La recente dichiarazione di Barack Obama a sostegno dei matrimoni gay che gli ha fruttato la copertina del settimanale ’Newsweek’ e lo strano titolo ’Il primo presidente gay’. Manco a dirlo l’opposizione conservatrice ha immediatamente approfittato della situazione per gridare allo scandalo e mettere in guardia l’opinione pubblica dal potenziale effetto degenerante che questa nuova situazione potrebbe avere "sull’identità culturale e sulla rettitudine morale della nazione".
Quello del riconoscimento dei diritti degli omosessuali in America è un argomento divenuto da tempo, uno dei campi di battaglia delle cosiddette Culture Wars, le guerre culturali tra progressisti e conservatori che, a prescindere dalle circostanze politiche ed economiche del momento, rappresentano ormai una costante in ogni tornata elettorale.
Per comprendere a pieno l’impatto che i matrimoni gay potrebbero avere sulla vita sociale e culturale degli Stati Uniti tuttavia, vale la pena soffermarsi per un momento su una delle variabili più semplici di questa equazione: quanti sono i gay in America? Ma soprattutto, qual’è la percezione dell’opinione pubblica sul numero effettivo degli omosessuali?
In due studi condotti nel 2002 e nel 2011 dall’agenzia statistica Gallup, è emerso che la vasta maggioranza degli americani ha un’idea molto esagerata in proposito credendo che ben il 25% dell’intera popolazione sia costituita da omosessuali. Uno su quattro.
Solo l’8% delle persone intervistate nel 2002 e il 4% degli interpellati nel 2011 hanno dato risposte più vicine alla realtà dimostrando non solo quanto pervasiva sia questa percezione sbagliata ma anche che le idee della gente diventano sempre meno accurate col passare degli anni.
I dati demografici disponibili, mostrano che, in realtà, il numero di uomini e donne americani che si identificano come omosessuali é ben al di sotto del 5%.
Il Williams Institute, una fondazione di studi sociali affiliata alla University of California di Los Angeles, ha pubblicato un rapporto lo scorso aprile in cui è emerso che la percentuale di americani compresi tra i 18 e i 44 anni di età che si auto-definiscono omosessuali e solo l’1,7% mentre un ulteriore 1,8%, composto per lo più da donne, si definisce bisessuale. Queste statistiche riportano risultati molto simili a quelli ottenute tra il 2005 e il 2006 dal Center for Disease Control and Prevention di Atlanta che, dopo aver sondato un campione di 13,500 donne tra i 22 e i 44 anni di età, ha concluso che solo l’1% si é dichiarato gay mentre un altro 4% si é definito bisessuale.
I numeri di entrambi i sondaggi mostrano un certo aumento di risposte positive (8.2%) quando é stato chiesto agli intervistati di rivelare anche incontri episodici con lo stesso sesso verificatisi in passato, confermando un’incidenza decisamente bassa sia nel caso di una chiara auto-identificazione omosessuale che in quello puramente comportamentale.
L’aspetto curioso di tutto ciò é che persino all’interno della stessa comunità gay sussiste un’idea esagerata sul numero effettivo di omosessuali, un’idea propagata per la prima volta da Alfred Kinsley, lo studioso americano di comportamento sessuale che, in un suo libro pubblicato nel 1948, giunse alla conclusione che la percentuale di omosessuali nell’America del Dopoguerra si aggirasse intorno al 10% della popolazione.
Quella di ristabilire un’idea più accurata su queste statistiche, é un elemento importante nell’attuale dibattito sul ruolo dei matrimoni gay negli Stati Uniti perché una possibile previsione sulla frequenza futura di queste unioni si basa sull’auto-identificazione degli omosessuali come tali piuttosto che sull’aspetto più comportamentale di eventi episodici. Un uomo o, soprattutto, una donna che si sono trovati a ’sperimentare’ con lo stesso sesso nel corso della loro vita ha ben poche probabilità di unirsi in un matrimonio gay.
Negli ultimi dieci anni, i matrimoni celebrati tra coppie omosessuali negli otto stati americani che li consentono sono stati meno di 75.000 dei quali 18.462 in Massachusetts (il primo stato a legalizzare le unioni) e altri 18.000 in California nel corso dei pochi mesi precedenti al referendum popolare che li ha poi resi nuovamente illegali.
I gay tuttavia non costituiscono l’unica minoranza dalle dimensioni smisurate nell’immaginario collettivo di questo paese. Un rapporto compilato dal ’Wall Street Journal’ qualche mese fa infatti mostra come gli americani sopravvalutino il numero di stranieri residenti negli Usa secondo un fattore di due (pensano, in altre parole, che il numero di stranieri residenti in America sia il doppio di quello reale) e credono che la presenza di immigrati illegali sia superiore di sei o sette volte rispetto a quella che é in realtà.
Nel 1993 un gruppo di studiosi di scienze sociali ha scritto nella rivista ’Public Opinion Quarterly’ che “uno dei fattori che spinge l’opinione pubblica a percepire una minoranza come una minaccia per la stabilità sociale di un paese, é proprio l’idea che questa stessa opinione pubblica si fa sulle dimensioni di questa minoranza.” Paradossalmente però, questo stesso dato contiene in sé un elemento contraddittorio dal momento che, sempre secondo lo stesso studio, “pur tentando di correggere questa idea sbagliata, la percezione di minaccia o pericolo che le minoranze generano sulla maggioranza resta ostinatamente impervia persino di fronte all’evidenza di dati oggettivi.”
In altre parole, la diffidenza verso le minoranze, siano esse gay o straniere, é dura a morire ma ciò non significa che non valga la pena evidenziare la verità messa in luce da dati più oggettivi. Dopotutto, é difficile immaginare che, in un paese dove la gente crede che un quarto della popolazione sia omosessuale, le politiche sociali non finiscano col risentire di questa grossolana sopravvalutazione.
*Pubblicato precedentemente su www.lindro.it