, accettai la richiesta della Casa Bianca di partecipare a un programma televisivo per parlare di tutte le questioni di sicurezza nazionale – ha ricordato Rice – quando abbiamo discusso degli attacchi contro le nostre strutture a Bengasi, ho fatto affidamento solo ed esclusivamente sulle informazioni che mi erano state trasmesse dall’intelligence. Dissi che le informazioni erano provvisorie e che dalle indagini in corso sarebbero arrivate risposte certe".
Quando le é stato chiesto cosa pensasse del senatore repubblicano John McCain, colui che l’accusa di aver ingannato i cittadini americani e ha giá minacciato la Casa Bianca di voler bloccare in Senato la ratifica di una sua eventuale nomina a Segretario di Stato, la Rice ha tentato di smorzare le polemiche: "Lasciatemi essere molto chiara. Ho grande rispetto per il senatore McCain e per il servizio che ha reso al nostro Paese. L’ho sempre avuto e lo avrò sempre. Credo che alcune dichiarazioni che ha rilasciato su di me siano infondate, ma spero di avere l’opportunità, al momento opportuno, di discuterne con lui”, ha concluso Rice.

Ad una successive domanda sulla questione della presentazione alla Assemblea Generale dell’ONU della risoluzione palestinese per il riconoscimento a stato non membro osservatore dell’Onu, Rice ha ribadito la posizione Americana contraria alla via scelta dal presidente palestinese Abbas, riaffermando che la soluzione al conflitto e alla pace deve passare prima dalle trattative bilaterali con Israele.

Quando davanti ai microfoni si é presentato l’ambasciatore Riyad H. Mansour, l’osservatore permanente della Palestina all’ONU, il rappresentante del Presidente Abbas ha espresso la grande soddisfazione per l’annuncio del cessate il fuoco e ha ribadito l’appuntamento per il 29 novembre con l’Assemblea Generale per il voto sulla risoluzione per elevare ad osservatore non membro lo stato palestinese. Mansour non é rimasto come al solito a rispondere alle domande dei giornalisti, peró noi lo abbiamo subito dopo incrociato nel garage dell’Onu e lí gli abbiamo chiesto cosa ne pensasse dei missili che da Gaza erano stati scagliati, per la prima volta, anche contro Gerusalemme, rischiando cosí di colpire sia la popolazione palestinese della cittá e del West Bank oltre che i luoghi santi.

In un primo momento Mansour ci ha detto che non credeva che quei missili fossero stati scagliati contro Gerulasemme, ma quando abbiamo insistito ricordandogli che qualche ora prima del cessate il fuoco uno era caduto su una zona disabitata del West Bank e avrebbe potuto provocare vittime tra la popolazione palestinese, il diplomatico palestinese ha sorriso amaramente e ci ha replicato: “Purtroppo in guerra non ci sono angeli”.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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