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April 15, 2012
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L’INTERVISTA/ “La giurisdizione resta italiana”

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 6 mins read

Il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura da quasi tre mesi fa avanti e indietro tra Roma e New Delhi. Anche agli inizi di aprile è stato in missione in India per riprendere i contatti diretti con le autorità dello Stato centrale e di quello del Kerala riguardanti la vicenda della morte a febbraio di due pescatori indiani in cui sono implicati i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. I militari italiani sono detenuti in un carcere di Trivandrum, capitale del Kerala. De Mistura, nato a Stoccolma da madre svedese e padre italiano di origine dalmata, dopo una carriera da alto funzionario dell’ONU incaricato dal Segretario Generale in difficili missioni, è dallo scorso autunno entrato a far parte della squadra del governo di Mario Monti. Il Sottosegretario De Mistura detiene anche la delega per gli Italiani all’Estero. Al suo ritorno dall’ultimo viaggio in India, ha concesso questa intervista ad “America Oggi”.

 

In foto i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

Allora andiamo subito alla brutta notizia: le autorità indiane avrebbero trovato compatibilità tra i due fucili sequestrati a bordo della petroliera Enrica Lexie e i proiettili recuperati nei cadaveri dei pescatori indiani uccisi il 15 febbraio sul peschereccio St. Antony al largo delle coste del Kerala. E ora?

«Innanzitutto i risultati della perizia balistica non sono ancora stati ufficializzati, si tratta di indiscrezioni. Tuttavia, se cosi fosse ribadiremo che la giurisdizione è italiana e che un militare in servizio, pur responsabile di un errore di valutazione, va giudicato nel proprio Paese».

  Già, lei ha ribadito spesso che i militari vanno giudicati solo in casa propria: “Non c’è un solo caso nella storia in cui questo non è avvenuto” ha dichiarato. Se invece ciò non avvenisse per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i marò italiani prigionieri dell’India, quali sarebbero le conseguenze nel rapporto tra i due paesi? E cosa potrebbe fare l’Italia a quel punto in sede internazionale riguardo a questo “storico caso”?

  «L‘India e l’Italia sono due grandi nazioni con storici rapporti di amicizia, la crisi della Lexie non dovrà mai intaccare relazioni saldamente consolidate ed il rispetto e l’ammirazione per la loro cultura millenaria che tutti noi abbiamo. Ciò non toglie che sul piano giudiziario non lasceremo mai nulla d’intentato, ad ogni livello, per riportare in marò in Italia, e presto».

  Quando ha incontrato l’ultima volta i marò Latorre e Girone, in che stato d’animo li ha trovati? Ha potuto riferir loro delle novità che possano tirar su di morale, o li ha trovati più scoraggiati rispetto agli incontri precedenti?  Cosa le hanno chiesto? E come vengono trattati nel carcere di Travandrum?

  «Guardi, lei sa bene che sono uomini pronti ad ogni evenienza, militari che sono stati impiegati nelle più  delicate missioni, incluso peacekeeping in aree ad alto rischio. Praticamente impossibile cogliere in loro segni di cedimento o debolezza. E  tuttavia sono consapevoli che il loro caso è assai singolare, il primo da quando membri delle nostre forze armate sono impiegate a salvaguardia della marina mercantile, e quindi non vi è alcuna giurisprudenza in merito. Tutto questo genera una certa apprensione. Ma sapere che l’intero Paese, a cominciare dal Capo dello Stato, li sostiene è indubbiamente un fattore che mantiene alto il morale».

  Le famiglie dei pescatori uccisi: Le avete mai incontrate? Avete intenzione di incontrarle? E prevedete una indennità che l’Italia dovrebbe pagare ai familiari una volta che fosse accertato che a sparare e uccidere i pescatori indiani sono stati i Marò, anche se per errore?

