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I repubblicani affossano i file Epstein, crescono i sospetti su Trump

Bocciata la desecretazione dei documenti segreti sulle attività proibite del finanziere newyorkese. La base MAGA insorge

Marco GiustinianibyMarco Giustiniani
Jeffrey Epstein andò 17 volte alla Casa Bianca durante le presidenza di Bill Clinton

United States Attorney for the Southern District of New York speaks about the arrest of American financier Jeffrey Epstein in New York, USA, 08 July 2019 - ANSA/EPA/JASON SZENES

Time: 4 mins read

Il Partito Repubblicano ha votato per il silenzio. Lunedì notte, alla Commissione per i Regolamenti della Camera, i repubblicani hanno respinto con 6 voti contro 5 un emendamento presentato dai Democratici che avrebbe imposto la pubblicazione di tutti i documenti federali su Jeffrey Epstein, incluso il famigerato elenco dei clienti. Solo un repubblicano, Ralph Norman, ha rotto le righe. Il resto ha preferito coprire, proteggere, nascondere.

Una mossa che contraddice anni di retorica repubblicana sul caso Epstein e che mina la credibilità stessa di un’amministrazione che ha costruito il suo potere anche alimentando teorie del complotto legate al finanziere pedofilo.

L’emendamento, proposto dal deputato californiano Ro Khanna, era un tentativo strategico, legarlo a una legge sulle criptovalute, il GENIUS Act, per forzare il Congresso ad agire. Ma il voto contrario ha confermato quello che in molti sospettavano: la Casa Bianca di Donald Trump non vuole più che si parli di Epstein e, soprattutto, che non venga reso pubblico il contenuto delle indagini.

Per anni, Trump e i suoi alleati hanno usato Epstein come clava politica, per colpire Hillary Clinton, per infangare Bill Gates, per delegittimare i Democratici e le élite liberal. Secondo la narrativa promossa dall’universo MAGA, Epstein sarebbe stato uno strumento nelle mani del deep state, manovrato da George Soros, dai Clinton e da altre figure chiave dell’establishment globale, per adescare e ricattare i potenti. Lo stesso Trump, in più occasioni, ha evocato l’esistenza di “clienti famosi” coinvolti nel traffico sessuale organizzato da Epstein.

Eppure, quando l’FBI e il Dipartimento di Giustizia, oggi diretti da uomini nominati da Trump, hanno pubblicato un promemoria che smentisce l’esistenza di nomi esplosivi o elementi utili a riaprire il caso, il mondo MAGA è esploso. Il documento ha annunciato la chiusura delle indagini e ha ribadito la tesi del suicidio.

Ma è proprio il suicidio a rappresentare uno dei misteri irrisolti più inquietanti. Epstein è stato trovato morto nel carcere di Manhattan nel 2019, mentre era in custodia federale. Le telecamere di sorveglianza erano spente, le due guardie incaricate della sorveglianza risultavano “addormentate” o assenti, e i registri manomessi. In molti, da allora, ritengono che Epstein sia stato ucciso per impedire che parlasse.

Come se non bastasse, pochi mesi fa è emersa la notizia che Virginia Giuffrè, una delle principali accusatrici, è stata trovata morta in Australia in circostanze sospette. Le autorità hanno parlato di suicidio, ma le teorie del complotto sono esplose, complici anche le accuse passate della stessa Giuffrè contro il principe Andrea e altri personaggi dell’alta finanza americana.

Donald Trump and Jeffrey Epstein in 1992 (YouTube screenshot: @CNBCtelevision)

Nel frattempo, Ghislaine Maxwell, condannata nel 2021 a 20 anni di carcere per il suo ruolo di complice nella rete di traffico sessuale di Epstein, ha cercato di ottenere la libertà presentando ricorso alla Corte Suprema. I suoi avvocati sostengono che Maxwell fosse protetta da una clausola dell’accordo di non persecuzione siglato da Epstein con il Dipartimento di Giustizia nel 2008, che avrebbe impedito di perseguire i suoi complici. Ma il Dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Trump ha chiesto formalmente alla Corte Suprema di respingere il ricorso, affermando che Maxwell non era menzionata esplicitamente tra i beneficiari dell’accordo e che l’impegno del governo non era valido per accuse federali future. La battaglia legale si è quindi spostata ai piani alti della giustizia americana, riaccendendo l’attenzione su un patto controverso che aveva già permesso a Epstein di evitare l’ergastolo nel 2008 in cambio di una condanna ridotta a soli 13 mesi con permesso di lavoro.

