Il 4 luglio 2025, mentre l’America celebrava la sua indipendenza con fuochi d’artificio e parate, un’altra deflagrazione scuoteva la politica statunitense: l’implosione del rapporto tra Donald Trump ed Elon Musk. Due dei più potenti uomini d’America: uno è al vertice della Casa Bianca, l’altro è uno dei più ricchi del mondo, padrone di aziende, satelliti e piattaforme social. Ora sono ufficialmente nemici e la battaglia è appena cominciata.
Il presidente Trump, galvanizzato dalla recente approvazione del suo colossale “Big, Beautiful Bill”, ha celebrato la vittoria da trionfatore assoluto. Ma nel frattempo, a bordo della sua piattaforma X, Elon Musk lanciava un piano di vendetta politica. Il miliardario sudafricano, già suo alleato nelle elezioni del 2024, ha annunciato l’intenzione di creare un terzo partito, l’“America Party”, con l’obiettivo di smantellare il sistema bipartitico e diventare l’ago della bilancia al Congresso.
Non si tratta solo di una provocazione. Musk ha già tracciato la strategia: candidare esponenti del suo partito in 2 o 3 seggi chiave al Senato e in una decina di distretti della Camera. Visto l’equilibrio precario degli attuali rapporti di forza, pochi voti sarebbero sufficienti per ottenere un potere di ricatto legislativo enorme. “Basta infilarsi nelle crepe del sistema per controllarne il flusso”, ha scritto. È l’idea di diventare kingmaker, senza mai candidarsi lui stesso.
One way to execute on this would be to laser-focus on just 2 or 3 Senate seats and 8 to 10 House districts.
Given the razor-thin legislative margins, that would be enough to serve as the deciding vote on contentious laws, ensuring that they serve the true will of the people.
— Elon Musk (@elonmusk) July 4, 2025
La risposta dell’universo MAGA non si è fatta attendere. Tra i più duri, Steve Bannon, ex stratega trumpiano e podcaster instancabile, ha accusato Musk di essere “un non americano” che “merita la deportazione”. “Se ci prendiamo abbastanza tempo per indagare – ha insinuato -, scopriremo che è entrato illegalmente”. Parole che sembrano uscite da un barile di benzina in cerca di un fiammifero.
E quel fiammifero potrebbe essere stato fornito dallo stesso Trump. In un passaggio passato quasi sotto silenzio ma riportato da fonti interne, il presidente avrebbe detto che “prenderà in considerazione” l’espulsione di Elon Musk, suggerendo che la sua naturalizzazione potrebbe essere messa in discussione. Una minaccia sottile ma reale. Deportare il cittadino più ricco e più famoso del Paese? Follia? Forse. Ma anche un segnale: chi si mette contro il presidente non è intoccabile, nemmeno se ha in tasca i codici di lancio di SpaceX.
Non è solo politica. È vendetta personale. Musk ha criticato aspramente la legge bandiera di Trump, bollandola come “fiscalmente irresponsabile” e dannosa per la competitività globale. Ha minacciato i parlamentari repubblicani che l’hanno votata, promettendo di finanziarne gli avversari alle prossime elezioni. Non si è limitato a rompere i ponti: li ha fatti saltare con la dinamite.
Eppure, il Congresso ha ignorato l’avvertimento. Pur consapevoli della furia di Musk, i repubblicani si sono schierati compatti dietro Trump, approvando una legge che taglia Medicaid per 17 milioni di americani, cancella i pasti scolastici per 18 milioni di studenti e regala miliardi in sgravi fiscali all’1% più ricco della popolazione. Una legge che Musk ha definito “rovesciamento del principio di Robin Hood: ruba ai poveri per dare ai ricchi”.
Trump ha vinto la battaglia legislativa, ma potrebbe aver acceso una guerra per il controllo del futuro politico americano. Musk ha già dimostrato di poter spostare l’opinione pubblica e le donazioni con un solo post. Ha speso quasi 300 milioni di dollari nelle elezioni del 2024, gran parte a favore di Trump. Ora quelle risorse potrebbero essere usate per logorare proprio il partito repubblicano.
La domanda è: può davvero farcela? Può un partito costruito su un algoritmo e un sondaggio scalzare il dominio di Democratici e Repubblicani? Forse no. Ma Musk non ha bisogno di vincere. Gli basta sabotare.
Nel frattempo, la guerra delle parole si fa sempre più velenosa. Musk ha risposto a Bannon definendolo “un ciccione ubriacone” destinato a “tornare in prigione, stavolta per molto tempo”. È un botta e risposta da far impallidire qualsiasi dibattito presidenziale.
The fat, drunken slob called Bannon will go back to prison and this time for a long time. He has a lifetime of crime to pay for.
— Elon Musk (@elonmusk) July 4, 2025
Ma dietro gli insulti, i sondaggi virali e le leggi da tremila miliardi di dollari, si consuma qualcosa di più grave. Non è una guerra per il bene comune. Non è una contesa tra visioni opposte d’America. È un mercanteggio spietato tra due miliardari che vogliono tutto: potere, controllo, gloria personale. Trump e Musk non cercano di servire l’America, ma di farsene servire.
L’uno, col pugno alzato e il sorriso da showman, brandisce lo Stato come una clava. L’altro, con la maschera del genio ribelle, gioca a fare il burattinaio del Congresso. E in mezzo, l’America che lavora, che sogna, che ha costruito sulle promesse di Lincoln e Kennedy, viene trattata come una pedina sul tabellone di un ego infinito.
L’America del “governo del popolo, dal popolo, per il popolo” ha lasciato il posto all’America dei sondaggi su X e delle minacce velate d’espulsione. Non è politica. È idolatria di sé. E in questa gara tra titani, non c’è più spazio per l’ideale americano. Solo per l’immortalità politica di chi è troppo ricco per perdere.