A sinistra il prof. Antonio Iavarone
Nel mondo della ricerca internazionale, il sistema italiano rappresenta una singolare eccezione negativa. Profonde, difatti, sono le differenze che intercorrono tra il nostro sistema e quello degli altri Paesi occidentali. Al contrario di quanto accade nel resto delle nazioni avanzate, in Italia vi sono pochissimi centri in grado di competere ai massimi livelli della ricerca scientifica mondiale. È un dato di fatto: non riusciamo ad attrarre in alcun modo l’interesse dei migliori scienziati in campo biomedico. Nei Paesi con solide tradizioni scientifiche, questo tipo di capacità attrattiva rappresenta il parametro cruciale per valutare il successo delle politiche di sviluppo intraprese.
La “brain circulation”
Inutile e sbagliata è certamente la mera commiserazione giornalistica, spesso traslata nella retorica della “fuga dei cervelli”. Una categoria di pensiero logora, totalmente inadeguata ad interpretare una contingenza storica caratterizzata dall’assoluta dinamicità e mobilità della scienza. Di contro, il concetto che esplica in maniera esaustiva gli effetti benefici del movimento degli scienziati è quello della “brain circulation”: la libera circolazione internazionale delle intelligenze migliori. Le migrazioni intellettuali sono un aspetto peculiare delle nazioni in cui la ricerca scientifica si basa su un sistema altamente competitivo. È interesse di un Paese sviluppato e moderno, attrarre i migliori scienziati all'estero con lo scopo di trasferire, di trasmettere le conoscenze acquisite e le esprienze maturate.
In Italia sono quasi del tutto insesistenti le realtà capaci di promuovere la “brain circulation” attraverso l’importazione dei migliori. Ma non solo. Oggi possiamo addirittura notare il sorpasso di nazioni che un tempo occupavano
nelle classifiche e nelle statistiche, posizioni inferiori rispetto a quella italiana; in questo momento storico esse offrono opportunità di gran lunga più consistenti e valide.
L’empirica analisi delle politiche italiane non può che portare ad una sola conclusione: i governi, senza significative distinzioni ideologiche o di schieramento, hanno preferito perseguire programmi inutili, superficiali e di breve respiro, i cui risultati potessero essere preventivamente pubblicizzati.
Il circolo virtuoso
L’interazione tra ricercatori provenienti da diverse e prestigiose istituzioni scientifiche internazionali – attraverso la creazione di nuovi centri di ricerca, ad esempio – innesca un benefico effetto di traino su molteplici attività locali,
con conseguenze virtuose sia in campo industriale che, di conseguenza, occupazionale. Tutto questo, a sua volta, attrae altri validi scienziati, poiché è interesse dei migliori ricercatori, andare in istituti e centri in cui vi siano colleghi di alto valore con i quali proficuamente interagire. La mobilità di capitale umano di massima qualità, produce l’incremento secondario di un flusso di studenti e di giovani ricercatori, che a sua volta accresce significativamente l’indotto collaterale dei Paesi ospiti. La ricerca biomedica d’eccellenza, sviluppata secondo criteri internazionali è, dunque, volano si ricchezza e sviluppo finanche economico. In quest’ottica, le ingenti risorse finanziarie necessarie dovrebbero essere considerate investimenti a lungo periodo, imprescindibili per il futuro e il benessere del Paese.
Verso una reale riforma del sistema universitario
Qualunque osservatore, estraneo al sistema italiano, è costretto ad ammettere che la promozione della ricerca biomedica in Italia non può avvalersi dei canali e delle strutture tradizionali. È purtroppo notorio come le università italiane – se si escludono poche, pur significative, eccezioni – siano generalmente governate da personale inadeguato e selezionato con criteri che nulla hanno a che fare con la meritocrazia. Continuare ad indirizzare risorse verso queste strutture equivale a disperdere capitali, con la certezza di raggiungere risultati di dubbio valore. Occorre, quindi, puntare alla creazione di strutture nuove e indipendenti, in grado di interconnettersi, di interagire con la comunità scientifica internazionale, competendo per l'ec-
cellenza.
Ultima ratio resta la necessità di una rivoluzione che argini la parte deleteria dell’attuale ceto dominante. Allora perché non concentrare le nuove risorse economiche nella creazione di una rete di istituti di ricerca indipendenti, gestiti da scienziati formatisi all’estero e selezionati esclusivamente per le loro capacità? Perché non creare un sistema alternativo in cui indipendenza e libertà siano garantite fin dai primi stadi della carriera? Perché non avvalersi di forme di valutazione in cui l’avanzamento professionale e le promozioni siano conseguenza esclusiva dei risultati raggiunti? Questo complesso di regole, constaterebbe l’anomalia tutta italiana dell’inamovibilità dei ricercatori e professori, associata all’assenza di un efficace organismo di controllo della produttività.
L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di innescare anche in Italia un circolo virtuoso di interscambio tra università, centri avanzati di ricerca, industria ed istituzioni pubbliche e private: prassi usuale dei Paesi più avanzati.
Lavorare al superamento delle disparità
Nel caso della ricerca biomedica focalizzata su malattie incurabili – quali ad esempio i tumori al cervello di bambini e adulti di cui nello specifico ci occupiamo – l’assenza di centri di ricerca riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale e all’avanguardia in questo settore, ha ricadute profondamente negative anche nelle cure proposte ai pazienti. Attualmente gli italiani affetti da tumori cerebrali maligni che vengono inseriti in studi clinici internazionali sperimentali e cooperativi, sono pochissimi. Questa situazione è ancora più grave nel Centro-Sud.
Per tali motivazioni, i malati possono ricevere trattamenti avanzati spesso solo dopo lunghi e costosi viaggi all’estero; ovviamente ciò non garantisce alcuna cura, ma solo la possibilità di accedere ai più recenti trattamenti di sperimentazione.
La disponibilità di centri di ricerca di livello internazionale collegati sin dalla loro nascita con i migliori istituti europei e americani consentirebbe anche ai pazienti italiani cure equipollenti a quelle proposte ai pazienti cittadini di altre
nazioni del mondo occidentale. Una questione, dunque, non solo scientifica ma anche etica, della quale i governi dovrebbero tenere conto.