  «Insieme al cappellano militare di Loreto don Peppino Faraci ci sono stati incontri con  la  famiglia di Valantine Jelestine , abbiamo parlato a lungo con la moglie Dora ed i due figli. Così  pure con la famiglia di Ajesh Binki.  Le condoglianze degli italiani sono state rinnovate e ci si è resi conto delle difficioltà che stanno incontrando dopo la perdita del capofamiglia. Come l’Italia non mollerà mai i marò del San Marco allo stesso tempo non farà mai mancare la solidarietà a due famiglie colpite da un lutto cosi grave».

  C’è chi in Italia pensa che uno dei motivi per il fallimento finora della trattiva sui Marò sia stato anche lei, con “Il Foglio” di Ferrara che giovedì sosteneva che sarebbe venuto il momento di sostituirla. Eppure lo stesso giorno arrivava la notizia dall’India della liberazione dell’ostaggio italiano Paolo Bosusco… Ha avuto qualche merito De Mistura in quest’altra trattativa andata a buon fine? Ha qualcosa da replicare a chi propone di sostituirla nella trattativa sui Marò?

  «Sono un ammiratore del Foglio, quotidiano diretto da un grande giornalista, ma mi permetta di ribattere che la questione e assai più complessa di come la riassume il giornale in questione. Il sottoscritto non ha meriti particolari, la Farnesina lavora  team work, come dite voi negli Usa, ossia one mission one team. Vale per la Lexie come per il sequestro Bosusco-Colangelo».

  Lei è stato per oltre 30 anni un diplomatico delle Nazioni Unite, impegnato in scenari molto complicati e pericolosi, come in Iraq e Afghanistan. Ora rappresenta il governo italiano. Tra tutte le missioni della sua carriera, questa in India, nella classifica delle sue più difficili, in che posizione la colloca?

  «Certamente non pericolosa, ma sicuramente complicatissima, non le nascondo. Vari fattori si accavallano:  regole d’ingaggio controverse, appuntamenti elettorali, composizione federale dello Stato, tensioni politiche in Kerala, clima di crescente insicurezza per i pescatori, solo per elencare alcuni fattori che hanno limitato lo spazio di manovra per una rapida ricomposizione della vicenda».

  Il ministro degli Esteri Giulio Terzi a Washington ha appena detto di aver parlato della situazione dei marò anche con Hillary Clinton. Sono quindi gli Stati Uniti il paese che può aiutare di più l’Italia in questa crisi con l’India? E l’Ue cosa può fare?

  «Il G8 ha espresso proprio nei giorni scorsi a Washington pieno appoggio alle misure antipirateria varate in sede internazionale. Ma al di la di questo, avendo migliaia di militari impegnati all’estero, gli Stati Uniti non possono rimanere insensibili al caso che stiamo affrontando oggi noi in India. Sul fronte Ue, la nostra pressione è  costante, ci aspettiamo compattezza e solidarietà anche da Bruxelles, visto che quello che succede a noi se si crea un precedente può toccare domani ad altri».

  Ultima domanda: lei ha la delega per gli italiani all’estero, ma comprensibilmente non sembra che abbia avuto finora il tempo di occuparsene granché. Quando lo farà, quale problematica sente la più urgente?

«Senz’altro quella di valorizzare al massimo il grande patrimonio degli italiani all’estero, che sono molti e molto capaci, a cominciare da quelli in Nord America, ben radicati nei contesti locali e, allo stesso tempo, ancora legati a noi. Certo, nel contesto della delicata situazione finanziaria internazionale e di conseguenza nazionale, destano preoccupazione le significative riduzioni operate ai capitoli di bilancio degli Esteri, e inevitabilmente alle attività per gli italiani all’estero.  Questa preoccupazione è ben nota e compresa in primis dallo stesso ministro Giulio Terzi, come di recente sottolineato nella sua relazione all’assemblea plenaria del Consiglio generale degli italiani all’estero. Ed è proprio per questo che siamo fortemente impegnati in una riflessione sulle modalità d’impiego delle risorse attribuite, che investe anche la riorganizzazione della rete diplomatico-consolare. Un processo che sarà comunque  presentato, condiviso e discusso nelle competenti sedi parlamentari».

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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