Qualche settimana fa, la pagina degli editoriali del New York Times ha pubblicato un articolo intitolato ’Perché lascio Goldman Sachs’ in cui l’autore, Greg Smith, dopo dodici anni alle dipendenze di una delle banche d’affari più prestigiose del mondo, ha rivelato, in un clamoroso exposé, come questa istituzione di Wall Street, sia degenerata in “covo di tagliagole” in cui l’atteggiamento prevalente ormai ha ben poco a che fare con l’interesse del cliente ma piuttosto con la massimizzazione dei profitti per l’azienda anche a scapito dei clienti stessi.
“Negli ultimi dodici mesi – ha scritto Smith – ho visto almeno cinque direttori burlarsi dei propri clienti apostrofandoli come ’muppets’ o utilizzando, nei loro confronti, espressioni come ’scucire danaro’ e ’strappar loro gli occhi’. Che idea potranno mai farsi quei giovani analisti che hanno appena iniziato la loro carriera a Goldman Sachs, della cultura e dell’etica di un’azienda che si esprime in un gergo di questo genere?”
L’articolo di Smith ha fatto molto scalpore additando in maniera specifica all’arrivismo e alla mancanza di scrupoli di una venerabile istituzione di Wall Street. Allo stesso tempo però, non ha sorpreso nessuno, soprattutto in un periodo come quello attuale, seguito alla crisi finanziaria del 2008-09, che ha messo in evidenza come, proprio questa cultura del profitto amorale imperante a Wall Street, abbia un potenziale distruttivo che va ben oltre l’ambito circoscritto della finanza e sia in grado di danneggiare l’intera attività economica.
Ora, ad esacerbare la controversia, si é aggiunto un articolo pubblicato dalla rivista finanziaria CFA Magazine in cui l’autrice, Sherree Decovney, riprende le conclusioni di uno studio condotto dallo psicologo canadese Robert Hare, e rivelando che un buon 10% di coloro che lavorano nel settore finanziario, hanno tratti caratteriali e comportamentali tipici degli psicopatici.
“Queste persone – dice l’articolo – sono caratterizzate da una fondamentale mancanza di empatia verso il prossimo e da un’accentuata indifferenza per quello che gli altri pensano e sentono. All’apparenza possono risultare molto intelligenti, carismatici, socievoli ma, al di là dell’aspetto esteriore, sono per lo più individui dotati di un’ineguagliabile capacità di mentire e di manipolare le situazioni a proprio vantaggio.”
Sempre secondo lo studio, un’altra caratteristica fondamentale di queste persone è un’attenuata correlazione mentale tra azioni e conseguenze, un tratto psicologico già precedentemente individuato tra i criminali, soprattutto quelli recidivi. Secondo l’autore dello studio, Robert Hare, nel mondo della finanza, questo aspetto caratteriale si traduce, se non proprio in tendenze omicide, in una accentuata propensione al rischio simile a quella tipica dei giocatori d’azzardo e che può tradursi sia in utili fenomenali che in danni catastrofici.
“Le persone di questo genere – continua l’articolo – possono apparire come i candidati ideali per un lavoro nel settore finanziario poiché si adattano perfettamente agli ambienti di lavoro stressanti e frenetici grazie anche al fatto che gli aspetti più distruttivi delle loro personalità sono, all’inizio, ben celati. Finanzieri, bancari ma anche molti amministratori delegati di aziende esterne a Wall Street, riflettono bene questo profilo psicologico.”
Naturalmente, mentre non tutti coloro che lavorano a Wall Street si possono considerare ’psicopatici’ é anche vero che non tutti gli psicopatici possono considerarsi socialmente pericolosi. Infatti, il metodo utilizzato da Robert Hare, il cosiddetto test PCL-R basato su una scala da 0 a 40 punti, indica che l’1% dell’intera popolazione americana presenta i tratti caratteriali della psicopatia ma che, nel settore finanziario, questa percentuale sale al 10%. Secondo lo studio, molti ’business managers’ presentano almeno uno delle tre principali sindromi psicologiche tipiche: istrionismo, narcisismo e ossessività.
Lo psicologo canadese tuttavia, ha anche precisato che la psicopatologia non può considerarsi una condizione chiaramente e nettamente definita ma che esiste in un ’continuum’ di varie gradazioni.
Che per farsi strada nella societá moderna occorra un pizzico di follia e di megalomania non é, di per sé sorprendente, basta guardare a personaggi come Silvio Berlusconi in Italia o a Donald Trump in America. Più importante invece, é il modo in cui questo stereotipo tradizionale americano del leader, del capitano d’industria, del ’Superman’ si è affermato saldamente nella cultura del paese, dagli anni 80 in poi sintomo di un graduale ma inconfutabile scollamento culturale tra le prestazioni professionali del mondo imprenditoriale e la sua più vasta dimensione morale. Un processo che, in altre parole, indica un passaggio culturale dalla tradizionale logica del profitto all’etica di un profitto fine a sé stesso.
*pubblicato precedentemente www.lindro.it