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July 15, 2025
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Trump accelera sull’Ucraina, ma la base MAGA si ribella

Bannon e Greene guidano la fronda: “È un altro tradimento”

Massimo JausbyMassimo Jaus
Trump annuncia dazi al 30 % per il Messico

Do

Time: 3 mins read

Donald Trump si ritrova ancora una volta a fare i conti con una base sempre più inquieta. Dopo le tensioni crescenti per la gestione opaca del caso Epstein, che continua a scuotere il mondo MAGA con richieste di verità e accuse di insabbiamento,  ora è il sostegno all’Ucraina a innescare una nuova frattura.

La Casa Bianca ha annunciato un piano per velocizzare l’invio di armi a Kiev, tramite vendite ai paesi della NATO. Ma per molti elettori trumpiani, già in allarme per le mancate rivelazioni su Epstein, si tratta dell’ennesima marcia indietro rispetto alle promesse fatte. Un nuovo strappo con l’America First che ha portato Trump alla Casa Bianca.

Marjorie Taylor Greene e Steve Bannon, due tra le voci più influenti del movimento MAGA, non hanno usato mezzi termini. Greene, deputata della Georgia, ha accusato l’ex presidente di aver rinnegato la linea non interventista su cui ha costruito la sua leadership.
“Non si tratta solo dell’Ucraina. Si tratta di tutte le guerre straniere e degli aiuti esteri” ha detto. “È questo ciò per cui abbiamo fatto campagna. È quello che ho promesso al mio distretto. Ed è per questo che le persone hanno votato. Non possiamo cambiare strada adesso”.

Secondo Greene, anche se formalmente gli Stati Uniti venderebbero armi agli alleati europei, il coinvolgimento americano è inevitabile. “I nostri soldi vengono usati, eccome. Che si tratti di addestramento, logistica o NATO, il conto lo pagano sempre i contribuenti americani. E quindi è coinvolgimento diretto”.

Non solo. Greene ha anche criticato il tono sempre più aggressivo di Trump, non solo verso la Russia ma anche verso l’Iran. “L’ho detto ovunque: basta soldi per l’Ucraina, vogliamo la pace. E sapete una cosa? La gente non è cambiata. Lo dicono a gran voce”.

Steve Bannon ha rilanciato nel suo podcast War Room, accusando Trump di tradire lo spirito del 2016. “Abbiamo votato per porre fine alle guerre infinite, non per diventare mediatori di morte tra Washington e Kiev” ha detto. “Che siano fondi diretti o no, restano soldi, restano armi, e restano cadaveri”.

Bannon ha poi lanciato un avvertimento diretto alla Casa Bianca: “L’apparato militare-industriale è tornato a dettare legge, e Trump sta cedendo. Se continua così, rischia di perdere la sua stessa rivoluzione”.

Anche se alcuni repubblicani, come Warren Davidson dell’Ohio, hanno provato a difendere il nuovo piano definendolo “pragmatico”, il malumore resta evidente. Davidson ha sostenuto che “questa non è la nostra guerra” e che l’accordo con la NATO evita un coinvolgimento diretto, ma ha evitato qualsiasi entusiasmo verso un intervento prolungato.

Sul fronte elettorale, i numeri sono inequivocabili. Il 59% dei repubblicani ritiene che gli Stati Uniti stiano facendo troppo per l’Ucraina, secondo Marquette. Solo il 10% vuole fare di più. Reuters aggiunge che il 63% è contrario all’invio di nuove armi e il 58% pensa che “i problemi dell’Ucraina non siano affari nostri”.

Eppure, l’opposizione non è granitica. Solo il 17% dei contrari è fortemente convinto. La maggioranza appare esitante, potenzialmente influenzabile. È successo con l’Iran: otto repubblicani su dieci finirono per approvare l’offensiva di Trump, dopo un’iniziale diffidenza.

Trump potrebbe tentare la stessa strategia: “Ho dato una possibilità alla pace, ma Putin non l’ha voluta”. Il 69% dei repubblicani teme che Mosca violerebbe qualsiasi accordo, il 48% pensa che sarebbe troppo vantaggioso per la Russia, e solo il 27% crede che Putin voglia davvero la pace.

Ma l’Ucraina non è l’Iran. Il conflitto dura da anni non mobilita le emozioni allo stesso modo e ha perso centralità nella base. Peggio ancora, è diventato simbolo di un establishment internazionale che molti trumpiani detestano. Zelensky, la NATO, l’Europa, il deep state: tutto viene visto con sospetto. E lo scontro di febbraio tra Zelensky e il vicepresidente J.D. Vance nello Studio Ovale ha rafforzato questa percezione.

Intanto, il malcontento per la vicenda Epstein continua a serpeggiare. La base vuole la verità, ma i documenti promessi non sono arrivati, i video mancano, la famosa lista “non esiste”. Per molti nel mondo MAGA, si tratta di un insabbiamento bipartisan. E ora, il sostegno all’Ucraina sembra solo confermare che la Casa Bianca sta facendo marcia indietro su tutto.

Se Trump deciderà davvero di sostenere Kiev in modo più deciso, una parte del suo elettorato potrebbe seguirlo, come è già accaduto in passato. Ma non sarà senza conseguenze. Per l’anima più radicale del movimento, quella che lo ha sostenuto nei momenti più bui, la domanda è sempre più pressante: è ancora lui l’uomo che doveva distruggere il sistema, o ne sta diventando parte?

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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