“All’alba vincerò“. Ed è servita infatti una notte tesa e un voto risicatissimo per consentire al Senato statunitense di aprire ufficialmente il dibattito sul “Big Beautiful Bill”, il disegno di legge più ampio e controverso dell’era Trump. Con 51 voti a favore e 49 contrari, la maggioranza repubblicana ha superato lo scoglio procedurale che apre la strada all’esame del pacchetto fiscale e di spesa da 940 pagine, il cuore della strategia economica e identitaria voluta dal presidente in vista della scadenza simbolica del 4 luglio.
L’approvazione del primo passaggio parlamentare è arrivata dopo ore di rinvii, trattative riservate e uno stallo che ha congelato i lavori per gran parte del sabato sera. L’intervento del vicepresidente J.D. Vance — pronto in aula per un eventuale voto decisivo — non è stato necessari.
Il pacchetto, ribattezzato “One Big Beautiful Bill” da Trump stesso — che ne ha esaltato il passaggio su Truth Social definendolo una “grande vittoria” — punta a prorogare i tagli fiscali del 2017, introdurre nuove detrazioni, rafforzare i fondi per il Pentagono e la sicurezza alla frontiera, e innalzare il tetto del debito federale di 5.000 miliardi di dollari.
Nonostante il voto favorevole, l’iter del provvedimento si preannuncia ancora lungo e accidentato. I democratici, contrari al provvedimento in blocco, hanno chiesto che l’intero testo venga letto integralmente in aula prima dell’inizio della discussione, una manovra dilatoria che potrebbe posticipare l’avvio del dibattito fino a domenica pomeriggio.
“È una legge radicale, scritta di nascosto e imposta al Paese mentre dorme,” ha accusato il leader della minoranza dem, Chuck Schumer. “Il nostro dovere è fare luce su ogni riga, e per questo ne chiederemo la lettura completa in aula.”
I senatori avranno a disposizione fino a 20 ore di dibattito, cui seguirà un vero tour de force di emendamenti, il cosiddetto vote-a-rama, prima del voto finale, previsto non prima di lunedì.
La Casa Bianca, nel frattempo, ha ribadito il proprio pieno sostegno al disegno di legge, con Trump che ha seguito ogni fase del voto dal suo studio nello Studio Ovale ed è intervenuto sui social per criticare i dissidenti del suo stesso partito.
Al centro delle tensioni interne alla maggioranza, le misure di contenimento della spesa, in particolare i tagli a Medicaid, ai buoni pasto e agli incentivi per le energie rinnovabili. Il senatore repubblicano Tillis (uno dei due GOP a votare con i dem) ha motivato il proprio “no” denunciando l’impatto devastante che i tagli alla sanità pubblica avrebbero in Carolina del Nord, Stato che rappresenta e dove è atteso al voto per la rielezione il prossimo anno. “Numerose persone mi hanno già contattato per correre alle primarie contro Tillis,” ha scritto Trump sui social.
Rand Paul ha invece bocciato l’intero impianto del provvedimento, criticandone l’effetto sul debito pubblico. “Ha votato no di nuovo? Ma che problema ha questo tizio?” ha commentato sarcastico Trump, tornando a colpire l’ala libertaria del GOP.
In bilico fino all’ultimo anche altri senatori considerati “falchi” del bilancio. Rick Scott, Mike Lee e Cynthia Lummis hanno alla fine votato a favore, dopo intense trattative a porte chiuse con il leader di maggioranza John Thune. Anche Ron Johnson, inizialmente contrario, ha ribaltato la propria posizione, contribuendo al via libera finale.
Il provvedimento estende i tagli fiscali del 2017 e ne introduce di nuovi, tra cui l’esenzione totale sulle mance. Secondo il Joint Tax Committee, la componente fiscale della legge determinerebbe una riduzione delle entrate pari a 4.500 miliardi di dollari nell’arco di dieci anni. La Casa Bianca sostiene che la legge, nel suo complesso, ridurrà invece il disavanzo federale di 1.400 miliardi.
Le critiche non si limitano al Congresso. Elon Musk, già in rotta con Trump per il trattamento fiscale riservato ai veicoli elettrici, ha definito la legge “folle e distruttiva”. “Così si distruggono milioni di posti di lavoro e si danneggia strategicamente l’America,” ha scritto il miliardario sulla sua piattaforma X.
Particolarmente contestate anche le modifiche al Medicaid. Per ottenere il sostegno di senatori provenienti da Stati rurali, i repubblicani hanno posticipato i tagli previsti ai finanziamenti per gli ospedali locali, introducendo nel testo un fondo da 25 miliardi a favore dei fornitori Medicaid nelle aree svantaggiate, attivo tra il 2028 e il 2032.
Altro fronte aperto è il compromesso sulle deduzioni statali e locali (SALT), cavallo di battaglia dei parlamentari repubblicani di New York, New Jersey e California. Il tetto attualmente fissato a 10.000 dollari annui verrebbe innalzato a 40.000, con indicizzazione dell’1% annuo fino al 2029. Successivamente, tornerebbe al limite attuale. Per i redditi sopra i 500.000 dollari, il tetto verrebbe progressivamente ridotto.
Il compromesso non soddisfa né l’ala più conservatrice del Senato, né i deputati della maggioranza alla Camera, che restano divisi sulla portata della misura.
Lo stesso presidente della Camera, Mike Johnson, ha sospeso i lavori a Capitol Hill per il weekend, ma ha chiesto ai deputati di restare reperibili in vista di un possibile rientro lampo qualora il Senato concluda il voto entro lunedì.
Se approvato in via definitiva, il provvedimento tornerà alla Camera per un voto finale. Solo allora potrà approdare sulla scrivania del presidente per la firma.