Su Truth Social, Trump ha provato a deviare l’attenzione, insinuando che i file siano stati fabbricati dai Democratici. “Hanno creato i file Epstein come hanno creato il falso dossier su di me. Non cascateci. È tutta propaganda di Obama, Hillary, i 51 agenti dell’intelligence, Russia Russia Russia”.

Eppure, l’immagine che rimane impressa è quella di Trump a Mar-a-Lago con Epstein negli anni ’90, sorridente e disinvolto. Il video è riemerso proprio nei giorni in cui il presidente e i suoi tentano di spegnere l’incendio con la benzina del negazionismo.

Dietro le quinte, il danno è profondo. Il Procuratore Generale Pam Bondi e il direttore dell’FBI Kash Patel avevano promesso “piena trasparenza” sui crimini di Epstein. Bondi aveva persino organizzato una conferenza stampa con influencer conservatori per promuovere documenti già pubblici, cavalcando la rabbia della base. Ora, il suo repentino cambio di rotta ha scatenato una vera e propria rivolta interna.

Secondo Rolling Stone, l’amministrazione sapeva che il promemoria avrebbe avuto un impatto devastante sulla base elettorale più radicale. La tensione è esplosa: da un lato, l’ala realista che vuole chiudere con il passato, dall’altro i fedelissimi di QAnon che parlano di tradimento e chiedono la verità.

I Democratici non sono rimasti a guardare. Ro Khanna, Alexandria Ocasio-Cortez, Jon Ossoff hanno rilanciato l’attacco. Il Comitato Nazionale Democratico ha persino creato un bot automatico su X che ogni giorno pubblica la frase “Trump ha rilasciato i file di Epstein? No”. AOC è stata lapidaria: “Chi avrebbe mai pensato che eleggere uno stupratore avrebbe complicato la pubblicazione dei file di Epstein?”.

Il deputato Hank Johnson ha trasformato l’imbarazzo in parodia, intonando una canzone sarcastica contro i repubblicani che avevano promesso i file, ma ora si tirano indietro.

Il danno più immediato è politico. La decisione di insabbiare i file ha alienato parte della base trumpiana più ossessiva, quella che ha costruito una fede attorno al mito del deep state pedofilo. Ora questi elettori si sentono traditi. I Democratici sperano di fare breccia proprio lì, in quel sottobosco di sfiducia, per spaccare il fronte MAGA.

Ma il rischio per Trump è anche giudiziario e mediatico. Il fatto che l’amministrazione affermi che “la lista non esiste” non convince nessuno, soprattutto mentre Fox News riduce drasticamente le menzioni di Epstein su ordine presidenziale. Se emergessero nuovi dettagli, da inchieste giornalistiche, da fughe di notizie, o da tribunali civili, l’effetto potrebbe essere devastante. Il sospetto che Trump stia proteggendo se stesso o i suoi alleati si rafforza ogni giorno.

Come ha scritto un ex editorialista del Washington Times, invitare i pagliacci al circo del potere è facile, cacciarli via è molto più difficile. La destra americana ha creato il mostro del cospirazionismo. Ora non riesce più a controllarlo. I Democratici, però, rischiano lo stesso errore, abbracciando il delirio per convenienza politica.

La scelta dei repubblicani di bloccare la desecretazione dei documenti su Epstein segna un punto di svolta. Non solo per l’amministrazione Trump, che rischia di perdere la sua base più fedele, ma anche per un sistema politico sempre più incapace di distinguere giustizia e vendetta, verità e strategia. E mentre il sipario si chiude, la domanda resta: chi ha davvero paura dei file di Epstein?

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Marco Giustiniani

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